Atene, Grecia
Dalla nostra inviata
Non ci sarebbe l’Europa come a conosciamo senza la Grecia. Qui, infatti è nata la democrazia, qui, la polis intesa come cura del bene comune. Papa Francesco fa un discorso di alta politica parlando alle autorità, alla Società Civile e al Corpo Diplomatico greci.
Appena atterrato ad Atene e raggiunto il palazzo presidenziale a bordo di una Fiat 500 papa Francesco prende la parola per parlare anche al resto del mondo. Da questa che è stata la culla della sapienza e della felicità, il papa scopre le fragilità del mondo di oggi e chiama a un comune impegno. «Senza Atene e senza la Grecia l’Europa e il mondo non sarebbero quello che sono. Sarebbero meno sapienti e meno felici», dice chiaramente. Cita Socrate per dire che qui «si è iniziato a sentirsi cittadini non solo della propria patria, ma del mondo intero. Cittadini: qui l’uomo ha preso coscienza di essere “un animale politico” e, in quanto parte di una comunità, ha visto negli altri non dei sudditi, ma dei cittadini, con i quali organizzare insieme la polis. Qui è nata la democrazia. La culla, millenni dopo, è diventata una casa, una grande casa di popoli democratici: mi riferisco all’Unione Europea e al sogno di pace e fraternità che rappresenta per tanti popoli».
Ma oggi, ovunque, si constata un arretramento della democrazia, uno scetticismo democratico, un passaggio dal partecipare al parteggiare. Si rifà a De Gasperi, al suo discorso del 1949 valido anche oggi: «Si parla molto di chi va a sinistra o a destra, ma il decisivo è andare avanti e andare avanti vuol dire andare verso la giustizia sociale». In questa terra dove l’Acropoli spinge a guardare verso l’Alto e il mare verso l’altro, siamo chiamati a riscoprire la vera politica, a ridare forza alla democrazia che richiede «la partecipazione e il coinvolgimento di tutti e dunque domanda fatica e pazienza. È complessa, mentre l’autoritarismo è sbrigativo e le facili rassicurazioni proposte dai populismi appaiono allettanti». La partecipazione, però, è «un’esigenza fondamentale; non solo per raggiungere obiettivi comuni, ma perché risponde a quello che siamo: esseri sociali, irripetibili e al tempo stesso interdipendenti».
La politica è cosa buona, ma la sua forza non sta nella ricerca ossessiva di popolarità, nella sete di visibilità, nella proclamazione di promesse impossibili o nell’adesione ad astratte colonizzazioni ideologiche. Piuttosto bisogna riscoprirla come «arte del bene comune. Affinché il bene sia davvero partecipato, un’attenzione particolare, direi prioritaria, va rivolta alle fasce più deboli». «Aiutiamoci», chiede il Papa, «a passare dal parteggiare al partecipare; dall’impegnarsi solo a sostenere la propria parte al coinvolgersi attivamente per la promozione di tutti. Dal parteggiare al partecipare. È la motivazione che ci deve sospingere su vari fronti: penso al clima, alla pandemia, al mercato comune e soprattutto alle povertà diffuse. Sono sfide che chiedono di collaborare concretamente e attivamente».
Lo strumento è quello di un multilateralismo «che non venga soffocato da eccessive pretese nazionaliste. Ne ha bisogno la politica, per porre le esigenze comuni davanti agli interessi privati. Può sembrare un’utopia, un viaggio senza speranza in un mare turbolento, un’odissea lunga e irrealizzabile. Eppure il viaggio in un mare agitato, come insegna il grande racconto omerico, è spesso l’unica via. E raggiunge la meta se è animato dal desiderio di casa, dalla ricerca di andare avanti insieme». Plaude «all’“Accordo di Prespa”, firmato tra questa Repubblica e quella della Macedonia del Nord» che è stat possibile proprio praticando questa buona politica.
E parla dell’ulivo, simbolo della fertilità di queste terre e albero che accomuna «terre diverse che si affacciano sull’unico mare. È triste vedere come negli ultimi anni molti ulivi secolari siano bruciati, consumati da incendi spesso causati da condizioni metereologiche avverse, a loro volta provocate dai cambiamenti climatici. Di fronte al paesaggio ferito di questo meraviglioso Paese, l’albero di ulivo può simboleggiare la volontà di contrastare la crisi climatica e le sue devastazioni». Ricorda il diluvio universale e la colomba che torna «da Noè portando “nel becco una tenera foglia di ulivo”. Era il simbolo della ripartenza, della forza di ricominciare cambiando stile di vita, rinnovando le proprie relazioni con il Creatore, le creature e il creato. Auspico in tal senso che gli impegni assunti nella lotta contro i cambiamenti climatici siano sempre più condivisi e non siano di facciata, ma vengano seriamente attuati. Alle parole seguano i fatti, perché i figli non paghino l’ennesima ipocrisia dei padri».
E non può dimenticare i migranti, alcune isole di questo Paese che «ha visto in alcune sue isole approdare un numero di fratelli e sorelle migranti superiore agli abitanti stessi, accrescendo così i disagi, che ancora risentono delle fatiche della crisi economica. Ma anche il temporeggiare europeo perdura: la Comunità europea, lacerata da egoismi nazionalistici, anziché essere traino di solidarietà, alcune volte appare bloccata e scoordinata. Se un tempo i contrasti ideologici impedivano la costruzione di ponti tra l’est e l’ovest del continente, oggi la questione migratoria ha aperto falle anche tra il sud e il nord».
Come ha fatto a Cipro, anche qui, esorta a «una visione d’insieme, comunitaria, di fronte alla questione migratoria, e incoraggiare a rivolgere attenzione ai più bisognosi perché, secondo le possibilità di ciascun Paese, siano accolti, protetti, promossi e integrati nel pieno rispetto dei loro diritti umani e della loro dignità. Più che un ostacolo per il presente, ciò rappresenta una garanzia per il futuro, perché sia nel segno di una convivenza pacifica con quanti sempre di più sono costretti a fuggire in cerca di casa e di speranza. Sono i protagonisti di una terribile moderna odissea». E al Papa piace ricordare che «quando Ulisse approdò a Itaca non fu riconosciuto dai signori del luogo, che gli avevano usurpato casa e beni, ma da chi si era preso cura di lui. La sua nutrice capì che era lui vedendo le sue cicatrici». Esorta a trasformare «in audace opportunità ciò che sembra solo una malcapitata avversità!».
Una avversità, vissuta da tutto il mondo è la pandemia che ci «ha fatti riscoprire fragili e bisognosi degli altri. Anche in questo Paese è una sfida che comporta opportuni interventi da parte delle Autorità – penso alla necessità della campagna vaccinale – e non pochi sacrifici per i cittadini. In mezzo a tanta fatica si è però fatto strada un notevole senso di solidarietà, al quale la Chiesa cattolica locale è lieta di poter continuare a contribuire, nella convinzione che ciò costituisca l’eredità da non perdere con il lento placarsi della tempesta».
E proprio in questa che è la terra di Ippocrate, Francesco parla del giuramento di Ippocrate e dell’impegno a salvaguardare la vita. «Va sempre privilegiato il diritto alla cura e alle cure per tutti, affinché i più deboli, in particolare gli anziani, non siano mai scartati». Gli anziani stano diventando «i privilegiati per lo scarto», ma il Papa sottolinea, invece che «la vita è un diritto, non la morte, la quale va accolta, non somministrata».
Torna a soffermarsi sulla cultura del «rispetto». Torna a parlare di ecumenismo e di fraternità in Cristo e del messaggio che, come aveva esordito all’inizio, orienti verso l’Alto e verso l’altro, che alle seduzioni dell’autoritarismo risponda con la democrazia; che all’indifferenza individualista opponga la cura dell’altro, del povero e del creato, cardini essenziali per un umanesimo rinnovato, di cui hanno bisogno i nostri tempi e la nostra Europa».