Invita i cristiani ad avere «una fede coraggiosa» sull’esempio dei Magi che «sfidano Erode» e «ci insegnano che abbiamo bisogno di una fede coraggiosa, che non abbia paura di sfidare le logiche oscure del potere e diventi seme di giustizia e di fraternità in società dove, ancora oggi, tanti Erode seminano morte e fanno strage di poveri e di innocenti, nell'indifferenza di molti». E avverte che non bisogna riposare su certezze: «Bisogna sempre ripartire ogni giorno, nella vita come nella fede, perché la fede non è un'armatura che ingessa, ma un viaggio affascinante, un movimento continuo e inquieto, sempre alla ricerca di Dio». I magi, sottolinea, «ci insegnano che abbiamo bisogno di interrogativi, di ascoltare con attenzione le domande del cuore, della coscienza; perché é così che spesso parla Dio, il quale si rivolge a noi più con domande che con risposte».
È tutta incentrata sull’importanza dell’inquietudine e di farsi domande l’omelia di papa Francesco che celebra la Messa nella Basilica di San Pietro nella Solennità dell’Epifania.
C’è l’incenso, le preghiere in latino, l’altare riccamente addobbato di fiori. L’Epifania è, assieme al Natale, la Pasqua e Pentecoste, una delle più importanti solennità del cattolicesimo. Perché si celebra la manifestazione di Dio, in Gesù Bambino, a tutti i popoli della terra, simboleggiati dai Magi che offrono oro, incenso e mirra. E per sottolineare questo aspetto, dopo il Vangelo, il diacono in latino proclama l’annuncio del giorno di Pasqua (il 17 aprile, quest’anno) perché se l’Epifania è la prima delle manifestazioni del Signore, la Pasqua è la realizzazione piena dell’Epifania di Dio. Quindi, l’annuncio serve a far comprendere ai fedeli il collegamento tra l’Epifania e la Pasqua e l’orientamento di tutte le feste verso la massima solennità cristiana.
Il Papa all’inizio della celebrazione bacia Gesù Bambino adagiato davanti all’altare del Bernini. Poi nell’omelia parte dal significato del pellegrinaggio dei Magi: «Il loro gesto parla anche a noi», dice, «siamo chiamati a camminare verso Gesù, perché è Lui la stella polare che illumina i cieli della vita e orienta i passi verso la gioia vera. Ma da dove è partito il pellegrinaggio dei magi incontro a Gesù? Che cosa ha mosso questi uomini d’Oriente a mettersi in viaggio?», chiede il Papa. «Avevano ottimi alibi per non partire. Erano sapienti e astrologi, avevano fama e ricchezza. Raggiunta una tale sicurezza culturale, sociale ed economica, potevano accomodarsi su ciò che sapevano e su ciò che avevano, starsene tranquilli. Invece, si lasciano inquietare da una domanda e da un segno: “Dov’è colui che è nato? Abbiamo visto spuntare la sua stella...” Il loro cuore», aggiunge il Pontefice, «non si lascia intorpidire nella tana dell’apatia, ma è assetato di luce; non si trascina stanco nella pigrizia, ma è acceso dalla nostalgia di nuovi orizzonti. I loro occhi non sono rivolti alla terra, ma sono finestre aperte sul cielo. Come ha affermato Benedetto XVI, erano “uomini dal cuore inquieto. [...] Uomini in attesa, che non si accontentavano del loro reddito assicurato e della loro posizione sociale [...]. Erano ricercatori di Dio”».
«È triste», aggiunge a braccio, «quando un sacerdote ha chiuso la porta del desiderio, è triste cadere nel funzionalismo clericale, è molto triste». Invita a non essere «persone chiuse, comunità chiuse, vescovi chiusi, preti chiusi». «La mancanza di desiderio porta alla tristezza e all'indifferenza» con «vescovi tristi, preti tristi».
Il Pontefice definisce quella dei Magi «sana inquietudine, che li ha portati a peregrinare» e si chiede da dove nasce. «Dal desiderio», è la risposta, «ecco il loro segreto interiore: saper desiderare. Meditiamo su questo», esorta, «desiderare significa tenere vivo il fuoco che arde dentro di noi e ci spinge a cercare oltre l’immediato, oltre il visibile. È accogliere la vita come un mistero che ci supera, come una fessura sempre aperta che invita a guardare oltre, perché la vita non è “tutta qui”, è anche “altrove”. È come una tela bianca che ha bisogno di ricevere colore. Proprio un grande pittore, Van Gogh, scriveva che il bisogno di Dio lo spingeva a uscire di notte per dipingere le stelle. Sì, perché Dio ci ha fatti così: impastati di desiderio; orientati, come i magi, verso le stelle. Noi siamo ciò che desideriamo», ricorda Bergoglio, «perché sono i desideri ad allargare il nostro sguardo e a spingere la vita oltre: oltre le barriere dell’abitudine, oltre una vita appiattita sul consumo, oltre una fede ripetitiva e stanca, oltre la paura di metterci in gioco, di impegnarci per gli altri e per il bene». Poi cita Agostino: «La nostra vita è una ginnastica del desiderio».
Il Papa prosegue affermando che «come per i magi, così per noi: il viaggio della vita e il cammino della fede hanno bisogno di desiderio, di slancio interiore. Ne abbiamo bisogno come Chiesa. Ci fa bene chiederci: a che punto siamo nel viaggio della fede? Non siamo da troppo tempo bloccati, parcheggiati dentro una religione convenzionale, esteriore, formale, che non scalda più il cuore e non cambia la vita? Le nostre parole e i nostri riti», chiede il Papa, «innescano nel cuore della gente il desiderio di muoversi incontro a Dio oppure sono “lingua morta”, che parla solo di sé stessa e a sé stessa? È triste quando una comunità di credenti non desidera più e, stanca, si trascina nel gestire le cose invece che lasciarsi spiazzare da Gesù, dalla gioia dirompente e scomodante del Vangelo».
Francesco sottolinea che la «crisi della fede, nella nostra vita e nelle nostre società, ha anche a che fare con la scomparsa del desiderio di Dio. Ha a che fare con il sonno dello spirito, con l’abitudine ad accontentarci di vivere alla giornata, senza interrogarci su che cosa Dio vuole da noi. Ci siamo ripiegati troppo sulle mappe della terra e ci siamo scordati di alzare lo sguardo verso il Cielo; siamo sazi di tante cose, ma privi della nostalgia di ciò che ci manca. Ci siamo fissati sui bisogni, su ciò che mangeremo e di cui ci vestiremo, lasciando evaporare l’anelito per ciò che va oltre. E ci troviamo nella bulimia di comunità che hanno tutto e spesso non sentono più niente nel cuore. Perché la mancanza di desiderio porta alla tristezza e all’indifferenza».
Il Papa invita a un esame di coscienza personale e comunitario: «Guardiamo», esorta, «però soprattutto a noi stessi e chiediamoci: come va il viaggio della mia fede? La fede, per partire e ripartire, ha bisogno di essere innescata dal desiderio, di mettersi in gioco nell’avventura di una relazione viva e vivace con Dio. Ma il mio cuore è ancora animato dal desiderio di Dio? O lascio che l’abitudine e le delusioni lo spengano? Oggi è il giorno per farci queste domande. Oggi è il giorno per ritornare ad alimentare il desiderio. Come fare? Andiamo a “scuola di desiderio” dai magi. Guardiamo i passi che compiono e traiamo alcuni insegnamenti. Essi», prosegue, «in primo luogo partono al sorgere della stella: ci insegnano che bisogna sempre ripartire ogni giorno, nella vita come nella fede, perché la fede non è un’armatura che ingessa, ma un viaggio affascinante, un movimento continuo e inquieto, sempre alla ricerca di Dio».
Giunti infine a Gerusalemme i Magi chiedono chiedono dov’è il Bambino. Questo atteggiamento, commenta il Papa, ci insegna che «abbiamo bisogno di interrogativi, di ascoltare con attenzione le domande del cuore, della coscienza; perché è così che spesso parla Dio, il quale si rivolge a noi più con domande che con risposte. Ma lasciamoci inquietare anche dagli interrogativi dei bambini, dai dubbi, dalle speranze e dai desideri delle persone del nostro tempo. Lasciarsi interrogare».
Ancora, i magi sfidano Erode: «E questo ci insegna che abbiamo bisogno di una fede coraggiosa, profetica, che non abbia paura di sfidare le logiche oscure del potere e diventi seme di giustizia e di fraternità in società dove, ancora oggi, tanti Erode seminano morte e fanno strage di poveri e di innocenti, nell’indifferenza di molti. I magi, infine, ritornano “per un’altra strada”: ci provocano a percorrere strade nuove. È la creatività dello Spirito, che fa sempre cose nuove. È anche uno dei compiti del Sinodo: camminare insieme in ascolto, perché lo Spirito ci suggerisca vie nuove, strade per portare il Vangelo al cuore di chi è indifferente, lontano, di chi ha perduto la speranza ma cerca quello che i magi trovarono, «una gioia grandissima».
Al culmine del viaggio dei magi, ricorda infine il Papa percorrendo il Vangelo odierno, «c’è però un momento cruciale: quando arrivano a destinazione “si prostrano e adorano il Bambino”. Adorano. Ricordiamoci questo», avverte, «il viaggio della fede trova slancio e compimento solo alla presenza di Dio. Solo se recuperiamo il gusto dell’adorazione, si rinnova il desiderio. Perché il desiderio di Dio cresce solo stando davanti a Dio. Perché solo Gesù risana i desideri. Da che cosa? Dalla dittatura dei bisogni. Il cuore, infatti, si ammala quando i desideri coincidono solo con i bisogni. Dio, invece, eleva i desideri; li purifica, li guarisce, risanandoli dall’egoismo e aprendoci all’amore per Lui e per i fratelli. Per questo», esorta ancora Francesco, «non dimentichiamo l’Adorazione, fermiamoci davanti all’Eucaristia, lasciamoci trasformare da Gesù. Lì avremo la certezza, come i magi, che anche nelle notti più oscure brilla una stella. È la stella di Gesù, che viene a prendersi cura della nostra fragile umanità. Mettiamoci in cammino verso di Lui. Non diamo all’apatia e alla rassegnazione il potere di inchiodarci nella tristezza di una vita piatta».
Il mondo, conclude Bergoglio, «attende dai credenti uno slancio rinnovato verso il Cielo. Come i magi, alziamo il capo, ascoltiamo il desiderio del cuore, seguiamo la stella che Dio fa splendere sopra di noi. Come cercatori inquieti, restiamo aperti alle sorprese di Dio. Sogniamo, cerchiamo, adoriamo».