Se qualcuno si aspettava da Matteo Salvini ammiccamenti alla destra postfascista è rimasto deluso. C’erano, in piazza del Popolo, i "neri" di Casapound, qualche gagliardetto, qualche ritratto della Bonanima issato come una labario da qualche nostalgico, ma il leader della Lega Nord, salendo sul palco, ha subito chiarito le cose: “Io non distinguo gli uomini tra destra e sinistra, il derby fascisti-comunisti non mi è mai piaciuto”. La novità della Lega Nord sta nella nuova chiave con cui legge la politica, nelle questioni individuate per vendere sogni e fare promesse elettorali. E’ questa la destra di Salvini, una destra certamente lepeniana (la leader del Front National Marine Le Pen ha mandato un messaggio e il segretario della Lega ha annunciato un gruppo in comune a Strasburgo), populista, spesso demagogica, con Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni alleata per “scendere” nel resto d’Italia e conquistare nuovi territori. Se potesse farlo, Salvini forse toglierebbe la parola "Nord" al suo partito. Nonostante la giovane età il leader ha fiuto, gira molto sul territorio, e sa che i leghisti hanno aderito alla sua nuova fase nazionalista, per certo aspetti persino "patriottica".
Sul palco, dietro Salvini, il fondatore Umberto Bossi si muoveva come un fantasma. Sembrava soddisfatto del nuovo corso del suo successore. Ma la sua Lega sembra non esistere più; nessun riferimento al "nordismo", alla secessione, quasi nessun tributo al federalismo, nessun accenno a Roma Ladrona, alla Padania, al dio Po eccetera eccetera. Altri tempi. La politica sa avere la memoria corta. Chi, come noi, seguea la Lega da quando è nata, nel lontano 1987, mai avrebbe immaginato di vedere in una manifestazione del Carroccio tante bandiere e simboli tricolori. Ma se la Lega di Bossi, sprofondata negli scandali grotteschi che hanno coinvolto la famiglia del vecchio patriarca, era figlia della caduta del muro do Berlino, quella di Salvini è figlia della crisi cominciata nel 2008 e del sentimento anticasta.
Ecco dunque sciorinare le nuove parole d’ordine contro il “servo sciocco” di Bruxelles Matteo Renzi, tra tanti "vaffa" scanditi dal pubblico, in competizione con i grillini. Il punto forte è il no a immigrati e profughi (“non c’è posto per nessuno”), la linea dura contro l’Islam, il rifiuto della moneta unica che ci rende schiavi della Bce, il bisogno di sicurezza (no all’indulto o all’amnistia, più carceri, più polizia per le strade, diritto di difendersi in casa anche con le armi), i soliti rom ("prima i disoccupati, poi, ma molto poi, loro"), l’esercito (“agli uomini della Marina dico: non vi siete arruolati per aiutare gli scafisti”). C'è anche la vicenda eterna e surreale dei due Marò.
E soprattutto basta con le tasse, con un fisco oppressore (questo è forse l’anello con la vecchia Lega di Bossi, anche se non è più in chiave localistica e federalista). Matteo Salvini promette, nel caso questo nuovo Fronte Italiano dovesse vincere le elezioni e governare, una tassa unica per tutti al quindici per cento. Una promessa impossibile, poujadista che però sigilla la linea politica nuova, figlia di una crisi economica che ci attanaglia dal 2008. Il blocco sociale di riferimento di Salvini è molto chiaro e ampio: le partite Iva, gli imprenditori, gli artigiani, i coltivatori diretti, ma anche i pensionati, i dipendenti che hanno perso il lavoro o i giovani che non riescono a trovarlo. Un blocco sociale di “moderati arrabbiati” che da tempo sta abbandonando Forza Italia e Berlusconi per portarsi verso la nuova creatura di Salvini. L’impressione è che stia procedendo con il vento in poppa alla conquista dell’Italia. E che il suo vero avversario, l’unico capace di fermarlo non sia Grillo, non sia Berlusconi e nemmeno Renzi, ma la ripresa economica.