In piazza San Pietro arriva con la jeep bianca e fa salire a bordo tre bambini ucraini. «Non dimentichiamo l’Ucraina, non perdiamo la memoria della sofferenza di quel popolo martoriato», dirà nei saluti finali pregando anche per lAfghanistam e per i confratelli gesuiti e il laico uccisi in Messico. Papa Francesco, all'inizio dell'udienza saluta la folla prima di scendere dalla macchina e fare, senza sedia a rotelle, i pochi passi che lo separano dalla poltrona sul sagrato della basilica. Parla anche di questo, della difficoltà degli anziani a muoversi, continuando la sua catechesi sulla vecchiaia. Il brano del Vangelo che commenta questo mercoledì è quello di Giovanni, capitolo 21, il dialogo con Pietro e il commento su Giovanni, l’apostolo che Gesù amava. «È un dialogo commovente», dice il Pontefice, «da cui traspare tutto l’amore di Gesù per i suoi discepoli, e anche la sublime umanità del suo rapporto con loro, in particolare con Pietro: un rapporto tenero, ma non melenso, diretto, forte, libero e aperto». Un dialogo nel quale Gesù più volte chiede a Pietro se lo ama e poi l’invito a seguirlo. «Nel corso della discussione di Gesù con Pietro», ricorda Francesco, «troviamo due passaggi che riguardano precisamente la vecchiaia e la durata del tempo: il tempo della testimonianza, il tempo della vita. Il primo passo è l’avvertimento di Gesù a Pietro: quando eri giovane eri autosufficiente, quando sarai vecchio non sarai più così padrone di te e della tua vita. E anche la tua testimonianza si accompagnerà a questa debolezza». Giovanni allude al martirio e alla morte, ma si può parlare anche della vecchiaia, quando la testimonianza chiede di accettare la propria fragilità di lasciarsi plasmare «dalla tua impotenza, dalla tua dipendenza da altri, persino nel vestirsi, nel camminare. Ma tu “seguimi”». L’importante è seguire Gesù, anche con il bastone, in sedia a rotelle, seguirlo, cioè «trovare la strada per rimanere nella sua professione di fede – “Signore, tu lo sai che ti voglio bene”, anche nelle condizioni limitate della debolezza e della vecchiaia».
È difficile fare i conti con la propria debolezza, lasciare andare il nostro voler essere sempre protagonisti, l’accettare i limiti del nostro corpo, il doversi affidare agli altri. «Ma di nuovo», dice il Pontefice, «dobbiamo interrogarci: disponiamo di una spiritualità realmente capace di interpretare la stagione – ormai lunga e diffusa – di questo tempo della nostra debolezza affidata ad altri, più che alla potenza della nostra autonomia? Come si rimane fedeli alla sequela vissuta, all’amore promesso, alla giustizia cercata nel tempo della nostra capacità di iniziativa, nel tempo della fragilità della dipendenza, del congedo dal protagonismo della nostra vita?». La vecchiaia + un tempo della prova. Anche della tentazione di non voler cedere il passo. Quando Pietro guarda Giovanni, il discepolo giovane, che li segue chiede a Gesù cosa ci fa lì. «Deve proprio stare nella “mia” sequela? Deve forse occupare il “mio” spazio? Deve durare più di me e prendersi il mio posto? La risposta di Gesù è franca e persino ruvida: “A te che importa? Tu seguimi”». Francesco spiega che «gli anziani non dovranno essere invidiosi dei giovani che prendono la loro strada, che occupano il loro posto, che durano più di loro. L’onore della loro fedeltà all’amore giurato, la fedeltà alla sequela della fede creduta, anche nelle condizioni che li avvicinano al congedo della vita, sono il loro titolo di ammirazione per le generazioni che vengono e di grato riconoscimento da parte del Signore».