«Prego, qui non potete stare». L’addetto alla sicurezza della libreria Feltrinelli di Milano ha un bel daffare per tenere sgombre le scale dalle fan che si sono radunate qui per vedere i loro tre idoli, Max Gazzè, Daniele Silvestri e Niccolò Fabi. È inutile: dopo pochi minuti, sono di nuovo lì.
Il fatto curioso è che non si tratta di adolescenti. O meglio, ci sono anche loro: ma le più scalmanate sono inappuntabili “sciure” che hanno più o meno superato gli “anta”. Alcune sfoggiano al polso un braccialetto rosso, frutto di ore di coda, grazie al quale, al termine della presentazione di Il padrone della festa, l’album inciso dai tre cantautori romani, potranno farselo autografare da loro. Se sapessero che i tre si trovano a pochi metri dalle scale, in una saletta dove li incontriamo...
Amici da una vita, da quando provavano a farsi strada nei locali romani, hanno iniziato a pensare al disco durante un viaggio fatto insieme in Sud Sudan, come racconta Niccolò. «L’occasione è stata la consegna dei fondi che avevamo raccolto con la mia fondazione, Le parole di Lulù, a un ospedale gestito dall’Ong Medici con l’Africa. In realtà, al disco ci stavamo pensando già da prima, ma l’idea ha preso forma solo lì. In particolare è stato fondamentale un episodio. Un giorno ci siamo ritrovati impantanati con l’auto in una zona dove era esondato il Nilo. Quando, con molta fatica, siamo riusciti a liberarla, un ragazzo che passava di lì, vedendoci con le scarpe in mano e i pantaloni arrotolati pieni di fango, ha esclamato: “Life is sweet”, la vita è dolce. Questa frase da un lato così stridente rispetto al contesto in cui eravamo e dall’altro comunque vera è stata come una scintilla. E infatti il primo singolo del nostro disco si intitola proprio così».
Le altre canzoni in che contesti sono nate?
«Ci è capitato di suonare per tre giorni di fila in una casa di campagna o in quelle di ciascuno di noi. Tutto sempre all’insegna della più totale collaborazione. Tanto è vero che nel disco spesso ognuno di noi canta le parti scritte da un altro».
Quella che apre il disco si intitola Alzo le mani. Nei confronti di cosa?
Silvestri: «Dell’impossibilità di intrappolare nelle canzoni i propri frammenti di vita. Nel testo io cito il suono delle dita di mio padre che scriveva a macchina quando ero bambino. È un suono solo mio, che sta nel mio cuore. Posso provare a riprodurlo con un pianoforte elettrico o con altri strumenti, ma non sarà mai quel suono lì».
Un altro brano è Il Dio delle piccole cose. Quali sono quelle importanti per voi?
Silvestri: «Per esempio, il basilico. Recentemente l’ho piantato nell’orticello di casa. Forse è banale dirlo, ma se non sei riuscito a occuparti di quella piccola fogliolina, probabilmente fallirai anche nelle cose importanti. Mio padre (Alberto, sceneggiatore e autore, da Sandokan al Maurizio Costanzo Show scrisse un libro, L’elogio del particolare, proprio sull’illusione dell’uomo di riuscire a capire tutto, di far funzionare tutto. Pensare invece: “Guarda che bella quella foglia di basilico”, ci aiuta a tornare con i piedi per terra».
Chi è più bravo a suonare tra voi?
Silvestri: «Max».
Gazzè: «Non è vero. Lo dimostra il fatto che in un brano, La canzone di Anna, Niccolò suona il basso e lo suona meglio di come avrei fatto io».
Fabi: «La verità è che c’è chi è più bravo a fare una cosa e chi un’altra. Ma nessuno sgomita: giochiamo a passarci la palla, così ci divertiamo di più».
Perché avete deciso di iniziare il tour all’estero?
Fabi: «Perché questo progetto nasce anche dal desiderio di ricominciare da capo, di suonare in piccoli club come facevamo vent’anni fa. Ci piace anche l’idea di confrontarci con palcoscenici nuovi. In Italia, quando dobbiamo suonare in un posto, sappiamo già dove dobbiamo uscire in autostrada, sappiamo che lì vicino c’è un buon ristorantino e un albergo dove si dorme bene. Invece nel viaggio tra Colonia e Amsterdam tutto sarà nuovo. La verità è che, banalmente, facciamo tutto questo anche per ringiovanire un po’».
Userete la stessa macchina come fanno i Pooh?
Gazzè: «No, andremo in elicottero, uno a testa».
Silvestri: «Sì, ci muoveremo tutti insieme. Ma avremo un autista, perché altrimenti sarebbe troppo faticoso. E poi finirebbe per guidare Max che infrangerebbe tutti i limiti di velocità...».
Dopo questo tour cosa succederà?
Fabi: «La sensazione che avevamo all’inizio e che io continuo ad avere è che la bellezza di questo progetto stia nella sua estemporaneità. Soprattutto, se riuscirà bene, potrà rappresentare un momento meraviglioso della nostra vita e della nostra carriera. Non mi va di pensare: “Se andrà bene faremo un altro disco”».
Gazzè: «Io però credo che a gennaio, quando il tour finirà, tutto ciò ci mancherà tantissimo…».
Per ora è arrivato il momento di salire sul palco della Feltrinelli. I tre gigioneggiano con le fan adoranti.
«Magari a chi ci ha apprezzato singolarmente non piaceranno queste nuove canzoni. Ma non importa!».
«Magari invece c’è anche chi finora non ci ha mai filato e ora pensa: “Forse insieme finalmente combinano qualcosa di buono”».
Quando finalmente iniziano a cantare, la regressione delle “sciure” in adolescenti urlanti può dirsi completa.