Papa Francesco: «Il discernimento non è una moda, è nel Vangelo»
Papa Francesco: Grazie a te. Hai detto: “Caro Santo Padre”. Grazie, caro figlio! Le cattive lingue dicono che “adesso è di moda il discernimento: questo Papa è venuto qui con questa storia… Cosa c’entra qui?”. Ma il discernimento è nel Vangelo! Proprio nel Vangelo e in tutta la storia della Chiesa: è una storia di discernimento; e la storia delle anime è una storia di discernimento.Discernere, come la Ratio fundamentalis insiste tanto. Saper capire, nella vita: questo va, questo non va; questo viene da Dio, questo viene da me, questo viene dal diavolo. Questo è elementare, è elementare: è un linguaggio fondamentale per la vita di ogni cristiano, tanto più di un sacerdote. Discernere.
Ma ci sono due condizioni perché il discernimento sia giusto e vero. Primo, che si faccia in preghiera, cioè davanti a Dio, alla presenza del Signore. Saper capire bene quello che succede nel mio cuore, nella mia anima. “Devo fare questo… ma questo non mi lascia tranquillo…; va bene… perché?” – nella preghiera.
E l’altro è confrontare, avere un altro con cui confrontare quello che io porto avanti; un testimone: un testimone vicino, che non parla ma ascolta e poi dà gli orientamenti. Non ti risolve [il problema] ma ti dice: guarda questo, guarda questo, guarda questo…, questa non sembra una buona ispirazione per questo motivo, questa sì… Ma vai avanti tu e decidi tu! Però ti aiuta, e questo è importante averlo dall’inizio. Questa è l’esperienza che io ho avuto. Ho scoperto il desiderio del discernimento quando studiavo filosofia. Avevo fatto due anni di noviziato – senza discernimento [ridono, ride] – sì, bene, si pregava, io andavo dal padre spirituale, dal padre maestro e dicevo: “Ho sentito questo…”. E lui mi chiariva le situazioni, alla maniera, diciamo così, di quel tempo… Sto parlando dell’anno ’58, l’altro giorno ho fatto 60 anni di noviziato. Ma quando sono arrivato a filosofia, dopo l’anno di umanesimo, c’era lì un professore di metafisica, un gesuita bravissimo, padre Fiorito, che era anche il decano di filosofia. Era un “tifoso” della spiritualità ignaziana e uno specialista, ma uno specialista non solo teorico, ma pratico, nel discernimento. E lì ci ha insegnato tanto. E io ho fatto con lui nella teologia il mese degli Esercizi spirituali, e mi ha aiutato tanto nel discernere, quell’uomo. E poi, quando stavo per finire la carica di provinciale, ho ripetuto il Mese per prepararmi ad andare a un altro incarico; e lì ho imparato il discernimento. Nella filosofia ho incominciato, perché ho trovato quell’uomo che aveva questo carisma. Era un filosofo, che aveva fatto la laurea, la tesi dottorale sul desiderio di Dio in San Tommaso e poi insegnava metafisica, e poi era il decano. Era un padre spirituale; è stato il mio padre spirituale fino alla fine, quando è morto.
Questa è la mia esperienza: Mi ha aiutato sempre. Ma non sempre scrivevo le cose. Con il tempo, quando tu fai il discernimento, ti viene naturale farlo: “Questo è brutto, è brutto ma mi piace”, e vado avanti. Ma tu sai che vai avanti in una cosa brutta. Questo è successo a me. Ma dici la verità davanti a Dio. Bisogna sapere come sono le cose: “Questa è una porta aperta, credo che devo andare avanti a vedere cosa mi dice il Signore…”. E incomincio ad andare per questo sentiero. E il discernimento è un po’ così, si porta la vita. Ma sempre è bene avere un testimone, qualcuno con cui confrontare il mio esito, una cosa e l’altra e l’altra…
Il discernimento è importante. Quando non c’è discernimento – state attenti a questo! –, quando nella vita sacerdotale non c’è discernimento – perché l’ideale, quando uno è prete maturo, è il discernimento fatto quasi con naturalezza, che ti viene, dal tanto farlo, ti viene da solo, poi lo confronti ma vai, vai, vai, vai avanti –, ma quando non c’è discernimento, c’è rigidità e casistica. Quando tu non sei capace nella vita di andare avanti con le cose che succedono a te o che accadono fuori e giudicarle, tu diventerai rigido o cadrai nella casistica, nella logica del “questo si può, questo non si può”. Ed è tutto chiuso. Lo Spirito Santo non lavora. Perché Colui che ti aiuta nel discernimento è lo Spirito Santo, e noi abbiamo paura dello Spirito Santo… O tante volte non lo mettiamo nella nostra vita come compagno di strada. E’ proprio Lui che opera la nostra santità; è proprio Lui che ci spinge alla missionarietà; è proprio Lui che prepara la nostra anima all’ascolto. Ed è proprio Lui che crea in noi l’emozione spirituale che noi stessi dobbiamo discernere. Lo Spirito Santo… Noi abbiamo paura dello Spirito Santo; sempre abbiamo la tentazione di ingabbiarlo sia in gesti, sia in dottrine, ma che non si muova troppo. Ed è Colui che si muove, nella Chiesa. Discernere lo Spirito: dov’è lo Spirito… Cosa ha fatto Pietro quando è andato da Cornelio, per esempio (cfr Atti cap. 10)? Ha visto che lì lo Spirito agiva e ha capito, ha fatto discernimento spontaneo: “Questo è lo Spirito di Dio, e se lo Spirito è venuto, io battezzo”. Punto. Prende la decisione in un clima di discernimento. Cosa ha fatto Filippo, quando lo Spirito lo manda a quell’incrocio di strade dove veniva il ministro dell’economia della regina (cfr Atti 8,26-40)? Va, ascolta, sente che legge Isaia e incomincia la conversazione, e l’altro gli dice che non capisce nulla di questo; gli spiega, ma sente che è lo Spirito che lo porta e alla fine lo Spirito agisce nel cuore del ministro dell’economia: vede l’acqua e chiede il battesimo… Non è facile convertire un ministro dell’economia! [ridono] Ma lo Spirito Santo è stato capace di farlo. E cosa ha fatto Filippo? Non ha detto: “Ma… non ho portato il libro dei battesimi…, non ho portato l’olio per battezzarti…”. No. Ascolta lo Spirito, va, lo battezza o lo Spirito lo prende per i capelli e lo porta da un’altra parte. [ridono]
Perché dico questo? Perché quando tu vivi nello Spirito, esci, ti liberi dal “si può, non si può”. Questo non vuol dire che puoi fare qualsiasi cosa, no. Ma esci dalla prigione della casistica, esci dalla prigione della rigidità. E’ un altro linguaggio, ma è un linguaggio più difficile: è un modo di agire più difficile. Perché tu ti coinvolgi, lì, in una maniera diversa. Non lasci ai libri che dicano una cosa o un’altra. Ma per questo ci vuole familiarità con lo Spirito Santo. Quando gli Apostoli, nel primo Concilio di Gerusalemme, devono decidere come agire con quelli che vengono dal paganesimo, come incominciano la lettera che scrivono? “Ci è sembrato, allo Spirito e a noi…”. Hanno fatto il Concilio e nello Spirito hanno dato la risposta. Ma voi, nella vita, dovrete camminare sempre nello Spirito: nello Spirito e nella verità. Con lo Spirito Santo che, come Paolo ci dice di quando è andato in quella città [Efeso] – non ricordo quale – che “neppure sapevano che esistesse uno Spirito Santo” (cfr Atti 19,1-7) E tanti, tanti preti, tanti preti – lo dico con buono spirito, con tenerezza e con amore – tanti preti vivono bene, in grazia di Dio, ma come se lo Spirito non esistesse. Sì, sanno che c’è uno Spirito Santo, ma nella vita non entra. E questa è l’importanza del discernere: capire cosa fa lo Spirito in me, e anche cosa fa lo spirito nemico, e cosa fa il mio spirito. Sono tre, il dialogo è a tre, il discernimento è a tre, non a due. C’entra il tentatore, quello che porta la tentazione, e c’entrano il mio temperamento, le mie abitudini, perché l’uomo non è corpo e anima: è corpo, anima e spirito. C’entra tutto, lì.
Non so se qui ho scritto qualcosa sul discernimento… [consulta i suoi appunti] Sì, il discernimento, quello che ti dà uno stile spirituale… “Ma che buono quel sacerdote, è tanto spirituale!” – “Perché lo dici?” – “Mah, è sempre così…”. No, la bontà sta sempre nella bontà interiore unita al dialogo con lo Spirito. Con lo Spirito. E’ buono quel prete: sì, è buono perché ascolta tutti, ascolta Dio, sempre cammina, sempre ha il cuore aperto, ama, prega… quello è un buon prete! Ed è felice. C’è un amico dello Spirito Santo – questa sembra una bestemmia, ma non è una bestemmia, no, è una riflessione che faccio – quando c’è lo Spirito Santo, semina sempre la gioia e anche il senso dell’umorismo. E per capire se una persona è arrivata a una grande maturità spirituale, domandiamoci: “Questo ha senso dell’umorismo?”. Di un sacerdote che abitava qui a Roma, poi è tornato in Libano ed è morto lì – un uomo con fama di santità, è morto anziano – si diceva di quest’uomo: “ride di tutto: ride degli altri, ride di sé stesso, anche della propria ombra”. Senso dell’umorismo. E per me il senso dell’umorismo è l’atteggiamento umano – è umano! – più vicino alla grazia. E’ quel “relativismo” buono, il relativismo della gioia, il relativismo della spiritualità, quel relativismo che nasce dallo Spirito Santo.
I giovani – tutti voi siete giovani –, i giovani narcisisti si guardano allo specchio, si pettinano… A volte – vi consiglio – guardate nello specchio e ridete di voi stessi. Ridete di voi stessi. Vi farà bene. [ridono, applausi]
(foto in alto: Ansa)