È parlando della Chiesa “in uscita” che papa Bergoglio conclude la tre giorni in Terra Santa. L’ultimo pomeriggio prima della partenza è interamente dedicato a incoraggiare i cristiani nella loro missione. Prima, con il pranzo alla Custodia di Terra Santa, spostando l’appuntamento che era invece previsto al Notre Dame, poi con il nuovo incontro privato con Bartolomeo e infine al Getsemani e al Cenacolo.
È qui, in questa che formalmente è oggi considerata una ex moschea di proprietà dello Stato di Israele, che il Papa traccia «l’orizzonte del Risorto e della Chiesa». Il Cenacolo, dove la Chiesa è nata, ci ricorda che la Chiesa da qui è «partita, con il Pane spezzato tra le mani, le piaghe di Gesù negli occhi, e lo Spirito d’amore nel cuore». Ma uscire no vuol dire dimenticare, anzi. La Chiesa in uscita «custodisce la memoria di ciò che qui è accaduto». Il Cenacolo ci ricorda «il servizio, il sacrificio, l’amicizia, il congedo del Maestro e la promessa di ritrovarsi con i suoi amici».
Ma ci ricorda anche, dice papa Francesco, «la meschinità, la curiosità, il tradimento». Atteggiamenti che possono essere di tutti noi quando guardiamo con sufficienza il fratello, quando lo giudichiamo, quando con i nostri peccati tradiamo Gesù. Nella messa celebrata nel luogo di cui la custodia continua a chiedere la restituzione, il Papa parla di armonia, di condivisione, di fraternità, di pace.
«Uno dei luoghi più feriti di questa terra, testimone di tante ferite anche nelle persone e nei popoli», dice padre Pierbattista Pizzaballa, custode di Terra Santa, nel discorso conclusivo della visita di papa Francesco ricordando che celebrare al cenacolo è una eccezione. Intanto, quasi a riprova di quanto sia difficile ancora la convivenza, cominciano a girare le foto scattate ieri della polizia israeliana che carica, a porta Jaffa, un gruppo di cristiani che vorrebbe vedere il Papa passare.
La città è blindata e i cristiani non hanno potuto avvicinarsi ai luoghi dove il Papa è passato in questi giorni. «Gerusalemme città che unisce, ma che può anche dividere», aveva detto al Getsemani il patriarca Twal. Dal Getsemani «che ricorda l’agonia, l’angoscia che non ha mai avuto sosta», aveva detto il patriarca, il Papa aveva salutato tutti i cristiani di Gerusalemme. «Prego per loro riconoscendo le loro difficoltà in questa terra», aveva detto. Ma oggi, ancora di più, i cristiani e tutti coloro che soffrono sanno di non essere soli.