«Quanto bisogno abbiamo di incontrarci! Penso alla folle guerra, folle, di cui è vittima la martoriata Ucraina, e a tanti altri conflitti, che non si risolveranno mai attraverso l'infantile logica delle armi, ma solo con la forza mite del dialogo».
Papa Francesco all’udienza generale ripercorre il suo viaggio in Bahrein e lancia un appello per la pace: «Ma a parte l'Ucraina, che è martoriata, pensiamo agli altri conflitti: alla Siria, più di dieci anni di guerra, pensiamo ai bambini dello Yemen, pensiamo al Myanmar. Cosa fanno le guerre? Distruggono l'umanità, distruggono tutto».
Francesco ha ripercorso idealmente le tappe del viaggio nel Paese del Golfo visitato per la prima volta da un Pontefice sintetizzandolo in tre parole: “Dialogo, incontro e cammino”. «Io non lo conoscevo, non sapevo come fosse quel Regno», ha detto a braccio Francesco ringraziando «gli organizzatori dei viaggi: per fare questo viaggio c’è un movimento di gente, la segreteria di Stato si muove tanto, poi i traduttori, poi la gendarmeria, la Guardia Svizzera: tutti quanti vorrei ingraziare per tutto quello che fate perché il viaggio del Papa vada bene. Dialogo che serve a scoprire la ricchezza di chi appartiene ad altre genti, ad altre tradizioni, ad altri credo», ha spiegato Francesco: «Il Bahrein, un arcipelago formato da tante isole, ci ha aiutato a capire che non si deve vivere isolandosi, ma avvicinandosi. Lo esige la causa della pace, e il dialogo è l’ossigeno della pace. Non dimenticatevi questo: il dialogo è l’ossigeno della pace, anche della pace domestica», ha aggiunto a braccio: «Se fate una guerra fra marito e moglie, poi c’è il dialogo. In famiglia, dialogare: col dialogo si costruisce la pace».
A questo proposito, il Papa ha citato la definizione di pace fornita dalla Gaudium et Spes, quasi 60 anni fa: «Tale opera esige che [gli uomini] dilatino la loro mente e il loro cuore al di là dei confini della propria nazione, deponendo ogni egoismo nazionale ed ogni ambizione di supremazia su altre nazioni, e nutrendo invece un profondo rispetto verso tutta l’umanità, avviata ormai faticosamente verso una maggiore unità».
Il Papa ha ribadito che «non ci può essere dialogo senza incontro». In Bahrein, ha spiegato, «ci siamo incontrati, e più volte ho sentito emergere il desiderio che tra cristiani e musulmani gli incontri aumentino, che si stringano rapporti più saldi, che ci si prenda maggiormente a cuore», ha raccontato Francesco: «In Bahrein – come si usa in Oriente – le persone si portano la mano al cuore quando salutano qualcuno. L’ho fatto anch’io, per fare spazio dentro di me a chi incontravo. Perché, senza accoglienza, il dialogo resta vuoto, apparente, rimane questione di idee e non di realtà».
Tra i tanti incontri, il Papa ha citato «quello con il caro Fratello, il Grande Imam di Al-Azhar», e quello con i giovani della Scuola del Sacro Cuore, «studenti che ci hanno dato un grande insegnamento: studiano insieme, cristiani e musulmani. Da giovani, da ragazzi, da bambini occorre conoscersi, così che l’incontro fraterno prevenga le divisioni ideologiche», ha spiegato Francesco, ringraziando «suor Rosalyn, che ha portato avanti questa scuola tanto bene, e i ragazzi che hanno partecipato con le testimonianze, con il canto, il ballo. Ma anche gli anziani hanno offerto una testimonianza di saggezza fraterna: ripenso all’incontro con il Muslim Council of Elders, un’organizzazione internazionale nata pochi anni fa, che promuove buoni rapporti tra le comunità islamiche, all’insegna del rispetto, della moderazione e della pace, opponendosi all’integralismo e alla violenza».
Francesco si è soffermato anche sul significato ecumenico del viaggio appena compiuto: «La prima visita di un Papa in Bahrein ha rappresentato un nuovo passo nel cammino tra credenti cristiani e musulmani: non per confonderci o annacquare la fede – no, il dialogo non annacqua – ma per costruire alleanze fraterne nel nome del padre Abramo, che fu pellegrino sulla terra sotto lo sguardo misericordioso dell’unico Dio del Cielo, Dio della pace».
Il tema del viaggio, non a caso, era “Pace in terra agli uomini di buona volontà”. Il dialogo «non annacqua – ha proseguito Francesco a braccio – perché per dialogare ci vuole avere un’identità propria, si deve partire dalla propria identità. Se tu non hai identità, non puoi dialogare: perché un dialogo sia buono, si deve partire dalla propria identità, essere consci della propria identità, e così si può dialogare».
Poi il riferimento al primo incontro ecumenico di preghiera per la pace, «con il caro Patriarca e Fratello Bartolomeo e con fratelli e sorelle di varie confessioni e riti. I fratelli e le sorelle nella fede, che ho incontrato in Bahrein, vivono davvero in cammino», ha proseguito, «sono per la maggior parte lavoratori immigrati che, lontani da casa, ritrovano le loro radici nel popolo di Dio e la loro famiglia nella grande famiglia della Chiesa. È meraviglioso vedere questi immigrati, questi cristiani che si radunano e si sostengono nella fede», ha commentato a braccio: «E vanno avanti con gioia, nella certezza che la speranza di Dio non delude. Incontrandoci e pregando insieme, ci siamo sentiti un cuore solo e un’anima sola», ha testimoniato Francesco: «Pensando al loro cammino, alla loro esperienza quotidiana di dialogo, sentiamoci tutti chiamati a dilatare gli orizzonti. Per favore, cuori dilatati, non questi cuori chiusi, duri, perché questa fratellanza umana vada più avanti», l’appello finale a braccio, unito all’invito «ad aprirci e allargare gli interessi, a dedicarci alla conoscenza degli altri. Se tu ti dedichi alla conoscenza degli altri, mai sarai minacciato», ha garantito il Papa parlando ancora a braccio: «Ma se tu hai paura, tu stesso sarai minacciato. Io dà la mano, ma se dall’altra parte non c’è l’altra mano, non serve. Perché il cammino della fraternità e della pace, per procedere, ha bisogno di tutti e di ciascuno».
Bergoglio si è soffermato su un curioso fuoriprogramma con protagonisti due bambini, un ragazzo e una ragazza, che all'inizio dell'udienza si sono seduti ai piedi della postazione del Papa, al centro del sagrato di piazza San Pietro, e hanno seguito da lì parte della catechesi: «Prima di parlare di quello che ho preparato, vorrei attirare l’attenzione su questi due bambini, ragazzi, che sono venuti qui. Loro non hanno chiesto permesso, non hanno avuto paura: sono venuti qui. Sono coraggiosi. E questo ci fa capire come dobbiamo comportarci con il Signore: avvicinarci con libertà. Ci hanno dato un esempio di come ci si comporta con Dio: è stato un esempio per tutti». Poi ha aggiunto: «Un po’ freddino, no? Ma è bello», il saluto alle migliaia di fedeli presenti in piazza San Pietro.
Al termine dalla catechesi, nei saluti ai fedeli in varie lingue, il Papa ha invitato Ancora una volta a pregare per la pace in Ucraina: «Rinnovo il mio invito alla preghiera per la martoriata Ucraina: chiediamo al Signore la pace per questa gente così tribolata, e che soffre tanta crudeltà, tanta crudeltà, da parte dei mercenari che fanno la guerra». Poi ha ricordato che «sabato scorso a Merù (Kenya) è stata beatificata Suor Maria Carola Cecchin, della Congregazione delle Suore di San Giuseppe Benedetto Cottolengo, morta nel 1925, all'età di 48 anni, dopo aver testimoniato il Vangelo della carità alle popolazioni africane. Il suo esempio di donna buona e saggia sostenga quanti si adoperano per la diffusione del Regno di Dio. Un applauso alla nuova beata!», ha chiesto ai fedeli. Infine, ha ricordato che oggi si celebra «la festa della Dedicazione della Basilica di San Giovanni in Laterano, “caput et mater omnium ecclesiarum”. Insieme con essa ricordiamo le chiese in cui si raccolgono le vostre comunità per celebrare i divini misteri. Il legame con la vostra chiesa accresca in ciascuno la gioia di camminare insieme nel servizio al Vangelo, nell'offerta della preghiera e nella condivisione della carità».