Oggi il lavoro «è spesso ostaggio dell'ingiustizia sociale e, più che essere un mezzo di umanizzazione, diventa una periferia esistenziale. Quello che ti dà la dignità non è portare il pane a casa» ma «guadagnare il pane. E se non dai questa possibilità questa è un'ingiustizia sociale. I governanti devono dare a tutti la possibilità di guadagnare il pane perché questo dà dignità».
È l’appello di papa Francesco che proseguendo il ciclo di catechesi su San Giuseppe dedica l’udienza generale al lavoro di falegname che svolgeva il padre putativo di Gesù. Il Pontefice ricorda che la ricerca di un lavoro può, a volte, diventare drammatica soprattutto, sottolinea, in questi tempi di pandemia: «Alcuni, schiacciati da un peso insopportabile, sono arrivati al punto di togliersi la vita. Vorrei oggi ricordare ognuno di loro e le loro famiglie. Non si tiene abbastanza conto del fatto che il lavoro è una componente essenziale nella vita umana, e anche nel cammino di santificazione».
Bergoglio ricorda che l’impegno per un lavoro dignitoso e sicuro riguarda le istituzioni civili ma anche la Chiesa: «Dobbiamo oggi domandarci che cosa possiamo fare per recuperare il valore del lavoro; e quale contributo, come Chiesa, possiamo dare affinché esso sia riscattato dalla logica del mero profitto e possa essere vissuto come diritto e dovere fondamentale della persona, che esprime e incrementa la sua dignità».
Prima di affrontare i problemi dell’attualità, Francesco, analizzando i Vangeli, nella catechesi si sofferma sul lavoro di falegname svolto da San Giuseppe: «Gesù», ricorda, «praticò il mestiere del padre. Il termine greco tekton, usato per indicare il lavoro di Giuseppe, è stato tradotto in vari modi. I Padri latini della Chiesa lo hanno reso con “falegname”. Ma teniamo presente che nella Palestina dei tempi di Gesù il legno serviva, oltre che a fabbricare aratri e mobili vari, anche a costruire case, che avevano serramenti di legno e tetti a terrazza fatti di travi connesse tra loro con rami e terra.Pertanto, “falegname” o “carpentiere” era una qualifica generica, che indicava sia gli artigiani del legno sia gli operai impegnati in attività legate all’edilizia. Un mestiere piuttosto duro», sottolinea il Papa, «dovendo lavorare materiale pesante, come il legno, la pietra e il ferro. Dal punto di vista economico non assicurava grandi guadagni, come si deduce dal fatto che Maria e Giuseppe, quando presentarono Gesù nel Tempio, offrirono solo una coppia di tortore o di colombi, come prescriveva la Legge per i poveri».
Questo dato biografico di Giuseppe e di Gesù, prosegue il Papa, «mi fa pensare a tutti i lavoratori del mondo, in modo particolare a quelli che fanno lavori usuranti nelle miniere e in certe fabbriche; a coloro che sono sfruttati con il lavoro in nero; alle vittime del lavoro; ai bambini che sono costretti a lavorare e a quelli che frugano nelle discariche per cercare qualcosa di utile da barattare...».
Il Papa ribadisce, parlando a braccio, questo aspetto: «Mi permetto di ripetere questo che ho detto: i lavoratori nascosti, i lavoratori che fanno lavori usuranti nelle miniere e in certe fabbriche: pensiamo a loro. A coloro che sono sfruttati con il lavoro in nero, a coloro che danno lo stipendio di contrabbando, di nascosto, senza la pensione, senza niente. E se non lavori, tu, non hai alcuna sicurezza. Il lavoro in nero oggi c’è, e tanto. Pensiamo alle vittime del lavoro, degli incidenti sul lavoro; ai bambini che sono costretti a lavorare: questo è terribile! I bambini», sottolinea, «nell’età del gioco devono giocare, invece sono costretti a lavorare come persone adulte. Pensiamo a quei bambini, poveretti, che frugano nelle discariche per cercare qualcosa di utile da barattare. Tutti questi sono fratelli e sorelle nostri, che si guadagnano la vita così, con lavori che non riconoscono la loro dignità! Pensiamo a questo. E questo succede oggi, nel mondo, questo oggi succede! Ma penso anche a chi è senza lavoro: quanta gente va a bussare alle porte delle fabbriche, delle imprese: “Ma, c’è qualcosa da fare?” – “No, non c’è, non c’è …”. La mancanza di lavoro! E penso anche a quanti si sentono feriti nella loro dignità perché non trovano questo lavoro. Tornano a casa: “Hai trovato qualcosa?” – “No, niente … sono passato dalla Caritas e porto il pane”».
Francesco ricorda che «quello che ti dà dignità non è portare il pane a casa. Tu puoi prenderlo dalla Caritas: no, questo non ti dà dignità. Quello che ti dà dignità è guadagnare il pane, e se noi non diamo alla nostra gente, ai nostri uomini e alle nostre donne, la capacità di guadagnare il pane, questa è un’ingiustizia sociale in quel posto, in quella nazione, in quel continente».
Nel pensiero e nella preghiera del Pontefice c’è anche «chi è senza lavoro; quanti si sentono giustamente feriti nella loro dignità perché non trovano un lavoro. Molti giovani, molti padri e molte madri», denuncia Francesco, «vivono il dramma di non avere un lavoro che permetta loro di vivere serenamente. E tante volte la ricerca di esso diventa così drammatica da portarli fino al punto di perdere ogni speranza e desiderio di vita. In questi tempi di pandemia tante persone hanno perso il lavoro e alcuni, schiacciati da un peso insopportabile, sono arrivati al punto di togliersi la vita. Vorrei oggi ricordare ognuno di loro e le loro famiglie. Facciamo un istante di silenzio ricordando quegli uomini, quelle donne disperati perché non trovano lavoro».
Francesco ricorda che «lavorare non solo serve per procurarsi il giusto sostentamento: è anche un luogo in cui esprimiamo noi stessi, ci sentiamo utili, e impariamo la grande lezione della concretezza, che aiuta la vita spirituale a non diventare spiritualismo. Purtroppo però il lavoro è spesso ostaggio dell’ingiustizia sociale e, più che essere un mezzo di umanizzazione, diventa una periferia esistenziale». E chiede: «Con che spirito noi facciamo il nostro lavoro quotidiano? Come affrontiamo la fatica? Vediamo la nostra attività legata solo al nostro destino oppure anche al destino degli altri? Infatti, il lavoro è un modo di esprimere la nostra personalità, che è per sua natura relazionale».
Il Papa conclude la sua catechesi con la preghiera che San Paolo VI elevò a San Giuseppe il 1° maggio del 1969: «O San Giuseppe, Patrono della Chiesa, tu che, accanto al Verbo incarnato, lavorasti ogni giorno per guadagnare il pane, traendo da Lui la forza di vivere e di faticare; tu che hai provato l’ansia del domani, l’amarezza della povertà, la precarietà del lavoro: tu che irradii oggi, l’esempio della tua figura, umile davanti agli uomini ma grandissima davanti a Dio, proteggi i lavoratori nella loro dura esistenza quotidiana, difendendoli dallo scoraggiamento, dalla rivolta negatrice, come dalle tentazioni dell’edonismo;e custodisci la pace nel mondo, quella pace che sola può garantire lo sviluppo dei popoli. Amen»