Il Papa li ha salutati uno a uno: Ahmed, sudanese che spera nella pace in Darfour da dove manca dal 2011; Cho, camerunense di 22 anni che è dovuto scappare dalla Nigeria, dal Niger, dalla Libia; Hector, da otto anni in Italia, fuggito dal Congo Brazaville dove era insegnante di matematica e dove hanno ucciso la moglie; Kone, perseguitato in Costa D'Avorio e fuggito nel 2003. E poi ancora Mallam, Mamadou, Nzita...
Storie che si assomigliano tutte nella disperazione e nella fuga. Politici, assistenti sociali, coreografi, economisti. Molti laureati nei loro Paesi. Molti sposati con figli. Persone che hanno perso tutto... o quasi. Papa Francesco li ascolta. Una ventina di immigrati in tutto che rappresentano, come dicono loro stessi, «le molte, troppe persone che oggi si trovano lontane dalle loro terre e dai loro affetti».
Tra i fuori programma della due giorni a Torino, dopo la visita alla chiesa di Santa teresa e quella all'ospedale la Molinette dove era stato ricoverato il sostituto di Stato monsignor Angelo Becciu, c'è anche questo incontro fra la gente, subito dopo il pranzo con i parenti.
E i ragazzi si lasciano andare alla gratitudine per le parole del Papa «che sono per noi ossigeno. Al di là della fede di ciascuno di noi», dicono, in Lei troviamo la parola del nostro Dio. Fraterna, caritatevole e, inspiegabilmente, umana».
Non capita spesso, dicono gli immigrati, «di trovare comprensione e umanità. Cerchiamo conforto ogni giorno negli sguardi, nei sorrisi, nelle rare attenzioni che qualcuno ci dedica».
Un ossigeno che il gruppo vuole continuare a respirare. «Le chiediamo», scrivono in una lettera che hanno voluto intitolare "Siamo tutti migranti, siamo tutti persone", «di continuare ad avere pensieri e parole per tutti coloro che hanno sete di giustizia e nel resto del Mondo».
Poi il cambio di macchina nella caserma dei vigili del fuoco. Il Papa scende e saluta i pompieri. Un altro piccolo assaggio di folla prima di prendere la via di Roma e lasciare la «terra benedetta di cui sono nipote».