Anche la Chiesa aveva messo in guardia
il Governo nazionalista polacco guidato
dalla premier Beata Szydlo. Prima
monsignor Tadeusz Pieronek, ex-segretario
della Conferenza episcopale e
poi il cardinale di Cracovia, Stanislaw Dziwisz,
ex segretario di Karol Wojtyla, avevano denunciato
le divisioni della società e i rischi di
negazione dello stato di diritto. È una Polonia
divisa con equilibri istituzionali precari, sotto
osservazione da parte della Commissione
europea che ha indagato Varsavia per violazione
dello stato di diritto con una procedura inedita,
mai scattata prima in Europa, quella che
si appresta ad accogliere i giovani della Gmg e
papa Francesco.
L’ultima decisione riguarda l’addio al neoliberismo
e l’annuncio da parte del ministro
dell’Economia Mateusz Morawiecki di un nuovo
corso fondato su nazionalismo e su paternalismo,
privatizzazioni mirate per salvaguardare
l’identità polacca e riorganizzazione dello
Stato in senso autoritario. Così la Polonia si
chiude sul modello dell’Ungheria di Viktor
Orban e Varsavia si candida a diventare la capofila del fronte del riuto europeo.
I tempi del cosiddetto “Gruppo di Visegrad”,
creato da Polonia, Repubblica ceca, Slovacchia
e Ungheria per favorire l’integrazione a
Est, sono crollati sotto il maglio di parole d’ordine
inquietanti sugli immigrati, sulla libertà
di stampa, sull’indipendenza dei giudici. Anche
le critiche al neoliberismo non seguono
la logica virtuosa di una maggiore giustizia
per tutti, ma solo quella dell’arroccamento di
un’Europa delle piccole patrie. Così a trentacinque
anni dalla nascita di Solidarnosc la
Polonia si appresta a un altro giro di giostra
che rischia di farle perdere un’altra volta serenità,
in un labirinto di risentimenti, incapace
di un serio esame di coscienza sul passato,
inchiodata a una transizione infinita, intrecciata
di nazionalismo populista e di fanatismi
di vario genere.
Oggi la discussione è tra integrazione
nell’Ue o salvaguardia apodittica della sovranità
nazionale, come argine della propria
identità. Le chiusure di Varsavia sulla questione
dell’immigrazione e dei rifugiati, che
hanno provocato polemiche tra il Governo e la
Chiesa cattolica, ne sono la dimostrazione più
evidente. Così la Chiesa è dovuta correre ai ripari
a due mesi dalla Gmg e dall’arrivo di Jorge
Mario Bergoglio con la decisione unilaterale
di avviare con la Caritas corridoi umanitari
per ospitare nelle parrocchie polacche una
quota di rifugiati, soprattutto siriani, bloccati
alle frontiere dell’Ue. Il cardinale di Varsavia,
Kazimierz Nycz, ha ammonito il Governo di
destra, che pur condivide le preoccupazioni
della Chiesa su aborto, vita e famiglia, a non insistere
su una legislazione ottusa, ricordando i
milioni di emigranti polacchi e gli ucraini arrivati
recentemente, manodopera a basso costo
che hanno permesso all’economia del Paese di
non schiantare sotto la crisi.
La Polonia resta la sesta economia dell’Unione,
al quinto posto mondiale per la produzione
di mobili, una disoccupazione sotto
la media, al 7,9 per cento rispetto all’eurozona,
perché ha mantenuto bassi salari e perché il
tasso di emigrazione dei polacchi è tra i più alti
al mondo. Cosa accadrebbe se essi tornassero è
una domanda che aleggia come un incubo sui
governanti polacchi. Il reddito cresce in termini
assoluti, ma la distribuzione della ricchezza
è tra le più inique d’Europa, con un’ampia
forbice tra ricchi e poveri. Il Paese insomma è
diviso in due anche geograficamente tra la parte
nordoccidentale, più ricca e più moderna,
più consumista e sicuramente più europeista
e la parte sudorientale, rurale e nazionalista e
più povera. La spaccatura è anche politica tra
Piattaforma civica, il partito di centro di Donald
Tusk, attuale presidente dell’Ue, e Diritto
e giustizia, la formazione populista che ha
vinto le elezioni, dei gemelli Lech e Joroslaw
Kaczynski, il primo morto da presidente della
Repubblica nell’incidente aereo di Smolensk in
Russia, insieme a metà Governo, nel 2010.
A ciò va aggiunta la quasi totale inesistenza
della protezione sociale. Varsavia per
il welfare spende una delle cifre più basse d’Europa,
pari al 20 per cento del Pil. Il Governo di
destra ha promesso cambiamenti e maggiori
interventi sociali, ma in cambio ha avviato una
svolta autoritaria con giornali, radio e tivù sotto
controllo, giudici al servizio della politica,
aumento delle spese militari ed epurazioni dei
funzionari statali e dei generali che osano criticare
il nuovo corso dei superfalchi nazionalisti.
A ciò va aggiunta la corruzione con periodiche
denunce da parte dei giornali tuttavia
sempre più imbavagliati. Così la Polonia si
regge solo a causa della debolezza della sua
moneta e sul fatto che continua a rimandare
l’entrata nell’euro e, cosa di non secondaria importanza,
sui benefici concessi dall’Ue a Varsavia,
che ammontano a 230 miliardi di euro.