Il papa arriva in Giappone e, subito, mette in guardia contro i flagelli del suicidio e del bullismo. Fenomeni che colpiscono soprattutto i giovani. Per questo invita i vescovi a stare più vicini alle nuove generazioni, a «prestare attenzione ai loro bisogni. Siamo consapevoli, dice Bergoglio, «che vi sono diversi flagelli che minacciano la vita di alcune persone delle vostre comunità, che sono segnate, per vari motivi, dalla solitudine, dalla disperazione e dall’isolamento. L’aumento del numero di suicidi nelle vostre città, così come il bullismo (ijime) stanno creando nuovi tipi di alienazione e disorientamento spirituale».
Ma è ai giovani, in particolare, che il Papa presta attenzione chiedendo all’episcopato e ai sacerdoti di «cercare di creare spazi in cui la cultura dell’efficienza, della prestazione e del successo possa aprirsi alla cultura di un amore gratuito e altruista, capace di offrire a tutti, e non solo a quelli “arrivati”, possibilità di una vita felice e riuscita. Con lo zelo, le idee e l’energia che voi potete dare, oltre che con una buona formazione e un buon accompagnamento, i vostri giovani possono essere una fonte importante di speranza per i loro coetanei e dare una testimonianza viva di carità cristiana».
Il Papa sa che le forze non sono numerose, ma anche se «la messe è molta e gli operai sono pochi», sottolinea, «vi incoraggio a cercare, sviluppare e far crescere una missione capace di coinvolgere le famiglie e promuovere una formazione in grado di raggiungere le persone là dove si trovano, tenendo sempre conto della realtà: il punto di partenza per ogni apostolato nasce dal luogo in cui le persone si trovano, con le loro abitudini e occupazioni. Lì, dobbiamo raggiungere l’anima delle città, dei luoghi di lavoro, delle università per accompagnare con il Vangelo della compassione e della misericordia i fedeli che ci sono stati affidati».
In questa missione, in cui il Papa si sente «pellegrino sulle orme di grandi testimoni della fede», come San Francesco Saverio di cui si ricordano i 470 anni dall’arrivo in Giappone, Francesco chiede di guardare alla forza dei martiri a «di tutti coloro che, nel corso dei secoli, si sono dedicati a seminare il Vangelo e a servire il popolo giapponese con grande unzione e amore; questa loro dedizione ha dato un volto molto particolare alla Chiesa giapponese».
Bergoglio pensa ai «martiri San Paolo Miki e ai suoi compagni e al Beato Justo Takayama Ukon, che in mezzo a tante prove ha dato testimonianza fino alla morte. Questa offerta di sé per mantenere viva la fede attraverso la persecuzione ha aiutato la piccola comunità cristiana a crescere, a consolidarsi e a portare frutto. Pensiamo anche ai “cristiani nascosti” della regione di Nagasaki, che hanno conservato la fede per generazioni grazie al battesimo, alla preghiera e alla catechesi. Autentiche Chiese domestiche che risplendevano in questa terra, forse senza saperlo, come specchi della Famiglia di Nazaret».
Una Chiesa «martiriale», ricorda papa Francesco , «può parlare con maggiore libertà, specialmente nell’affrontare questioni urgenti di pace e giustizia nel nostro mondo».
Infine ricorda che
presto visiterà «Nagasaki e Hiroshima, dove pregherò per le vittime del catastrofico bombardamento di queste due città e mi farò eco dei vostri appelli profetici al disarmo nucleare. Desidero incontrare coloro che ancora patiscono le ferite di quel tragico episodio della storia umana; come pure le vittime del “triplice disastro”», cioè quello di Fukushima (terremoto, tsunami e incidente nuclerare). «La loro prolungata sofferenza è un eloquente avvertimento al nostro dovere umano e cristiano di aiutare quanti soffrono nel corpo e nello spirito e di offrire a tutti il messaggio evangelico di speranza, guarigione e riconciliazione».