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domenica 06 ottobre 2024
 
 

Il Papa ad Assisi: la forza della pace

27/10/2011  Benedetto XVI insieme ai leader religiosi: negare Dio produce violenza. Anche i cristiani hanno colpe e il Papa si vergogna. Critiche dai seguaci di Lefebvre. Riso a pranzo.

Assisi, dal nostro inviato

La religione è sempre forza di pace e il no a Dio produce crudeltà e violenze. Benedetto XVI parla alla fine nella basilica di Santa Maria degli Angeli davanti ai leader religiosi nel mondo ricordando la storica giornata voluta da Papa Giovanni Paolo II 25 anni fa. La novità è che quest’anno vi sono anche i non credenti e a loro ha dedicato una parte centrale del discorso, spiegando che si tratta di “ritrovarsi insieme in questo essere in cammino verso la verità, dell’impegno deciso per la dignità dell’uomo e del farsi carico insieme della causa della pace contro ogni specie di violenza distruttrice del diritto”. Benedetto XVI ha ribadito che la religione vissuta rettamente “è una forza di pace”; ha parlato della strumentalizzazione del terrorismo “motivato religiosamente e  ha ammesso, ripetendo di mea culpa di Giovanni Paolo II, che “nella storia anche in nome della fede cristiana si è fatto ricorso alla violenza”: “Lo riconosciamo, pieni di vergogna”. Poi ha aggiunto con parole severe: “E’ assolutamente chiaro che questo è stato un utilizzo abusivo della fede cristiana”.

Quindi ha accennato alla “ violenza di quanti pretendono la scomparsa della religione”, sottolineando che “il no a Dio ha prodotto crudeltà e una violenza senza misura, che è stata possibile solo perché l’uomo non riconosceva più alcuna norma e alcun giudice al di sopra di sé, ma prendeva come norma soltanto se stesso”. Qui ha fatto l’esempio degli “orrori dei campi di concentramento”, che mostrano “in tutta chiarezza le conseguenze dell’assenza di Dio”. Riferendosi ai non credenti presenti ad Assisi il Papa ha osservato che essi “sono alla ricerca di Dio” e  “pellegrini della verità, pellegrini della pace”, che “pongono domande sia all’una che all’altra parte”: “Tolgono agli atei combattivi la loro falsa certezza, con la quale pretendono di sapere che non c’è un Dio, e li invitano a diventare, invece che polemici, persone in ricerca, che non perdono la speranza che la verità esista e che noi possiamo e dobbiamo vivere in funzione di essa. Ma chiamano in causa anche gli aderenti alle religioni, perché non considerino Dio come una proprietà che appartiene a loro così da sentirsi autorizzati alla violenza nei confronti degli altri”.

Nel corso dell’incontro hanno preso la parola diversi leader religiosi. Il Patriarca ortodosso di Costantinopoli Bartolomeo I, ha sottolineato che bisogna “opporsi alla deformazione del messaggio delle religioni e dei loro simboli da parte degli autori delle violenze”. Il concetto è stato ripreso nel testo preparato dall’intellettuale islamico Muzadi, che all’ultimo monento non ha potuto partecipare, e che è stato letto davanti al Papa: “Correggere le comprensioni errate delle religioni che portano a conflitti sociali tra l’umanità”. Il rappresentante musulmano ha rilevato che spesso “gli interessi delle autorità politiche sono etichettati come religiosi” e se le religioni si “metteno a loro volta a servizio di tali interessil, allora le comunità religiose saranno sempre in guerra tra loro”.

Durante la mattinata, mentre il Papa e i capi religiosi si riunivano nella basilica di santa Maria degli Angeli, i lefebvriani italiani hanno pubblicato un durissimo comunicato contro il Papa nel quale annunciano per oggi una “giornata di riparazione” per “l’umiliazione della Sposa di Cristo” avvenuta nella basilica di Assisi “mettendola sullo stesso piano delle false relgioni”. Nel testo i lefebvriani spiegano che guere nel mondo in questi anni sono la “risposta” di Dio proprio agli errori commessi nel 1986 da Karol Wojtyla ad Assisi. Dopo la cerimonia i leader religiosi si sono trasferiti accantoi nel convento dei francescani dove hanno consumato un pasto frugale: riso bollito con verdure, insalata, frutta e succo di frutta. Poi si sono ritirati ognuno in una cella del convento per la preghiera personale.

 
 
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