Lisbona,
dall'inviata
Le guglie gotiche, i mosaici delle vetrate, i decori della facciata… Il complesso che fa da cornice all’incontro del Papa con i sacerdoti, i diaconi, i consacrati e le consacrate, i seminaristi e gli operatori pastorali è un gioiellino dell’architettura portoghese. Il monastero reale di Santa Maria de Belém, comunemente chiamato monastero di San Geronimo perché destinato all’Ordine omonimo, è il più visitato del Paese, iscritto nel patrimonio mondiale dell’Unesco dal 1983. Un monumento dedicato al patrono dei marinai, come testimonia anche la grande ancora posizionata davanti a una delle entrate. Omaggio a Vasco de Gama, scopritore della rotta marittima per l’India e omaggio al mare. E qui, dove fu firmato, il 13 dicembre 2007, il Trattato di Lisbona, il Papa parla di mare. Ricorda la chiamata dei primi discepoli. Pietro e gli altri, delusi, che pulivano le reti dopo una notte senza successo. E il Signore che passa, sale sulla barca e chiede loro di gettare ancora una volta le reti in acqua. Gesù, dice il Papa, «cambiò la vita di quei pescatori invitandoli a prendere il largo e a gettare le reti». Francesco fa notare il contrasto tra «i pescatori che scendono dalla barca per lavare le reti, cioè per pulirle, conservarle bene e tornare a casa» e, dall’altra parte, Gesù che «sale sulla barca e invita a gettare di nuovo le reti per la pesca. Risaltano le differenze: i discepoli scendono, Gesù sale; loro vogliono conservare le reti, Lui vuole che si gettino nuovamente in mare per la pesca». Quando il Signore passa dal mare di Galilea è stato appena buttato fuori da Nazaret, dalla sua città. «I suoi compaesani avevano persino cercato di ucciderlo. Allora Egli esce dal luogo sacro e inizia a predicare la Parola tra la gente, sulle strade dove le donne e gli uomini del suo tempo faticano ogni giorno. A Cristo interessa portare la vicinanza di Dio proprio nei luoghi e nelle situazioni in cui le persone vivono, lottano, sperano, talvolta stringendo tra le mani fallimenti e insuccessi, proprio come quei pescatori che nella notte non avevano preso nulla».
Il Papa parla della stanchezza di Pietro e die suoi compagni, della loro amarezza che spesso, è anche la nostra. «A volte», dice, «nel nostro cammino ecclesiale, si può provare una stanchezza simile, quando ci sembra di stringere tra le mani solo delle reti vuote. È un sentimento piuttosto diffuso nei Paesi di antica tradizione cristiana, attraversati da molti cambiamenti sociali e culturali e sempre più segnati dal secolarismo, dall’indifferenza nei confronti di Dio, da un crescente distacco dalla pratica della fede. E ciò è spesso accentuato dalla delusione e dalla rabbia che alcuni nutrono nei confronti della Chiesa, talvolta per la nostra cattiva testimonianza e per gli scandali che ne hanno deturpato il volto, e che chiamano a una purificazione umile e costante, a partire dal grido di dolore delle vittime, sempre da accogliere e da ascoltare». Ma il rischio, quando ci si sente così, è quello di «scendere dalla barca, restando impigliati nelle reti della rassegnazione e del pessimismo. Invece, dobbiamo portare al Signore le fatiche e le lacrime, per poi affrontare le situazioni pastorali e spirituali confrontandoci con apertura di cuore e sperimentando insieme qualche nuova via da seguire, fiduciosi che Gesù continua a prendere per mano e rialzare la sua amata Sposa». E infatti, lui sale sulla barca, quando gli altri ne sono scesi e invita a gettare ancora le reti. «Lui viene a cercarci nelle nostre solitudini e nelle nostre crisi per aiutarci a ricominciare. Anche oggi passa sulle rive dell’esistenza per risvegliare la speranza e dire anche a noi, come a Simone e gli altri: “Prendi il largo e gettate le reti per la pesca”». E non é un gesto solitario, il Signore usa il plurale. Risveglia l’inquietudine del Vangelo, una «inquietudine “buona”».
Una inquietudine che «l’immensità dell’oceano consegna a voi portoghesi: spingersi oltre la riva non per conquistare il mondo, ma per allietarlo con la consolazione e la gioia del Vangelo». Un missionario molto noto, padre António Vieira, «chiamato “Paiaçu”, padre grande» diceva ai portoghesi: «Dio vi ha dato una piccola terra per nascere ma, facendovi affacciare sull’oceano, vi ha dato il mondo intero per morire: “Per nascere, poca terra; per morire, tutta la terra: per nascere, Portogallo; per morire, il mondo”». E dunque gettare ancora le reti significa «abbracciare il mondo con la speranza del Vangelo: a questo siamo chiamati! Non è tempo di sostare e arrendersi, di ormeggiare la barca a riva o di guardarsi indietro; non dobbiamo fuggire questo tempo perché ci spaventa e rifugiarci in forme e stili del passato. No, questo è il tempo di grazia che il Signore ci dà per avventurarci nel mare dell’evangelizzazione e della missione». Per farlo bisogna compiere tre scelte ispirate al Vangelo. La prima è «lasciare la riva delle delusioni e dell’immobilismo, prendere le distanze da quella tristezza dolciastra e da quel cinismo ironico che ci assalgono dinanzi alle difficoltà» e, sulla parola di Gesù «gettare le reti», «prendere il largo, senza ideologie e senza mondanità, animati da un unico desiderio: che il Vangelo raggiunga tutti». E dunque occorre il coraggio di dialogare, senza paura «anche se per farlo possiamo rischiare qualche tempesta. Come i giovani che da tutto il mondo vengono qui a sfidare le onde giganti di Nazaré, anche noi andiamo al largo senza paura; non temiamo di affrontare il mare aperto».
E poi, seconda scelta, portare avanti la pastorale insieme. «Nel testo Gesù affida a Pietro il compito di prendere il largo, ma poi parla al plurale, dicendo “gettate le reti”: Pietro guida la barca, ma sulla barca ci sono tutti e tutti sono chiamati a calare le reti. E quando prendono una grande quantità di pesci, non pensano di farcela da soli, non gestiscono il dono come possesso e proprietà privata» ma, racconta il Vangelo, chiamano «fecero cenno ai compagni dell’altra barca, che venissero ad aiutarli» e riempiono due barche. «Uno significa solitudine, chiusura, pretesa di autosufficienza, due significa relazione. La Chiesa è sinodale, è comunione, aiuto reciproco, cammino comune. A questo tende il Sinodo in corso»: sulla barca della Chiesa «ci dev’essere spazio per tutti. Tutti i battezzati sono chiamati a salirvi e a gettare le reti, impegnandosi in prima persona nell’annuncio del Vangelo». Se non c’è questa corresponsabilità la Chiesa invecchia. Il Papa insiste: «Mai un Vescovo senza il proprio presbiterio e il Popolo di Dio; mai un prete senza i confratelli; e tutti insieme – sacerdoti, religiose, religiosi e fedeli laici – come Chiesa, mai senza gli altri, senza il mondo. Senza mondanità, ma non senza il mondo».
Infine, terza scelta, diventare pescatori di uomini: «Gesù affida ai discepoli la missione di prendere il largo nel mare del mondo. Spesso, nella Scrittura, il mare è associato al luogo del male e delle potenze avverse che gli uomini non riescono a dominare. Perciò, pescare le persone e tirarle fuori dall’acqua significa aiutarle a risalire da dove sono sprofondate, salvarle dal male che rischia di farle affogare, risuscitarle da ogni forma di morte. Il Vangelo, infatti, è un annuncio di vita nel mare della morte, di libertà nei gorghi della schiavitù, di luce nell’abisso delle tenebre».
E anche se si ha l’impressione che sia venuto a mancare l’entusiasmo, «il coraggio di sognare, la forza di affrontare le sfide, la fiducia nel futuro» e se «navighiamo nelle incertezze, nella precarietà economica, nella povertà di amicizia sociale, nella mancanza di speranza», non dobbiamo smettere, come Chiesa, di «immergerci nelle acque di questo mare calando la rete del Vangelo, senza puntare il dito, ma portando alle persone del nostro tempo una proposta di vita nuova, quella di Gesù: portare l’accoglienza del Vangelo in una società multiculturale; portare la vicinanza del Padre nelle situazioni di precariato e di povertà che crescono, soprattutto tra i giovani; portare l’amore di Cristo dove la famiglia è fragile e le relazioni sono ferite; trasmettere la gioia dello Spirito dove regnano demoralizzazione e fatalismo». Francesco cita Pessoa, il grande scrittore portoghese, per concludere, con le sue parole, che «per arrivare all’infinito, e credo che ci si possa arrivare, abbiamo bisogno di un porto, di uno soltanto, sicuro, e da lì partire verso l’Indefinito». La Chiesa portoghese può essere questo «“porto sicuro” per chiunque affronta le traversate, i naufragi e le tempeste della vita!».