È ancora la guerra in Ucraina al centro dei pensieri e della preghiera di papa Francesco. Lo fa durante l’incontro nella Basilica di San Pietro con duemila studenti dell’Istituto professionale “La Zolla” di Milano, scuola d’ispirazione cristiana, e poi all’udienza generale nell’Aula Paolo VI quando fa recitare una preghiera scritta dall’arcivescovo di Napoli, mons. Domenico Battaglia.
«Tutti», dice Bergoglio rivolgendosi agli studenti accompagnati dagli insegnanti e dai genitori, «guardiamo al cuore e pensiamo ai tanti bambini, bambine, ragazzi e ragazze che sono in guerra, che oggi in Ucraina stanno soffrendo, sono come noi, come voi. Sei, sette, dieci, quattordici anni e voi avete davanti un futuro, una sicurezza sociale di crescere in una società in pace. Invece questi piccoli, anche piccolini, devono fuggire dalle bombe, stanno soffrendo, tanti, con quel freddo che fa lì… Pensiamo. Ognuno di noi pensi a questi bambini, bambine a questi ragazzi, ragazze, oggi stanno soffrendo, oggi, a tremila km da qui. Preghiamo il Signore. Io farò la preghiera e voi con il cuore con la mente pregate con me». Poi il Papa recita questa preghiera: «Signore Gesù ti prego per i bambini e le bambine, i ragazzi e le ragazze che stanno vivendo sotto le bombe, che vedono questa guerra terribile, che non hanno da mangiare, che devono fuggire lasciando casa, tutto… Signore Gesù guarda questi bambini, questi ragazzi, proteggili, sono le vittime della superbia di noi, gli adulti. Signore Gesù benedici questi bambini e proteggili. Insieme preghiamo la Madonna perché li protegga. Ave Maria...».
Nella catechesi prima dell’udienza, il Papa prosegue il ciclo dedicato alla vecchiaia con una riflessione sul tema “L’anzianità, risorsa per la giovinezza spensierata” ma nei saluti in varie lingue ai pellegrini torna a chiedere di pregare per la pace: «Questa settimana celebreremo San Giuseppe, patrono della Chiesa universale. Possa lui, durante questo mese di marzo che gli è dedicato, essere un intercessore per la pace di cui il mondo ha tanto bisogno!», dice salutando i pellegrini di lingua francese. «Ora, in Quaresima, vogliamo rinnovare il nostro legame con Dio, perché dall'unità con Lui proviene la pace nei nostri cuori e la pace tra gli uomini», ha aggiunto il Pontefice salutando i fedeli di lingua tedesca. Quindi, nel suo saluto ai polacchi presenti, Francesco si è rivolto «in modo particolare i giovani che, nello spirito dell'iniziativa orante “Uno per tutti, tutti per uno”, si ritroveranno a Jasna Gora e nelle loro parrocchie, nei giorni di sabato e domenica prossimi, per pregare secondo le intenzioni del mio ministero. Ringrazio per questo vostro bel gesto. Per favore, questa volta preghiamo soprattutto per la pace in Ucraina!», è stato il suo invito.
Francesco prima della benedizione finale invita con tono accorato tutti i fedeli a pregare per la fine della guerra con una preghiera, dice, che «ha scritto un vescovo italiano». Si tratta dell'arcivescovo di Napoli, mons. Domenico Battaglia. «Signore Gesù Cristo, figlio di Dio, abbi misericordia di noi peccatori», recita questa invocazione, «Signore Gesù, nato sotto le bombe di Kiev, abbi pietà di noi. Signore Gesù, morto in braccio alla mamma in un bunker di Kharkiv, abbi pietà di noi. Signore Gesù, mandato ventenne al fronte, abbi pietà di noi. Signore Gesù, che vedi ancora le mani armate all'ombra della tua croce, abbi pietà di noi. Perdonaci Signore, perdonaci se non contenti dei chiodi con i quali trafiggemmo la tua mano, continuiamo ad abbeverarci al sangue dei morti dilaniati dalle armi. Perdonaci se queste mani che avevi creato per custodire si sono trasformate in strumento di morte. Perdonaci Signore se continuiamo ad uccidere nostro fratello. Perdonaci se continuiamo come Caino a togliere le pietre dal nostro campo per uccidere Abele. Perdonaci se continuiamo a giustificare con la nostra fatica la crudeltà, se con il nostro dolore legittimiamo l'efferatezza dei nostri gesti. Perdonaci la guerra, Signore. Perdonaci la guerra, Signore. Signore Gesù Cristo, figlio di Dio, ti imploriamo, ferma la mano di Caino. Illumina la nostra coscienza. Non sia fatta la nostra volontà. Non abbandonarci al nostro agire. Fermaci Signore, fermaci. E quando avrai fermato la mano di Caino, abbi cura anche di lui, è nostro fratello. O Signore, poni un freno alla violenza. Fermaci Signore. Amen».
«Dio fu a tal punto amareggiato dalla malvagità degli uomini che pensò di aver sbagliato a crearli»
Durante la catechesi il Papa si sofferma a commentare il brano biblico del diluvio universale raccontata nel Libro della Genesi: «Il racconto biblico, con il linguaggio simbolico dell’epoca in cui fu scritto, ci dice una cosa impressionante: Dio fu a tal punto amareggiato per la diffusa malvagità degli uomini, divenuta uno stile normale di vita, che pensò di avere sbagliato a crearli e decise di eliminarli», nota il Papa, «una soluzione radicale. Potrebbe persino avere un paradossale risvolto di misericordia. Niente più umani, niente più storia, niente più giudizio, niente più condanna. E molte vittime predestinate della corruzione, della violenza, dell’ingiustizia sarebbero risparmiate per sempre».
«Non accade a volte anche a noi», chiede il Pontefice, «sopraffatti dal senso di impotenza contro il male o demoralizzati dai “profeti di sventura”, di pensare che era meglio non essere nati? Dobbiamo dare credito a certe teorie recenti, che denunciano la specie umana come un danno evolutivo per la vita sul nostro pianeta? Di fatto», sottolinea, «siamo sotto pressione, esposti a sollecitazioni opposte che ci rendono confusi. Da un lato, abbiamo l’ottimismo di una giovinezza eterna, acceso dai progressi straordinari della tecnica, che dipinge un futuro pieno di macchine più efficienti e più intelligenti di noi, che cureranno i nostri mali e penseranno per noi le soluzioni migliori per non morire. Dall’altra parte, la nostra fantasia appare sempre più concentrata sulla rappresentazione di una catastrofe finale che ci estinguerà. Quello che succede con un’eventuale guerra atomica. Il “giorno dopo” – se ci saranno ancora giorni ed esseri umani – si dovrà ricominciare da zero. Non voglio rendere banale il tema del progresso, naturalmente. Ma sembra che il simbolo del diluvio stia guadagnando terreno nel nostro inconscio. La pandemia attuale, del resto, mette un’ipoteca non lieve sulla nostra spensierata rappresentazione delle cose che contano, per la vita e per il suo destino».
Francesco prosegue la catechesi ricordando che «quando si tratta di mettere in salvo dalla corruzione e dal diluvio la vita della terra, Dio affida l’impresa alla fedeltà del più vecchio di tutti, il “giusto” Noè. La vecchiaia salverà il mondo? In che senso? E come? E qual è l’orizzonte? La vita oltre la morte o soltanto la sopravvivenza fino al diluvio?», chiede il Papa. Bergoglio cerca di spiegare il significato delle parole di Gesù che nel vangelo di Luca evoca “i giorni di Noè”: «Gesù, parlando degli ultimi tempi, dice: “Come avvenne nei giorni di Noè, così sarà nei giorni del Figlio dell’uomo: mangiavano, bevevano, prendevano moglie, prendevano marito, fino al giorno in cui Noè entrò nell’arca e venne il diluvio e li fece morire tutti” In effetti, mangiare e bere, prendere moglie e marito, sono cose molto normali e non sembrano esempi di corruzione. Dove sta la corruzione? In realtà, Gesù mette l’accento sul fatto che gli esseri umani, quando si limitano a godere della vita, smarriscono perfino la percezione della corruzione, che ne mortifica la dignità e ne avvelena il senso. E vivono spensieratamente anche la corruzione, come se fosse parte della normalità del benessere umano. I beni della vita sono consumati e goduti senza preoccupazione per la qualità spirituale della vita, senza cura per l’habitat della casa comune. Senza preoccuparsi della mortificazione e dell’avvilimento di cui molti soffrono, e neppure del male che avvelena la comunità».
«La corruzione può diventare normalità»
Finché, avverte il Papa, «la vita normale può essere riempita di “benessere”, non vogliamo pensare a ciò che la rende vuota di giustizia e di amore. La corruzione può diventare normalità? Purtroppo sì. E che cosa le apre la strada? La spensieratezza che si rivolge solo alla cura di sé stessi: ecco il varco che apre la porta alla corruzione che affonda la vita di tutti. La corruzione trae grande vantaggio da questa spensieratezza non buona: ammorbidisce le nostre difese, offusca la coscienza e ci rende – anche involontariamente – dei complici».
Cosa c’entra la vecchiaia con tutto questo? «Essa», sottolinea il Papa, «è nella posizione adatta per cogliere l’inganno di questa normalizzazione di una vita ossessionata dal godimento e vuota di interiorità: vita senza pensiero, senza sacrificio, senza interiorità, senza bellezza, senza verità, senza giustizia, senza amore. La speciale sensibilità dell’età anziana per le attenzioni, i pensieri e gli affetti che ci rendono umani, dovrebbe ridiventare una vocazione di tanti. E sarà una scelta d’amore degli anziani verso le nuove generazioni. La benedizione di Dio sceglie la vecchiaia, per questo carisma così umano e umanizzante».
In questo racconto biblico spicca la figura di Noè che per il Papa è «l’esempio di questa vecchiaia generativa: Noè non fa prediche, non si lamenta, non recrimina, ma si prende cura del futuro della generazione che è in pericolo. Costruisce l’arca dell’accoglienza e vi fa entrare uomini e animali. Nella cura per la vita, in tutte le sue forme, Noè adempie il comando di Dio ripetendo il gesto tenero e generoso della creazione, che in realtà è il pensiero stesso che ispira il comando di Dio: una nuova benedizione, una nuova creazione. La vocazione di Noè rimane sempre attuale. Il santo patriarca», conclude, «deve ancora intercedere per noi».