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Il nemico invisibile. «Il terrorismo continuerà a colpire, ma l’Europa ha la grande occasione di sferrare un colpo decisivo»

28/12/2016  Non c’è da farsi illusioni: nel 2017 gli attentati in tutto l’Occidente continueranno. Ma se sapremo affrontare tre grandi questioni potremo sconfiggere il terrore mondiale. A colloquio con il sociologo Marco Lombardi

Gli attentati terroristici nelle nostre città, il Medio Oriente in fiamme, la guerra infinita in Siria, la debolezza politica dell’Europa, l’incognita Trump, il Nordafrica sempre più terra di conquista da parte dell’Isis e lo spettro di una guerra mondiale “a pezzetti” che nessun leader occidentale ha il coraggio di ammettere. «Ci aspetta un anno difficile», dice subito il professor Marco Lombardi, «il 2017 sarà in continuità con il 2016, probabilmente peggiore, ma sarà anche un anno di importanti cambiamenti: se l’Europa li affronta avrà una grande occasione, se li subisce è fregata».

 

Lombardi insegna Sociologia, Comunicazione e Crisis Management all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano. È uno degli analisti più lucidi del fenomeno Isis, che però preferisce chiamare Daesh (al-Dawlah al-Islamiyya al-Iraq wa-al-Sham signica “Stato islamico dell’Iraq e dello Sham”, ndr) «perché», precisa, «ha un’assonanza in arabo a una parola di significato negativo e pertanto è poco apprezzato dagli islamisti». Non crede che il terrorismo sia invincibile: «Daesh», afferma, «non è forte ma è capace di sfruttare al meglio le vulnerabilità dei suoi avversari».

 

L’agenda del 2017 passa da tre grosse questioni: la guerra siriana e la lotta contro Daesh; il Nordafrica con l’emergenza migranti a due passi dalle nostre coste e i foreign fighters di ritorno in Europa incitati dal califfato con una propaganda martellante a colpire con ogni mezzo gli “infedeli”.

 

Partiamo dalla prima. «La riconquista del territorio conquistato da Daesh andrà per le lunghe», spiega Lombardi, «Aleppo è stata riconquistata pagando la ri-perdita di Palmira, anche perché russi e siriani non potevano tenere aperti due fronti contemporaneamente. Poi c’è il fronte di Mosul, dove si combatte da due mesi e si andrà avanti ancora per lungo tempo, anche perché i jihadisti daranno battaglia fino all’ultimo sangue».

 

La questione politica è un’altra però. «Se noi», ragiona Lombardi, «ricuperassimo il territorio di Daesh, chi governerà in futuro quel territorio? La questione del Medio Oriente è tutta qui. In questo momento Daesh occupa un territorio che se fosse libero costringerebbe i combattenti, ora alleati per necessità, a confrontarsi l’uno con l’altro: turchi, russi, iracheni, americani, curdi, wahabiti, iraniani, gente del Qatar. L’unica cosa che hanno in comune è che in teoria vogliono combattere Daesh, ma se non ci fosse Daesh chi governa un Medio Oriente che non esiste più e che non è più quello che abbiamo studiato a scuola?».

 

Poi c’è la grana Nordafrica. «Dal punto di vista del reclutamento e dell’occupazione è l’esperimento più riuscito per Daesh», sottolinea Lombardi, «qui la situazione è drammatica. L’area è totalmente nel caos con tutte le ricadute sul piano energetico, della sicurezza e dell’immigrazione. Le nostre truppe portano assistenza sanitaria e non so fino a quando possano restare mimetizzate dietro a questo supporto e non intervenire con altre azioni». Infine, i foreign fighters pronti a colpire come abbiamo visto a Nizza e a Berlino: «Ci sono circa 1.750 combattenti di ritorno in Europa da Siria, Libia e Iraq e il fl„usso è in aumento», spiega Lombardi, «hanno cominciato a tornare prima le donne, tanto che Daesh per la prima volta ha messo i puntini sulle i dicendo a queste persone che non è corretto rientrare nel Paese senza dire niente a loro».

 

Su questi potenziali terroristi non c’è da farsi illusioni. «Sono molto pericolosi», conferma Lombardi, «perché sono arrabbiati, sono addestrati per combattere e sanno farlo bene. Daesh negli ultimi sei mesi ha fatto una propaganda martellante per incentivare queste persone presenti nei nostri Paesi a commettere attentati in ogni modo possibile usando strumenti della quotidianità: auto, carri, coltelli. E questa propaganda comincia ad avere effetti come abbiamo visto a Berlino».

 

Un altro aspetto che Lombardi sottolinea è che non c’è da stare troppo tranquilli del fatto che Daesh stia perdendo territorio in Siria, Libia e Iraq. «Anche se il califfato perde terreno», ragiona, «ha ormai quasi 50 gruppi che gli hanno prestato alleanza distribuiti in circa 40 Paesi. Daesh non è solo quello che sta in Siria e in Iraq o in Libia, è disperso in tutto il mondo. Anche se in Medio Oriente perde terreno, resta la sua minaccia pervasiva, delocalizzata, diffusa che si inquadra perfettamente nell’affermazione fatta da papa Francesco che sa dire le cose come stanno e non si preoccupa molto della politica, ossia che stiamo combattendo una Terza guerra mondiale a pezzi».

 

Per Lombardi l’analisi del Pontece è la più lucida finora: «Francesco», sottolinea, «ha ritratto bene la situazione e, contrariamente ai leader politici, lui può dire che siamo in guerra. Se in passato i confl„itti sparsi nel mondo non erano legati tra di loro, adesso lo sono, hanno una visione. Stiamo mantenendo l’antica definizione di terrorismo perché giustifica la logica delle vecchie guerre per cui il confl„itto era sul nostro territorio. L’Europa non ha confl„itti sul proprio territorio ma è impegnata in tutti i confl„itti in corso. In un mondo globale e interdipendente l’Europa è ancorata a una visione di guerra che presuppone il coinvolgimento diretto sul proprio territorio. Oggi la sicurezza nazionale dei singoli Stati la si può controllare al di fuori dei propri confini. La politica non può dire questa cosa perché non può usare la parola guerra. O meglio: non può dire che siamo in guerra quella politica che non fa governo ma propaganda».

 

Foto Fabrizio Bensch/Reuters

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