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lunedì 28 aprile 2025
 
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Il nostro Palmares del cuore

27/05/2017  Meglio sbilanciarsi prima che la giuria (guidata da Pedro Almodòvar) possa smentirci con qualche premio cervellotico. Ecco, perciò, la nostra Palma d’oro del cuore

Un frame di In The Fade.
Un frame di In The Fade.

Partiamo dall’emozione più recente. Ci ha assai colpito In the fade (In dissolvenza) di Fatih Akin, regista tedesco ma di origini turche vincitore di premi a Berlino (Orso d’oro per La sposa turca) e a Venezia (Leone d’argento per Soul kitchen). Una storia di vendetta personale amara, sofferta, condivisibile che mette a disagio lo spettatore. Tre capitoli, tre cornici in cui si svolge la vicenda. Primo, la famiglia: le nozze in carcere tra il curdo Nuri e la bionda Katja, lui che mette la testa a posto e apre un negozio, il figlio di sei anni. Ma un’esplosione spazza via figlio e marito. Katja naufraga tra dolore, solitudine e recriminazioni familiari. Poi, la giustizia: la polizia, grazie alla sua testimonianza, acciuffa la coppia tedesca accusata di crimine a sfondo razziale, perché neonazista. Laceranti sedute in tribunale. Il dolore di Katja che ritorna. Assoluzione perché sussiste il ragionevole dubbio. Infine, il mare: è infatti sulle coste greche che Katja rintraccia la coppia assassina, coperta da un greco neonazista di Alba dorata. Nessun pentimento. Katja sogna vendetta. Ma in extremis, esita. Si può cedere alla legge di Caino? Alla fine, indossa lo zaino con la rudimentale bomba (confezionata grazie a internet), sale sul camper isolato dei due fuggiaschi e si fa esplodere. Commuove Diane Kruger (per noi miglior attrice). Il regista denuncia sui titoli di coda che in Germania si muore ancora per odio razziale e non se ne parla. Al film, ben girato, nuoce però l’atmosfera che viviamo. La bomba. Dopo Manchester, impossibile non pensarci. Gli daremmo però il Grand Prix, ovvero la medaglia d’argento.

Il cast "stellare" di The Beguiled.
Il cast "stellare" di The Beguiled.

Il Prix du Jury, vale a dire la medaglia di bronzo, non dovrebbe sfuggire al cinema americano. Favorito The beguiled (L’inganno) di Sofia Coppola, rivisitazione di un film girato da Don Siegel con Colin Farrell nel ruolo che allora aveva Clint Eastwood. Virginia, 1864: la Guerra Civile insanguina gli Stati Uniti. Una ragazzina trova nel bosco un caporale nordista ferito, lo porta in una scuola isolata per fanciulle sudiste di buona famiglia, dove lei e poche altre hanno rifugio sotto l’ala della direttrice (Nicole Kidman). Quella che sulle prime è carità cristiana si trasforma, poco a poco, in ambigua lotta di frustrazioni, desideri, pulsioni inespresse. Sull’uomo puntano sia l’istitutrice Edwina (Kirsten Dunst) sia la più provocante delle allieve (Elle Funning). La colpa di lui è di non saper scegliere, illudendo l’una e l’altra per poi scatenare il risentimento. La Coppola non fa un remake ma piuttosto una rivisitazione, privilegiando il confronto tra maschi e femmine. Fotografia di gusto pittorico, cast stellare. Ha tutto per piacere.

Julianne Moore in una scena del film Wonderstruck.
Julianne Moore in una scena del film Wonderstruck.

Logica alternativa Wonderstruck (La stanza delle meraviglie), altro film a stelle e strisce di cui sono protagonisti dodicenni che recitano con fresca bravura: Millicent Simmonds e Oakes Fegley interpretano ragazzini sordi. Solo che Rose, sordomuta dalla nascita, si muove in una storia ambientata nel 1927 mentre Ben perde l’udito in seguito a un incidente che avviene nel 1977. A mezzo secolo di distanza, intraprendono la stessa fuga verso New York alla ricerca di risposte, d’identità. La camera ne segue in parallelo le vicende facendo zapping tra il bianco e nero della Grande Crisi e i colori forti anni Settanta. Eleganza formale tipica del regista Todd Haines, già autore di Carol con Julianne Moore, musa che ha voluto anche nel nuovo film nei panni di Rose anziana. Forse il cerchio si chiude troppo bene e la confezione è patinata. Ma è da vedere.

Il registra di Loveless Andrey Zvyagintsev e la protagonista Maryana Spivak.
Il registra di Loveless Andrey Zvyagintsev e la protagonista Maryana Spivak.

Aspro, colori freddi, raggelato nei sentimenti è invece Loveless (Senza amore) del russo Andrey Zvyagintsev. Storia ordinaria del divorzio tra Zhenya e Boris, borghesi della nuova Russia, agiati ma incapaci di cogliere il lacerante dolore che i feroci litigi provocano nel figlio Alyosha, un dodicenne biondino dai tratti taglienti. Dopo un sordo pianto notturno, non potendone più di sentirsi scaricato da mamma e papà, sparisce. Sorpresa, dolore, rimorsi: i genitori, prima presi dalle liti sui soldi e i nuovi amanti, sprofondano in quell’angoscia che solo conosce chi ha sofferto la scomparsa di un bambino. La cinepresa come un elettrocardiogramma. Senza lieto fine. Alyosha (il bravo Matvey Novikov) non si vedrà mai più ma la sua assenza riempirà di dolore il film. Metafora della Russia moderna di Putin, senza più anima? Forse. Basta però la storia dell’aridità dei genitori per inchiodare lo spettatore alla poltrona.

Una scena di 120 Battements Par Minute
Una scena di 120 Battements Par Minute

Ecco la nostra Palma d’oro del cuore!

 

Avvertenza: c’è una mina vagante che si aggira sul Palmarès. L’unico film francese che non ha deluso: 120 battements par minute del marocchino Robin Campillo. Storia frenetica delle lotte parigine, ad inizio anni ‘90, per sensibilizzare l’opinione pubblica sul dramma dell’aids. Dopo Philadelphia, nulla di nuovo. Ma il tema ha forza ricattatoria e la giuria potrebbe cascarci. Se prendesse inopinatamente la Palma d’oro, ci alzeremo e ce ne andremo dalla sala. La protesta fa tanto chic.

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