«Se la forbice tra gli stipendi più alti e quelli più bassi diventa troppo larga, si ammala la comunità aziendale, e presto si ammala la società». Nel richiamare il principio di equità nell’udienza a Confindustria papa Francesco cita anche l’esempio di Adriano Olivetti, «un vostro grande collega del secolo scorso», così lo definisce, che «aveva stabilito un limite alla distanza tra gli stipendi più alti e quelli più bassi, perché sapeva che quando i salari e gli stipendi sono troppo diversi si perde nella comunità aziendale il senso di appartenenza a un destino comune, non si crea empatia e solidarietà tra tutti; e così, di fronte a una crisi, la comunità di lavoro non risponde come potrebbe rispondere, con gravi conseguenze per tutti».
Francesco ha ricevuto i partecipanti all'Assemblea pubblica di Confindustria, guidati dal presidente Carlo Bonomi, nell’Aula Paolo VI toccando vari temi, dalla crisi economica attuale alle tasse. «Il valore che voi create dipende da tutti e da ciascuno: dipende anche dalla vostra creatività, dal talento e dall'innovazione, ma dipende anche dalla cooperazione di tutti, dal lavoro quotidiano di tutti», ha detto, «Perché se è vero che ogni lavoratore dipende dai suoi imprenditori e dirigenti, è anche vero che l'imprenditore dipende dai suoi lavoratori, dalla loro creatività, dal loro cuore e dalla loro anima: dipende dal loro “capitale” spirituale».
Il Pontefice ha richiamato gli imprenditori sui salari: «Creare lavoro poi genera una certa uguaglianza nelle vostre imprese e nella società. È vero che nelle imprese esiste la gerarchia, è vero che esistono funzioni e salari diversi, ma i salari non devono essere troppo diversi. Oggi la quota di valore che va al lavoro è troppo piccola, soprattutto se la confrontiamo con quella che va alle rendite finanziarie e agli stipendi dei top manager». Il Pontefice è partito dalla crisi attuale: «Questo tempo non è un tempo facile, per voi e per tutti. Anche il mondo dell'impresa sta soffrendo molto. La pandemia ha messo a dura prova tante attività produttive, tutto il sistema economico è stato ferito. E ora si è aggiunta la guerra in Ucraina con la crisi energetica che ne sta derivando», ha detto sottolineando come «In queste crisi soffre anche il buon imprenditore che ha la responsabilità della sua azienda, dei posti di lavoro, che sente su di sé le incertezze e i rischi».
Secondo Francesco, «nel mercato ci sono imprenditori “mercenari” e imprenditori simili al buon pastore (cfr Gv 10,11-18), che soffrono le stesse sofferenze dei loro lavoratori, che non fuggono davanti ai molti lupi che girano attorno. La gente sa riconoscere i buoni imprenditori - ha aggiunto -. Lo abbiamo visto anche recentemente, alla morte di Alberto Balocco: tutta la comunità aziendale e civile era addolorata e ha manifestato stima e riconoscenza».
Bergoglio, partendo dal Vangelo, si è soffermato sull’uso del denaro: «La Chiesa fin dagli inizi ha accolto nel suo seno anche mercanti, precursori dei moderni imprenditori» e «nel Vangelo non ci sono soltanto i trenta denari di Giuda» ma anche i «due denari» del Samaritano. In effetti, ha aggiunto, «lo stesso denaro può essere usato, ieri come oggi, per tradire e vendere un amico o per salvare una vittima. Lo vediamo tutti i giorni quando i denari di Giuda e quelli del buon samaritano convivono negli stessi mercati, nelle stesse borse valori, nelle stesse piazze. L'economia cresce e diventa umana quando i denari dei samaritani diventano più numerosi di quelli di Giuda».
«Ma la vita degli imprenditori nella Chiesa non è stata sempre facile», ha sottolineato il Pontefice. In realtà, «si può essere mercante, imprenditore, ed essere seguace di Cristo, abitante del suo Regno. La domanda allora diventa: quali sono le condizioni perché un imprenditore possa entrare nel Regno dei cieli?». E il Papa ne ha indicate alcune, come la «condivisione» e la «creazione di lavoro».
Sulla prima ha spiegato che «la ricchezza, da una parte, aiuta molto nella vita; ma è anche vero che spesso la complica: non solo perché può diventare un idolo e un padrone spietato che si prende giorno dopo giorno tutta la vita». «La complica anche perché la ricchezza chiama a responsabilità - ha proseguito -: una volta che possiedo dei beni, su di me grava la responsabilità di farli fruttare, di non disperderli, di usarli per il bene comune».
Sulla ricchezza ha notato che «crea attorno a sé invidia, maldicenza, non di rado violenza e cattiveria. Gesù stesso ci dice che è molto difficile per un ricco entrare nel Regno di Dio. Difficile, ma non impossibile». Secondo il Pontefice, «per entrare nel Regno dei cieli, non a tutti è chiesto di spogliarsi come il mercante Francesco d'Assisi; ad alcuni che possiedono ricchezze è chiesto di condividerle. La condivisione è un altro nome della povertà evangelica».
Per il Papa un’altra forma di condivisione della ricchezza, «spesso non capita», chiosa, sono le tasse: «Il patto fiscale è il cuore del patto sociale. Le tasse sono anche una forma di condivisione della ricchezza, così che essa diventa beni comuni, beni pubblici: scuola, sanità, diritti, cura, scienza, cultura, patrimonio». Le tasse «devono essere giuste, eque, fissate in base alla capacità contributiva di ciascuno, come recita la Costituzione. Il sistema e l'amministrazione fiscale devono essere efficienti e non corrotti. Ma non bisogna considerare le tasse come un'usurpazione. Sono un'alta forma di condivisione di beni, il cuore del patto sociale».
Anche creare posti di lavoro è un modo di condividere la ricchezza: «Lavoro per tutti, in particolare per i giovani. I giovani hanno bisogno della vostra fiducia, e voi avete bisogno dei giovani, perché le imprese senza giovani perdono innovazione, energia, entusiasmo», ha detto, «da sempre il lavoro è una forma di comunione di ricchezza: assumendo persone voi state già distribuendo i vostri beni, state già creando ricchezza condivisa. Ogni nuovo posto di lavoro creato è una fetta di ricchezza condivisa in modo dinamico. Sta anche qui la centralità del lavoro nell'economia e la sua grande dignità. Oggi la tecnica rischia di farci dimenticare questa grande verità, ma se il nuovo capitalismo creerà ricchezza senza più creare lavoro, va in crisi questa grande funzione buona della ricchezza», ha osservato il Pontefice. «E parlando dei giovani - ha proseguito'a braccio -, io quando trovo governanti mi dicono, tanti, “il problema del mio Paese è che i giovani vanno fuori, perché non hanno possibilità”. Creare il lavoro è una sfida, e alcuni Paesi sono in crisi per questa mancanza. Io vi chiedo questo favore, che qui, in questo Paese, grazie alla vostra iniziativa, al vostro coraggio, ci siano posti di lavoro, si creino, soprattutto per i giovani».
Francesco ha poi chiesto agli imprenditori: «Come vivere oggi questo spirito evangelico di condivisione? Le forme», ha continuato, «sono diverse, e ogni imprenditore può trovare la propria, secondo la sua personalità e la sua creatività. Una forma di condivisione è la filantropia, cioè donare alla comunità, in vari modi - ha aggiunto -. E qui voglio ringraziarvi per il vostro sostegno concreto al popolo ucraino, specialmente ai bambini sfollati, perché possano andare a scuola».
Il Papa ha chiesto di cambiare paradigma di pensiero sulla questione dell’occupazione: «Il problema del lavoro non può risolversi se resta ancorato nei confini del solo mercato del lavoro: è il modello di ordine sociale da mettere in discussione. E quale modello di ordine sociale? Qui si tocca la questione della denatalità, la combinata con il rapido invecchiamento della popolazione, sta aggravando la situazione per gli imprenditori, ma anche per l'economia in generale: diminuisce l'offerta dei lavoratori e aumenta la spesa pensionistica a carico della finanza pubblica. È urgente sostenere nei fatti le famiglie e la natalità», ha sottolineato, «su questo dobbiamo lavorare per uscire più presto possibile dall'inverno demografico nel quale vive l'Italia, e anche altri Paesi», ha aggiunto a braccio, «È un brutto inverno demografico, che va contro di noi. E ci impedisce questa capacità di crescere. Oggi fare i figli è una questione io direi anche patriottica, per portare il Paese avanti».
A salutare il Pontefice, all’inizio dell’udienza, il presidente di Confindustria Bonomi: Siamo in «un Paese smarrito, diviso, ingiusto con troppi dei suoi figli e con lo sguardo schiacciato sui bisogni del presente», c'è bisogno di «parole alte, di valori e di una visione che sappia guardare, insieme, lontano ed in profondità», ha detto, rivolgendosi direttamente a Francesco: «Santo Padre, desidero ringraziarla a nome di tutti i presenti, dal profondo del cuore, per la straordinaria opportunità che ci ha concesso, ricevendoci in Udienza quest'oggi», ha esordito il leader degli industriali all'ingresso del Pontefice, accolto da un lunghissimo applauso della platea di imprenditori, «lo dico con grande sincerità: i nostri cuori e le nostre menti hanno un intimo bisogno di parole alte, di valori e di una visione che sappia guardare - insieme - lontano e in profondità. Viviamo e operiamo in un'Italia che ai nostri occhi mostra di aver troppo spesso smarrito la capacità di condivisione e unione su valori fondamentali. Un Paese smarrito, diviso, ingiusto con troppi dei suoi figli e con lo sguardo schiacciato sui bisogni del presente», ha proseguito il presidente di Confindustria, che evidenzia: «Ecco perché, Santità, abbiamo fortemente desiderato questo incontro. Noi rappresentiamo oltre 150mila aziende in cui lavorano più di 5,5milioni di persone. Il nostro tessuto imprenditoriale è fortemente diversificato e integrato, fatto di imprese grandi, medie, piccole e startup, molte con lo sguardo rivolto all'estero e tutte con radici profondamente ancorate al territorio di origine. Le nostre imprese sono luoghi vivi della comunità, il cui Dna è la sintesi tra l'ingegno, l'idea progettuale e creativa e il “fare”, il “fare bene” con passione e grande senso di responsabilità per la crescita economica, il progresso e la coesione sociale». Ma, ha rimarcato, «oggi non siamo qui per la forza che rappresentiamo nell'economia italiana. Siamo qui con le nostre famiglie e i nostri figli. Perché come imprenditrici e imprenditori prima di ogni altra cosa siamo uomini e donne, con il nostro portato di difficoltà grandi e piccole, di preoccupazioni, di aspettative, di fallimenti a volte e di successi altre. Siamo lavoratrici e lavoratori e condividiamo ogni giorno con i nostri collaboratori fatiche e gioie, problematiche da risolvere insieme, innovazioni da ideare e portare avanti. E siamo padri, madri, figli: viviamo e lavoriamo cercando di fare il nostro meglio, con amore e attenzione per la famiglia, che è certamente quella di origine ma anche quella che si forma, in modo del tutto naturale, all'interno del luogo di lavoro. L'impresa, infatti, non è un mero aggregato di fattori fisici, immateriali e finanziari volti alla miglior produzione. L'impresa è le persone che la fanno e tutte quelle con le quali interagisce. Diversamente compromette e perde la sua anima: che è quella fondata sull'essere umano, per l'essere umano». Oggi, ha sottolineato il leader degli industriali, «a procurarci grande preoccupazione non sono solo gli effetti della spaventosa guerra in corso in Ucraina, i costi dell'energia e la perdurante bassa occupazione nel nostro Paese, ma l'onda di smarrimento, sfiducia e sofferenza sociale che esprime una parte troppo vasta della società italiana. Una sofferenza alla quale sentiamo l'urgenza di provare a dare una risposta, insieme a tutti gli altri attori della società, convinti che la direzione verso cui andare è quella di garantire il lavoro, che è certamente la questione chiave. Lavoro che Voi, Santo Padre, avete definito nelle sue caratteristiche: “libero, creativo, partecipativo e solidale”. Quel lavoro “nel quale l'essere umano esprime e accresce la dignità della propria vita”. Siamo consapevoli dei nostri doveri verso la società. Non abbiamo alcuna pretesa di essere perfetti. E a Voi, Santo Padre, ci rivolgiamo per accrescere la nostra buona volontà e i nostri sforzi concreti, ma anche e soprattutto per aiutarci a correggere i nostri errori».