È periferia anche se si trova in pieno centro. Crogiuolo di dolore causato e sofferto, il carcere di San Vittore è una cittadella che ospita quasi 900 detenuti, il 70 per cento dei quali stranieri. Sabato 25 marzo per la prima volta vedrà entrare un Papa. Questo istituto di pena sarà la terza tappa della giornata di Francesco a Milano. San Vittore, a suo modo, è un’istituzione meneghina al pari della Scala. L’edificio risale alla seconda metà dell’Ottocento con i sei raggi che confluiscono nella rotonda centrale. L’ex sindaco di Milano Giuliano Pisapia evidenziava quanto San Vittore fosse «un quartiere di Milano, o meglio, come ricordava il cardinale Martini, il cuore di Milano».
Un cuore particolare, certo, attraversato da fibrillazioni e difficoltà, dove il dolore di chi ha sbagliato cerca un riscatto e la carezza di un padre. Papa Francesco, sulla scia dei predecessori, non si sottrae. Nel 2015, Giovedì Santo, andò a Rebibbia per lavare i piedi a dodici detenuti e celebrare la Messa. A marzo dello stesso anno è a Poggioreale (Napoli): «Nella vita», disse, «non bisogna mai spaventarsi delle cadute, l’importante è sapersi sempre rialzare. Dio dimentica e cancella i nostri peccati». Altra tappa è il Ferrante Aporti, il carcere minorile di Torino, dove tra le sbarre si consuma l’adolescenza di tanti ragazzi.
Quando va in carcere il Papa non fa toccata e fuga ma siede a pranzo con i detenuti, vuole conoscerne le storie, scambiare quattro chiacchiere, raccogliere sfoghi, richieste di preghiera, inquietudini. Farà così anche a San Vittore: nella rotonda centrale ne incontrerà un centinaio, altri cento saranno a tavola con lui al terzo raggio. «I piatti saranno preparati dalla “Libera Scuola di Cucina” con uno chef affiancato dai detenuti», fa sapere il cappellano don Marco Recalcati. «È previsto un menù rigorosamente meneghino (risotto e cotoletta) e si è scelto che quel giorno tutto il carcere abbia lo stesso menù per non creare privilegi».
L’obiettivo è un incontro autentico, senza fronzoli, libero. «Lasceremo che le persone incontrino Francesco, senza il filtro dell’organizzazione, perché possa essere un incontro di anime, di persone», ha spiegato la direttrice Gloria Manzelli, «un po’ come avviene a San Pietro: il Papa va nella piazza e incontra i fedeli. Qui sarà la stessa cosa. Non vorremmo dare l’impressione di una differenza di approccio fra il cittadino libero che incontra il Santo Padre e il cittadino detenuto. Questo secondo me è il valore aggiunto».
L’ipotesi è che a tavola, vicino a papa Francesco, siano seduti alcuni detenuti dell’America latina così da permettergli di parlare nella sua lingua, lo spagnolo. «Abbiamo chiesto, per quanto possibile, di non selezionare i detenuti», spiega il cappellano, «ma che pur dietro le sbarre, da lontano o mentre passa in “rotonda”, tutti riescano a sentire le parole del Papa e a vederlo. Ci sarà anche una rappresentanza del volontariato a salutare il Papa, perché Francesco vuole incontrare chi è in carcere: detenuti, polizia, operatori e volontari, che sentiamo come figure ben coinvolte nel lavoro che si fa in carcere. Non sono ospiti, ma una parte importante di San Vittore».
E i detenuti come si preparano? C’è chi si è messo all’opera da un pezzo per preparare qualcosa da donare a Bergoglio: un oggetto artigianale, una poesia, uno scritto… «Ogni domenica durante le Messe», ricorda don Marco, «leggiamo un brano e raccontiamo un episodio delle visite dei Papi nelle carceri: siamo partiti da Giovanni XXIII a Regina Coeli, poi Paolo VI, Giovanni Paolo II, Benedetto XVI e infine le visite di Francesco in diversi istituti, non solo italiani, ma anche del mondo».
Alcuni detenuti hanno voluto accogliere Francesco scrivendogli una lettera. Massimo, ad esempio, gli dice: «Una volta che supererai i cancelli di San Vittore sarai un fratello anche per me, che qui mi trovo da un po’ di tempo e non ho fede. Grazie di rappresentare l’amore e non necessariamente solo una religione». Mustapha, musulmano: «Tu anche a noi di religione diversa ispiri fiducia con bellissime parole che riuniscono in fratellanza tutte le religioni». Fatjoni: «Grazie di donare con la tua visita una briciola d’amore eterno a noi detenuti sospesi nel limbo tra il bene e il male». Ivan: «Se ritiene opportuno regalare una preghiera per la mia famiglia darà a questa mia carcerazione un senso e un po’ di pace e serenità».
Moutabbid Abdelkbir: «Le chiedo di fare una preghiera per darmi la forza di portare a termine la mia situazione, per un benessere mio e di mia sorella che è in attesa della mia prima nipotina: vorrei godermela fuori da queste mura visto tutto il sacrificio che fa ogni settimana per venirmi a trovare. Anche se sono musulmano, una parte di me crede in lei». Più scanzonato, Fabrizio: «Non so cosa tu abbia combinato per finire qui con noi, ma ti abbiamo già preparato un letto al quarto piano del terzo reparto: le lenzuola ci sono, devi solo procurarti il pigiama. Ti aspettiamo. Ciao Fra!». Paloka Melsed: «Ti chiedo una preghiera, caro Francesco. Poche parole, ma che pronunciate da te hanno la forza e l’intensità per cambiare la mia situazione. Aiutami a diventare un cristiano e un uomo migliore». Ghanim Larbi: «Sto scontando la mia condanna per colpa della mia tossicodipendenza. Quel che non vedo giusto è che la giustizia colpisce purtroppo non solo chi ha sbagliato, come me, ma anche i suoi affetti familiari».
Foto Stefano Mariga/Itl/Ansa