No ai muri, no a un’economia fine a se stessa, no agli egoismi e alle chiusure, ai particolarismi che frantumano ideali e diritti. No alla paura. Papa Francesco richiama i leader europea a guardare alle proprie radici, alle motivazioni profonde che 60 anni fa spinsero i padri fondatori a cercare unità, ad aprirsi alla speranza. È un lungo discorso quello che Bergoglio legge ai 27 capi di Stato e di Governo che, insieme con le delegazioni, ha ricevuto nella Sala Regia. Traccia una mappa, come già aveva fatto parlando alle istituzioni europee quando aveva ricevuto il premio Carlo Magno, ricordando le attese e le speranze di quel 25 marzo 1947. Speranze di pace, dopo le Guerre mondiali, speranze di sviluppo e benessere, di tutela delle persone. «Dopo gli anni bui e cruenti della Seconda Guerra Mondiale, i leader del tempo hanno avuto fede nella possibilità di un avvenire migliore», dice Francesco.
«I Padri fondatori», continua, «ci ricordano che l’Europa non è un insieme di regole da osservare, non un prontuario di protocolli e procedure da seguire. Essa è una vita, un modo di concepire l’uomo a partire dalla sua dignità trascendente e inalienabile e non solo come un insieme di diritti da difendere, o di pretese da rivendicare». E, sottolineando che «fu chiaro fin da principio che il cuore pulsante del progetto politico europeo non poteva che essere l’uomo» così come «fu altrettanto evidente il rischio che i Trattati rimanessero lettera morta» riconosce nella «solidarietà» il primo elemento della vitalità europea. Rievoca lo "spirito" degli inizi, Jorge Mario Bergoglio. E precisa:«Tale spirito è quanto mai necessario oggi, davanti alle spinte centrifughe come pure alla tentazione di ridurre gli ideali fondativi dell’Unione alle necessità produttive, economiche e finanziarie».
Solidarietà, dunque. Una solidarietà che i padri fondatori dell’Europa volevano coltivare ed espandere. «In un mondo che conosceva bene il dramma di muri e divisioni», dice Francesco, «era ben chiara l’importanza di lavorare per un’Europa unita e aperta e la comune volontà di adoperarsi per rimuovere quell’innaturale barriera che dal Mar Baltico all’Adriatico divideva il continente. Tanto si faticò per far cadere quel muro! Eppure oggi si è persa la memoria della fatica. Si è persa pure la consapevolezza del dramma di famiglie separate, della povertà e della miseria che quella divisione provocò. Laddove generazioni ambivano a veder cadere i segni di una forzata inimicizia, ora si discute di come lasciare fuori i “pericoli” del nostro tempo: a partire dalla lunga colonna di donne, uomini e bambini, in fuga da guerra e povertà, che chiedono solo la possibilità di un avvenire per sé e per i propri cari».
Non bisogna perdere la memoria, continua papa Francesco. Che significa anche ricordare «un’altra grande conquista frutto della solidarietà sancita il 25 marzo 1957: il più lungo tempo di pace degli ultimi secoli». Ma se i padri dell’Europa ebbero la forza di immaginare e cominciare a costruire l’unità fu anche perché erano animati «dalla certezza di essere parte di un’opera più grande delle loro persone e dall’ampiezza dell’ideale che li animava. Il loro denominatore comune era lo spirito di servizio, unito alla passione politica, e alla consapevolezza che “all’origine della civiltà europea si trova il cristianesimo” senza il quale i valori occidentali di dignità, libertà e giustizia risultano per lo più incomprensibili». Da allora il mondo è cambiato, è vero.
E le grandi speranze del passato sono state sostituite dal concetto di crisi. «C’è la crisi economica, che ha contraddistinto l’ultimo decennio, c’è la crisi della famiglia e di modelli sociali consolidati, c’è una diffusa “crisi delle istituzioni” e la crisi dei migranti: tante crisi, che celano la paura e lo smarrimento profondo dell’uomo contemporaneo, che chiede una nuova ermeneutica per il futuro», dice il Papa. Ma, aggiunge, «il termine “crisi” non ha una connotazione di per sé negativa. Non indica solo un brutto momento da superare. La parola crisi ha origine nel verbo greco crino (κρίνω), che significa investigare, vagliare, giudicare Il nostro è dunque un tempo di discernimento, che ci invita a vagliare l’essenziale e a costruire su di esso: è dunque un tempo di sfide e di opportunità».
Guarda al futuro il Papa. E sprona i governanti a ritrovare speranza cercando le risposte nei pilastri stessi dell’Unione: «la centralità dell’uomo, una solidarietà fattiva, l’apertura al mondo, il perseguimento della pace e dello sviluppo, l’apertura al futuro. A chi governa compete discernere le strade della speranza, identificare i percorsi concreti per far sì che i passi significativi fin qui compiuti non abbiano a disperdersi, ma siano pegno di un cammino lungo e fruttuoso». E L’Europa «ritrova speranza quando l’uomo è il centro e il cuore delle sue istituzioni», «ritrova speranza nella solidarietà, che è anche il più efficace antidoto ai moderni Populismi». Dobbiamo essere consapevoli di essere parte di uno stesso corpo. «Se uno soffre, tutti soffrono. Così anche noi oggi piangiamo con il Regno Unito le vittime dell’attentato che ha colpito Londra due giorni fa. La solidarietà non è un buon proposito: è caratterizzata da fatti e gesti concreti, che avvicinano al prossimo, in qualunque condizione si trovi. Al contrario, i populismi fioriscono proprio dall’egoismo, che chiude in un cerchio ristretto e soffocante e che non consente di superare la limitatezza dei propri pensieri e “guardare oltre”. Occorre ricominciare a pensare in modo europeo, per scongiurare il pericolo opposto di una grigia uniformità, ovvero il trionfo dei particolarismi. Alla politica spetta tale leadership ideale, che eviti di far leva sulle emozioni per guadagnare consenso, ma piuttosto elabori, in uno spirito di solidarietà e sussidiarietà, politiche che facciano crescere tutta quanta l’Unione in uno sviluppo armonico, così che chi riesce a correre più in fretta possa tendere la mano a chi va più piano e chi fa più fatica sia teso a raggiungere chi è in testa». Ancora ritrova speranza «quando investe nello sviluppo e nella pace», quando è capace di aprirsi al futuro. E vale la pena di investire in questa speranza. Per questo il Papa fa sue «le parole che Joseph Bech pronunciò in Campidoglio: Ceterum censeo Europam esse ædificandam, d’altronde penso che l’Europa meriti di essere costruita».