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martedì 22 aprile 2025
 
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Il Papa: «I cristiani siano tessitori di dialogo»

15/09/2021  Sull'esempio di Maria, dice il Papa concludendo nel santuario mariano di Šaštin il suo viaggio in Slovacchia, dovremmo vincere la tentazione di una fede statica per essere profeti capaci di fraternità e di condivisione delle croci di chi soffre.

«Con Maria e Giuseppe sulla via di Gesù». Papa Francesco riprende il motto e i logo della sua visita in Slovacchia, una strada disegnata dentro un cuore sormontato dalla Croce, per dire che è Maria che è la strada che ci introduce nel Cuore di Cristo che ha dato la vita per amore nostro. Lo fa, dopo aver pregato, assieme agli altri vescovi della nazione, nel santuario della Madonna dei sette dolori, la patrona del Paese. Una preghiera di affido della «nostra stessa comunione episcopale». Il Pontefice conclude la visita che lo ha portato anche in Ungheria continuando a parlare di unità e di cammino da fare insieme sull’esempio di Maria. A Šaštin, 83 chilometri dalla capitale, lo attende una folla di famiglie, giovani, ragazzi. Una meta, questa al confine con l’Austria, dove ogni anno arrivano circa 200 mila fedeli. Sono soprattutto donne, madri in attesa, persone in difficoltà che si rivolgono a questa Madonna riconosciuta patrona della Slovacchia nel 1927 e la cui festa si celebra il 15 settembre. Qui sostò in preghiera anche Giovanni Paolo II, nel 1995, mentre otto anni prima, il 6 giugno del 1987 vi si era recata in pellegrinaggio anche Madre Teresa di Calcutta. Papa Francesco depone la rosa d’oro, omaggio dei Pontefici alla Vergine, e celebra messa. Ricorda, nell’omelia, che, guardando all’esempio di Maria anche noi dobbiamo aprirci a una fede che è cammino, profezia, compassione.

La Madre di Gesù che si mise subito in cammino, dopo l’annunciazione, per andare dalla cugina Elisabetta, che «alla comodità delle abitudini preferisce le incognite del viaggio, alla stabilità della casa la fatica della strada, alla sicurezza di una religiosità tranquilla il rischio di una fede che si mette in gioco, facendosi dono d’amore per l’altro», ci spinge a vincere la «tentazione di una fede statica, che si accontenta di qualche rito o vecchia tradizione» per andare incontro agli altri, per fare «della vita un pellegrinaggio d’amore verso Dio e verso i fratelli».

E ancora, come Maria, dobbiamo essere portatori della «profezia dell’opera di Dio nella storia, del suo agire misericordioso che rovescia le logiche del mondo, innalzando gli umili e abbassando i superbi». Gesù, ricorda il Papa, «è venuto a portare luce dove ci sono le tenebre». Per questo «non si può ridurre la fede a zucchero che addolcisce la vita. Gesù è segno di contraddizione. Ai suoi discepoli Gesù disse di non essere venuto a portare pace, ma una spada: infatti la sua Parola, come spada a doppio taglio, entra nella nostra vita e separa la luce dalle tenebre, chiedendoci di scegliere. Davanti a Gesù non si può restare tiepidi, con “il piede in due scarpe”». Non si deve essere ostili al mondo, ma mostrare, con la vita, la bellezza del Vangelo. Il Papa chiama gli slovacchi e i cristiani tutti a essere «tessitori di dialogo laddove le posizioni si irrigidiscono; che fanno risplendere la vita fraterna, laddove spesso nella società ci si divide e si è ostili; che diffondono il buon profumo dell’accoglienza e della solidarietà, laddove prevalgono spesso gli egoismi personali e collettivi; che proteggono e custodiscono la vita dove regnano logiche di morte».

Infine la compassione. Maria che resta ai piedi della croce, trafitta anche lei dalla sofferenza del Figlio morente, «raccoglie le nostre lacrime e nello stesso tempo ci consola, indicandoci in Cristo la vittoria definitiva». Come Maria dovremmo essere capaci di restare sotto la croce, senza scappare, senza tentare di salvare noi stessi, senza usare «artifici umani e anestetizzanti spirituali per sfuggire al dolore. Questa è la prova della compassione: restare sotto la croce». Rimanere come Maria, «col volto segnato dalle lacrime, ma con la fede di chi sa che nel suo Figlio Dio  trasforma il dolore e vince la morte». Sul suo esempio anche noi, conclude il Papa, dobbiamo aprirci a una «fede che si fa compassione, che diventa condivisione di vita verso chi è ferito, chi soffre e chi è costretto a portare croci pesanti sulle spalle. Una fede che non rimane astratta, ma ci fa entrare nella carne e ci fa solidali con chi è nel bisogno. Questa fede, con lo stile di Dio, umilmente e senza clamori, solleva il dolore del mondo e irriga di salvezza i solchi della storia».

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