Il giornalista Andrea Tornielli consegna il libro al Papa. Foto Ansa.
Perché il messaggio della misericordia è così centrale nel pontificato di Francesco, al punto da averlo motivato a indire un Giubileo straordinario dedicato esplicitamente a questo tema? A questo interrogativo, fondamentale per comprendere il magistero e l’azione di papa Bergoglio, giunge una risposta chiarificatrice da Il nome di Dio è Misericordia, il libro-intervista con il Pontefice appena pubblicato per le Edizioni Piemme da Andrea Tornielli, vaticanista della Stampa e responsabile del sito web Vatican insider.
Andrea Tornielli. Foto Imago Mundi.
Spiega Tornielli: «Credo lo si debba a due fattori. Il primo è un sano realismo nel guardare al proprio peccato. Riconoscerci bisognosi di aiuto, di perdono, di misericordia è fondamentale nel nostro essere cristiani. Il secondo fattore è lasciarsi sorprendere da Dio, lasciare spazio alla sua iniziativa. Francesco direbbe “lasciarci guardare” e “lasciarci precedere da Lui”. È una grazia da chiedere. Perché, come spiegava bene Albino Luciani, poi papa Giovanni Paolo I, citato più volte nel libro, è proprio questo riconoscerci bisognosi di aiuto che fa spazio all’azione della grazia di Dio, della sua misericordia. Senza mai dimenticare la dinamica che troviamo descritta nei Vangeli: la misericordia, l’abbraccio di Gesù viene prima: ed è in questo abbraccio di misericordia che siamo aiutati a scoprire la nostra piccolezza e a riconoscere il nostro peccato».
Foto Massimo Valicchianu/Corbis
Come ti è nata l’idea di proporre a Francesco di realizzare insieme questo libro?
«L’ho pensato proprio nel momento in cui papa Bergoglio, nel marzo 2015, annunciava il Giubileo straordinario della misericordia. Mi sono detto che sarebbe stato bello proporgli un po’ di domande su questo tema. Ho spedito una lettera presentando la proposta. A Francesco l’idea non è dispiaciuta, ma era inteso che la decisione finale sarebbe stata presa una volta valutato il testo. La parte più consistente dell’intervista è avvenuta a Santa Marta nella seconda settimana di luglio 2015, subito dopo il rientro dal viaggio in Ecuador, Bolivia e Paraguay. Avevo mandato con pochissimo anticipo una griglia di domande, il Papa mi aspettava con alcuni testi sul tavolino, con alcuni segnalibri per le citazioni. Ha considerato soddisfacente il risultato finale e così si è arrivati alla pubblicazione».
Che cosa ti ha colpito di più nel corso dell’intervista e del lavoro per la stesura del testo?
«Innanzitutto l’attenzione del Papa per qualunque persona si trovi di fronte. Nel mio caso – era un pomeriggio afoso – mi ha innanzitutto invitato a togliere la giacca per lavorare più a mio agio. Poi si è preoccupato perché non avevo fogli per prendere appunti e stava alzandosi per andarmeli a prendere: l’ho bloccato dicendogli che con tre registratori accesi (due digitali e uno old style con microcassette) non avrei preso appunti. Ho spedito una prima stesura del testo in tempi piuttosto rapidi, perché volevo lasciare al Papa, visti i suoi impegni, tutto il tempo necessario per la revisione. Ma dopo tre giorni Francesco era già pronto per proporre integrazioni e correzioni».
E riguardo al contenuto del libro, c’è qualche tematica che ti è sembrata più rilevante?
«Si stava parlando della difficoltà a riconoscersi peccatori e, nella prima stesura che avevo preparato, Francesco affermava: “La medicina c’è, la guarigione c’è, se soltanto muoviamo un piccolo passo verso Dio”. Dopo aver riletto il testo, mi ha chiamato, chiedendomi di aggiungere: “...o abbiamo almeno il desiderio di muoverlo”, un’espressione che io avevo maldestramente lasciato cadere nel lavoro di sintesi. In questa aggiunta, o meglio in questo testo correttamente ripristinato, c’è tutto il cuore del pastore che cerca di uniformarsi al cuore misericordioso di Dio e non lascia nulla di intentato per raggiungere il peccatore. Non trascura alcuno spiraglio, seppur minimo, per poter donare il perdono. Dio ci attende a braccia aperte, ci basta muovere un passo verso di Lui come il Figliol prodigo. Ma se non abbiamo la forza di compiere nemmeno questo, per quanto siamo deboli, basta almeno il desiderio di farlo. È già un inizio sufficiente, perché la grazia possa operare e la misericordia essere donata, secondo l’esperienza di una Chiesa che non si concepisce come una dogana, ma cerca ogni possibile via per perdonare. Mi ha colpito particolarmente questa sottolineatura: Dio cerca in tutti i modi di venirci incontro, cerca di sfruttare ogni fessura del nostro cuore, ci attende, ci precede. E, se ancora noi non riusciamo a muovere un passo, già il desiderio di farlo è l’inizio di un cambiamento».
Si sente talvolta dire: «Troppa misericordia!». C’è chi dice che bisogna essere più chiari nel condannare il peccato...
«Ho posto questa domanda a Francesco. Devo dire di non essere mai riuscito a comprendere l’obiezione di coloro che, all’interno della Chiesa, sono preoccupati perché potrebbe passare un messaggio di “troppa misericordia”. Se uno è un minimo realista nel guardare a se stesso e ai propri peccati, la misericordia non sarà mai “troppa”. Comunque il Papa ha spiegato che la Chiesa condanna il peccato perché deve dire la verità. Ma allo stesso tempo abbraccia il peccatore che si riconosce tale, lo avvicina, gli parla della misericordia infinita di Dio. Mi ha colpito che, nell’omelia della notte di Natale, Francesco abbia detto che il nostro mondo “troppe volte è duro con il peccatore e molle con il peccato”. Nella risposta a questa domanda, il Papa ha voluto ricordare che nel Vangelo non si parla soltanto di accoglienza o di perdono, ma si parla di “festa” per il figlio che ritorna. La Chiesa “non è al mondo per condannare, ma per permettere l’incontro con quell’amore viscerale che è la misericordia di Dio”».