Budapest, dalla nostra inviata
Il regalo insolito è il cubo magico inventato dall’ungherese Rubik nel 1974. Il responsabile per la pastorale giovanile, monsignor Ferenc Palanki, consegna al Papa anche una bottiglia di vino. Il Papa ringrazia e sorride. È ansioso di ascoltare, dopo averli visti ballare e sentiti cantare, i giovani. Dal quindicenne Bertalan Krabót, studente del Liceo degli Scolopi Dugonics Árpád di Szeged (diocesi di Szeged-Csanád), ai diciassettenni Dóra Csóka e Tódor Levcsenkó, la prima studentessa del Liceo dei Cistercensi Nagy Lajos di Pécs (Diocesi di Pécs) e il secondo studente del Liceo dei Gesuiti Fényi Gyula di Miskolc (Ungheria), ma proveniente dall’Eparchia di Munkachevo (Ucraina)alla ventenne Krisztina Nagy, che frequenta l'Università Cattolica Eszterházy Károly, nell’arcidiocesi di Eger. Raccontano come hanno scoperto la fede, come l’hanno coltivata anche nei giorni di guerra e di crisi profonda. Il Papa dichiara subito di essere «felice di stare con voi». Li sprona a non accontentarsi di risposte preconfezionate per i loro dubbi, ma di cercare risposte grandi. Ricorda che il Signore è pronto a risollevarci dalle nostre cadute, a perdonarci. Lo fa ripetere a tutti i giovani chiamando in causa il traduttore. «Mettete questo nella testa: Dio non vuole condannare, ma perdonare. Mettete questo nella testa: Dio perdona sempre. Dio perdona sempre. Come si dice in ungherese, come si dice tu che sei il traduttore». E poi chiede anche un po’ di silenzio perché ciascuno possa rispondere nel suo cuore alla domanda «Cosa cercate? Che cosa cercate nella vita, che cosa cercate nel vostro cuore? In silenzio ognuno risponde dentro di sé. Che cosa cerco io?». Ricorda che «Gesù non fa tanta predica, no, fa strada, fa strada insieme a ciascuno di noi, non vuole che i suoi discepoli siano scolari che ripetono una lezione, ma giovani liberi e in cammino, compagni di strada di un Dio che ascolta, che ascolta i loro bisogni ed è attento ai loro sogni». Resta vicino a loro anche quando scivolano quando fanno richieste sbagliate come i due che vorrebbero stare uno alla sua destra e uno alla sua sinistra quando Lui diventerà Re. «Ma è interessante», spiega il Papa, «vedere che Gesù non li rimprovera per aver osato, non dice loro: “Come vi permettete, smettete di sognare queste cose!”. No, Gesù non abbatte i loro sogni, ma li corregge sul modo di realizzarli; accetta il loro desiderio di arrivare in alto, è buono quello, ma insiste su una cosa, da ricordare bene: non si diventa grandi scavalcando gli altri, ma abbassandosi verso gli altri; non a discapito degli altri, ma servendo gli altri».
Gesù, continua il Pontefice, «è felice che raggiungiamo grandi traguardi. Non ci vuole pigri e poltroni, non ci vuole zitti e timidi, ci vuole vivi, attivi, protagonisti, protagonisti della storia. E non svaluta mai le nostre aspettative ma, al contrario, alza l’asticella dei nostri desideri». Pronuncia in ungherese il proverbio Aki mer az nyer [Chi osa vince] e spiega che, per vincere, come nello sport, bisogna fare due cose: puntare in alto e allenarsi. Tutti abbiamo dei talenti. E allora non vanno messi da parte pensando che per essere felice basti il minimo indispensabile: un titolo di studio, un lavoro per guadagnare, divertirsi un po’… No, metti in gioco quello che hai, ma mettilo in gioco. Hai una buona qualità? Investi su quella, senza paura! Senti nel cuore che hai una capacità che può far bene a tanti? Senti che è bello amare il Signore, creare una famiglia numerosa, aiutare chi è bisognoso? Vai avanti. Non pensare che siano desideri irrealizzabili, ma investi sui grandi traguardi della vita! investi sui grandi traguardi della vita! Questo è il primo: puntare in alto, non abbassarsi. E poi allenarsi». Francesco indica Gesù come il miglior allenatore possibile. Perché «lui ti ascolta, ti motiva, crede in te, sa tirar fuori il meglio di te. E sempre invita a fare squadra: mai da soli ma con gli altri. Questo è molto importante: se vuoi maturare e crescere nella vita fai squadra». Un’occasione è anche quella delle Giornate Mondiali della Gioventù. «Colgo l’occasione», dice il Papa, «per invitarvi alla prossima, che sarà in Portogallo, a Lisbona, all’inizio di agosto». Li mette in guardia dall’accontentarsi di «un cellulare e di qualche amico. Poca cosa. Ma, anche se questo è ciò che fanno tanti, anche se fosse quello che ti va di fare, non fa bene. Non puoi chiuderti in un gruppo di amici piccolino e dialogare soltanto con il cellulare questa è una cosa, permettetemi la parola un po’ stupida».
Per allenarsi, però, serve anche il silenzio. «Oggi tutto vi dice che bisogna essere veloci, efficienti, praticamente perfetti, come delle macchine! Ma poi ci accorgiamo che spesso finiamo la benzina e non sappiamo cosa fare. Fa tanto bene sapersi fermare per fare il pieno, per ricaricare le batterie. Ma attenzione: non per immergersi nelle proprie malinconie o rimuginare sulle proprie tristezze, non per pensare a chi mi ha fatto questo o quello, facendo teorie su come si comportano gli altri; questo non fa bene! Questo è un veleno, questo non si fa. Il silenzio è il terreno su cui coltivare relazioni benefiche, perché permette di affidare a Gesù ciò che viviamo, di portargli volti e nomi, di gettare in Lui gli affanni, di passare in rassegna gli amici e dire una preghiera per loro. Il silenzio ci dà la possibilità di leggere una pagina di Vangelo che parla alla nostra vita, di adorare Dio ritrovando così la pace nel cuore. Il silenzio permette di prendere in mano un libro che non sei costretto a leggere, ma che ti aiuta a leggere l’animo umano, di osservare la natura per non stare solo a contatto con cose fatte dagli uomini e scoprire la bellezza che ci circonda. Ma il silenzio non è per incollarsi ai cellulari e ai social; no, per favore: la vita è reale, non virtuale, non avviene su uno schermo, ma nel mondo! Per favore non virtualizzare la vita». E per parlare della preghiera il Papa ricorda anche il grande compositore Ferenc Liszt. «Durante la pulitura del suo pianoforte furono trovati dei grani del rosario che forse, rompendosi, erano caduti dentro lo strumento. È un indizio che ci fa pensare come, prima di un componimento o di un’esecuzione, magari anche dopo un momento di divertimento al pianoforte, fosse abituale per lui pregare: parlava al Signore e alla Madonna di ciò che amava e metteva la sua arte e i suoi talenti nella preghiera. Pregare non è noioso. Siamo noi a farlo noioso. Pregare è un incontro, un incontro con il Signore, è bello. E quando pregate non abbiate paura di portare a Gesù tutto quello che passa nel vostro mondo interiore: gli affetti, i timori, i problemi, le aspettative, i ricordi, le speranze, anche i peccati, lui capisce tutto». Capisce le fatiche e le speranze, le fragilità. Infine prende a prestito le parole di Teodor che aveva ricordato come «lo zelo per la missione è anestetizzato dal nostro vivere nella sicurezza e nell’agio, mentre a non molti chilometri da qui la guerra e la sofferenza sono all’ordine del giorno. Ecco allora l’invito: prendere in mano la vita per aiutare il mondo a vivere in pace. Lasciamoci scomodare da questo, chiediamoci, ciascuno di noi: io che cosa faccio per gli altri, per la Chiesa, per la società? Vivo pensando al mio bene o mi metto in gioco per qualcuno, senza calcolare i miei interessi? Per favore interroghiamoci sulla nostra gratuità, sulla nostra capacità di amare secondo Gesù, cioè amare e servire».
E prima di chiudere Francesco ricorda il Vangelo letto durante la Messa per il Congresso eucaristico di un anno e mezzo fa. Nel Vangelo di Giovanni si ricordava la moltiplicazione dei pani e dei pesci. Il Papa sottolinea che c’era un giovane previdente che aveva portato con se il pranzo. Ma il Vangelo non racconta un particolare: «Come avranno fatto i discepoli a convincere quel giovane a dare tutto ciò che aveva? “Io ho portato il mio pranzo”. Forse gli avranno chiesto di mettere a disposizione il suo pranzo e lui si sarà guardato attorno, vedendo migliaia di persone. E forse, come loro, avrà risposto dicendo: “Non basta, perché chiedete a me e non ve ne occupate voi, che siete i discepoli di Gesù?”. Chi sono io? Allora, magari, gli avranno detto che era Gesù stesso a chiederne. E Lui fa una cosa straordinaria: si fida, quel ragazzo che aveva il pranzo per lui si fida, dà tutto, non tiene nulla per sé. Era venuto per ricevere da Gesù e si trova a dare a Gesù. Ma così avviene il miracolo. Nasce dalla condivisione: la moltiplicazione operata da Gesù comincia dalla condivisione di quel giovane con Lui e per gli altri. Il poco di quel ragazzo nelle mani di Gesù diventa molto. Ecco dove porta la fede: alla libertà di dare, all’entusiasmo del dono, al vincere le paure, a mettersi in gioco! Amici, ciascuno di voi è prezioso per Gesù, e anche per me! Ricordati che nessuno può prendere il tuo posto nella storia del mondo, nella storia della Chiesa: nessuno può fare quello che solo tu puoi fare. Aiutiamoci allora a credere che siamo amati e preziosi, che siamo fatti per cose grandi. Preghiamo per questo e incoraggiamoci in questo».