«È bella una Chiesa con il volto lieto, il volto sereno e sorridente, che non chiude mai le porte, che non inasprisce i cuori, che non si lamenta e non cova risentimento, non è arrabbiata e insofferente, non si presenta in modo arcigno, non soffre di nostalgie del passato, cadendo nell’indietrismo. Preghiamo questo nostro padre e fratello, chiediamo che ci ottenga “il sorriso dell'anima” quello trasparente, quello che non inganna».
Per papa Francesco questo è il primo insegnamento da trarre dallo stile di Giovanni Paolo I, Albino Luciani, che è stato proclamato beato durante la solenne celebrazione eucaristica in piazza San Pietro.
Sotto una pioggia a tratti fitta, soprattutto all’inizio della Messa, un grande applauso si è levato dalla folla di fedeli, circa venticinquemila, quando Bergoglio ha pronunciato, in latino, la formula di beatificazione e mentre veniva svelato sulla facciata di San Pietro l'arazzo col ritratto di papa Luciani realizzato su dipinto dell'artista iperrealista cinese Yan Zhang. Dopo la richiesta di beatificazione pronunciata dal vescovo di Belluno-Feltre mons. Renato Marangoni e la biografia del nuovo beato, letta dal postulatore della causa, il cardinale Beniamino Stella, papa Francesco ha scandito, in latino: «Noi, accogliendo il desiderio del nostro fratello Renato Marangoni, vescovo di Belluno-Feltre, di molti altri fratelli nell'Episcopato e di molti fedeli, dopo aver avuto il parere del Dicastero delle Cause dei Santi, con la nostra autorità apostolica concediamo che il venerabile servo di Dio Giovanni Paolo I, papa, d'ora in poi sia chiamato Beato e che sia celebrato ogni anno nei luoghi e secondo le regole stabilite dal diritto, il 26 agosto. Nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo». La data del 26 agosto è quella dell’elezione a Pontefice di Luciani nel 1978.
Dopo la proclamazione da parte di papa Francesco, è stata portata all'altare sul sagrato vaticano la reliquia del nuovo beato, uno scritto autografo di Albino Luciani - Giovanni Paolo I, appunto su foglio bianco risalente al 1956. Si tratta di uno schema per una riflessione spirituale sulle tre virtù teologali - fede, speranza e carità - che richiama il Magistero delle udienze generali del 13, 20 e 27 settembre 1978. La reliquia proviene dall'Archivio Privato Albino Luciani, patrimonio della Fondazione Vaticana Giovanni Paolo I. Il reliquiario è stato ideato e realizzato dallo scultore Franco Murer. È costituito da un basamento in pietra proveniente da Canale d'Agordo (Belluno), paese natale di Giovanni Paolo I. La pietra è sormontata da una croce intagliata su legno di un noce abbattuto dalla tempesta «Vaia» nella notte tra il 29 e il 30 ottobre 2018. La realizzazione risalta lo scritto autografo incastonato nel simbolo cristiano per eccellenza, la croce di Cristo. A portare la reliquia all'altare, la nipote di papa Luciani, Lina Petri, mentre ceri accesi sono stati aggiunti da altri familiari e persone a lui vicine. I
Tra i presenti, sul sagrato a lato dell’altare, c’è anche il presidente della Repubblica Sergio Mattarella che guida la delegazione ufficiale italiana formata dal ministro per i Rapporti col Parlamento Federico D'Incà, bellunese, e dal presidente della Regione Veneto Luca Zaia.
Francesco presiede il rito seduto, a causa della gonalgia, mentre la liturgia eucaristica all’altare è stata celebrata dal cardinale Marcello Semeraro, prefetto della Congregazione per le Cause dei Santi, insieme al cardinale Pietro Parolin, Segretario di Stato vaticano, e al cardinale Beniamino Stella, postulatore della causa di canonizzazione di Luciani.
«Il nuovo Beato», dice nell’omelia, «ha vissuto così: nella gioia del Vangelo, senza compromessi, amando fino alla fine. Egli ha incarnato la povertà del discepolo, che non è solo distaccarsi dai beni materiali, ma soprattutto vincere la tentazione di mettere il proprio io al centro e cercare la propria gloria», ha sottolineato. Al contrario, «seguendo l'esempio di Gesù, è stato pastore mite e umile. Considerava sé stesso come la polvere su cui Dio si era degnato di scrivere». Perciò diceva, ha ricordato il Pontefice citando l'udienza generale del 6 settembre 1978: «Il Signore ha tanto raccomandato: “Siate umili. Anche se avete fatto delle grandi cose, dite: siamo servi inutili”. E con il sorriso Papa Luciani è riuscito a trasmettere la bontà del Signore».
«Se non puntiamo in alto, se non rischiamo», ha proseguito il Papa, «se ci accontentiamo di una fede all'acqua di rose, siamo - dice Gesù come chi vuole costruire una torre ma non calcola bene i mezzi per farlo; costui, “getta le fondamenta” e poi “non è in grado di finire il lavoro”. Se, per paura di perderci, rinunciamo a donarci, lasciamo le cose incompiute: le relazioni, il lavoro, le responsabilità che ci sono affidate, i sogni, e anche la fede». «E allora finiamo per vivere a metà, e quanta gente vive a metà, anche noi: senza fare mai il passo decisivo, senza decollare, senza rischiare per il bene, senza impegnarci davvero per gli altri - ha aggiunto il Pontefice -. Gesù ci chiede questo: vivi il Vangelo e vivrai la vita, non a metà ma fino in fondo. Senza compromessi». Francesco ha raccomandato «l'amore fino in fondo, con tutte le sue spine: non le cose fatte a metà, gli accomodamenti o il quieto vivere».
«Si può andare dietro al Signore per varie ragioni e alcune, dobbiamo riconoscerlo, sono mondane», ha ricordato Francesco, «dietro una perfetta apparenza religiosa si può nascondere la mera soddisfazione dei propri bisogni, la ricerca del prestigio personale, il desiderio di avere un ruolo, di tenere le cose sotto controllo, la brama di occupare spazi e di ottenere privilegi, l'aspirazione a ricevere riconoscimenti e altro ancora», ha spiegato, «questo succede oggi, fra i cristiani. Si può arrivare a strumentalizzare Dio per tutto questo. Ma non è lo stile di Gesù. E non può essere lo stile del discepolo e della Chiesa».
Il Signore, invece, «chiede un altro atteggiamento», ha aggiunto, «seguirlo non significa entrare in una corte o partecipare a un corteo trionfale, e nemmeno ricevere un'assicurazione sulla vita. Al contrario, significa anche “portare la croce”: come Lui, farsi carico dei pesi propri e degli altri, fare della vita un dono, spenderla imitando l'amore generoso e misericordioso che Egli ha per noi».
Secondo il Papa, «si tratta di scelte che impegnano la totalità dell'esistenza; per questo Gesù desidera che il discepolo non anteponga nulla a questo amore, neanche gli affetti più cari e i beni più grandi. Ma per fare ciò - ha aggiunto - bisogna guardare a Lui più che a noi stessi, imparare l'amore, attingerlo dal Crocifisso. Lì vediamo quell'amore che si dona fino alla fine, senza misura e senza confini».
Francesco ha messo in guardia dai falsi profeti: «Specialmente nei momenti di crisi personale e sociale, quando siamo più esposti a sentimenti di rabbia o siamo impauriti da qualcosa che minaccia il nostro futuro, diventiamo più vulnerabili; e, così, sull'onda dell'emozione, ci affidiamo a chi con destrezza e furbizia sa cavalcare questa situazione, approfittando delle paure della società e promettendoci di essere il “salvatore” che risolverà i problemi, mentre in realtà vuole accrescere il proprio gradimento e il proprio potere, la propria figura, la propria capacità di avere le cose in pugno».
Commentando nell'omelia il Vangelo del giorno, il Pontefice si è chiesto «cosa farebbe un astuto leader nel vedere che le sue parole e il suo carisma attirano le folle e aumentano il suo consenso. Capita anche oggi». Ma, ha continuato, «lo stile di Dio è diverso, perché Egli non strumentalizza i nostri bisogni, non usa mai le nostre debolezze per accrescere sé stesso. A Lui, che non vuole sedurci con l'inganno e non vuole distribuire gioie a buon mercato, non interessano le folle oceaniche. Non ha il culto dei numeri, non cerca il consenso, non è un idolatra del successo personale».
Poi il Papa ha concluso l’omelia con le parole di Giovanni Paolo I: «Chiediamo, con le sue parole, quello che lui stesso era solito domandare: “Signore, prendimi come sono, con i miei difetti, con le mie mancanze, ma fammi diventare come tu mi desideri”», ha detto, citando l'udienza generale di papa Luciani del 13 settembre 1978.
L’annuncio della beatificazione è risuonato anche a Canale d’Agordo, la località bellunese di cui era originario Papa Luciani, dove hanno suonato le campane a festa. In questo piccolo angolo delle Dolomiti splende il sole e tutto il paese si è riunito in piazza, dedicata proprio a Luciani, per seguire attraverso il maxischermo la cerimonia a San Pietro. Un centinaio di fedeli della cittadina bellunese si trovano a Roma per assistere in presenza l'evento, altri trecento si sono mossi con i pullman alla volta di Roma da tutta la Diocesi di Belluno. «Per noi è una giornata di grande festa», ha detto all'Ansa Claudia, segretaria del museo dedicato al nuovo Beato, aperto per tutta la giornata, «in piazza c'è chi, soprattutto tra gli anziani, si è voluto accomodare davanti al maxischermo ben più di un'ora prima». Il parroco don Matteo dal primo mattino non si è fermato un attimo, correndo ovunque, per essere sicuro che la macchina organizzativa funzionasse a dovere. Tra i più emozionati c'è il signor Dante, quasi novantenne, molto legato al “Papa del sorriso” negli anni del'infanzia. Sono suoi, tra l'altro, molti dei reperti che raccontano la storia di Giovanni Paolo I e dei suoi 33 giorni sul soglio di Pietro, custoditi nel museo come donazione. Alle finestre che si affacciano sulla piazza sono state appese da tutti i cittadini le bandiere del Vaticano.
Papa Francesco, sotto un cielo che si è finalmente schiarito dopo la pioggia battente, ha recitato l’Angelus al termine della celebrazione: «Saluto le delegazioni ufficiali qui convenute per rendere omaggio al nuovo beato. Il mio deferente pensiero va al signor presidente della Repubblica italiana e al primo ministro del Principato di Monaco». Introducendo la preghiera mariana ha invitato a pregare per la pace: «E ora ci rivolgiamo in preghiera alla Vergine, perché ottenga il dono della pace in tutto il mondo, specialmente nella martoriata Ucraina».