Rio de Janeiro. Risuonano le parole di papa Benedetto in quelle che Francesco rivolge all’episcopato brasiliano. L’11 ottobre 2012, parlando ai giovani e agli adulti dell’Azione cattolica durante la veglia organizzata per ricordare i 50 anni dall’apertura del Concilio Vaticano II, papa Ratzinger aveva parlato «della barca di Pietro», della «fragilità umana che è presente anche nella Chiesa», della «nave della Chiesa che sta navigando anche con vento contrario, con tempeste che la minacciano». Nel pranzo organizzato presso l’arcivescovado di Rio, papa Francesco parla di «una barca fragile, inadatta; reti scadenti, forse anche danneggiate, insufficienti». Lo fa partendo da Aparecida e dal miracolo del ritrovamento di una statuetta spezzata, dopo una pesca infruttuosa. «C’è una lezione che la Chiesa brasiliana e non solo deve ricordare da Aparecida», spiega il Papa ritornando più volte ai punti del documento approvato proprio nel luogo dove sorge il santuario mariano durante la V Conferenza dell’episcopato latinoamericano (Celam), nel 2007. «All’inizio dell’evento di Aparecida c’è la ricerca dei poveri pescatori. Tanta fame e poche risorse. La gente ha sempre bisogno di pane. Gli uomini partono sempre dei loro bisogni, anche oggi». Francesco parla della «fatica, della stanchezza, per la pesca, e tuttavia il risultato è scarso: un fallimento, un insuccesso. Nonostante gli sforzi, le reti sono vuote. Poi, quando vuole Dio, Egli stesso subentra nel suo Mistero. Le acque sono profonde e tuttavia nascondono sempre la possibilità di Dio; e Lui è arrivato di sorpresa, forse quando non era più atteso. La pazienza di coloro che lo attendono è sempre messa alla prova. E Dio è arrivato in modo nuovo, perché può sempre reinventarsi: un’immagine di fragile argilla, oscurata dalle acque del fiume, anche invecchiata dal tempo. Dio entra sempre nelle vesti della pochezza». Una statuetta spezzata che da ricomporre in unità, «come deve fare la Chiesa», una statuetta nera, in un tempo in cui il Brasile era diviso dalla schiavitù. «La Madonna Aparecida si presenta con il volto negro, prima divisa, poi unita nelle mani dei pescatori. In Aparecida, sin dall’inizio, Dio dona un messaggio di ricomposizione di ciò che è fratturato, di compattazione di ciò che è diviso. Muri, abissi, distanze presenti anche oggi sono destinati a scomparire. La Chiesa non può trascurare questa lezione: essere strumento di riconciliazione».
Papa Francesco cita Paolo VI, l’incontro storico di Medellin, il modo orginale con il quale la Chiesa latinoamericana ha messo in pratica il Concilio. E ritorna sulla fragilità: «La Chiesa ha sempre l’urgente bisogno di non disimparare la lezione di Aparecida, non la può dimenticare. Le reti della Chiesa sono fragili, forse rammendate; la barca della Chiesa non ha la potenza dei grandi transatlantici che varcano gli oceani. E tuttavia Dio vuole manifestarsi proprio attraverso i nostri mezzi, mezzi poveri, perché è sempre Lui che agisce. Il risultato del lavoro pastorale non si appoggia sulla ricchezza delle risorse, ma sulla creatività dell’amore. Servono certamente la tenacia, la fatica, il lavoro, la programmazione, l’organizzazione, ma prima di tutto bisogna sapere che la forza della Chiesa non abita in se stessa, bensì si nasconde nelle acque profonde di Dio, nelle quali essa è chiamata a gettare le reti».
E poi parla di semplicità spiegando che «a volte, perdiamo coloro che non ci capiscono perché abbiamo disimparato la semplicità, importando dal di fuori anche una razionalità aliena alla nostra gente. Senza la grammatica della semplicità, la Chiesa si priva delle condizioni che rendono possibile “pescare” Dio nelle acque profonde del suo Mistero». Ai 459 vescovi riuniti per ascoltarlo Francesco ha anche ricordato che «la Chiesa del Brasile deve stare attenta a non perdere il suo "volto amazzonico"». «Va ulteriormente incentivata e rilanciata l'opera della Chiesa a favore degli indios e della loro cultura. Servono formatori qualificati, soprattutto professori di teologia, per consolidare i risultati ottenuti nel campo della formazione di un clero autoctono, anche per avere sacerdoti adattati alle condizioni locali e consolidare, per così dire, il "volto amazzonico", in una Chiesa come quella in Brasile, che è un grande mosaico di tessere, di immagini, di forme, di problemi, di sfide, ma che proprio per questo è una enorme ricchezza».
In un discorso durato circa 40 minuti il Papa è anche tornato sull’icona di Emmaus, sui discepoli stanchi che scappano da Gerusalemme. «Sono scandalizzati dal fallimento del Messia nel quale avevano sperato e che ora appare irrimediabilmente sconfitto, umiliato, anche dopo il terzo giorno». Emmaus ci ricorda «il mistero difficile della gente che lascia la Chiesa; di persone che, dopo essersi lasciate illudere da altre proposte, ritengono che ormai la Chiesa - la loro Gerusalemme - non possa offrire più qualcosa di significativo e importante. E allora vanno per la strada da soli, con la loro delusione. Forse la Chiesa è apparsa troppo debole, forse troppo lontana dai loro bisogni, forse troppo povera per rispondere alle loro inquietudini, forse troppo fredda nei loro confronti, forse troppo autoreferenziale, forse prigioniera dei propri rigidi linguaggi, forse il mondo sembra aver reso la Chiesa un relitto del passato, insufficiente per le nuove domande; forse la Chiesa aveva risposte per l’infanzia dell’uomo ma non per la sua età adulta».
E infine lo sprone a uscire nella notte, a intercettare le strade degli uomini: «Serve una Chiesa in grado di inserirsi nella loro conversazione. Serve una Chiesa che sappia dialogare con quei discepoli, i quali, scappando da Gerusalemme, vagano senza meta, da soli, con il proprio disincanto, con la delusione di un Cristianesimo ritenuto ormai terreno sterile, infecondo, incapace di generare senso». E per quanti si sono fatti incantare dalla globalizzazione ricorda che «in essa c’è qualcosa di veramente positivo. Ma a tanti sfugge il lato oscuro: lo smarrimento del senso della vita, la disintegrazione personale, la perdita dell’esperienza di appartenenza a un qualsivoglia “nido”, la violenza sottile ma implacabile, la rottura interiore e la frattura nelle famiglie, la solitudine e l’abbandono, le divisioni e l’incapacità di amare, di perdonare, di comprendere, il veleno interiore che rende la vita un inferno, il bisogno della tenerezza perché ci si sente così inadeguati e infelici, i tentativi falliti di trovare risposte nella droga, nell’alcool, nel sesso diventati ulteriori prigioni».
«Oggi, serve una Chiesa in grado di far compagnia, di andare al di là del semplice ascolto; una Chiesa che accompagna il cammino mettendosi in cammino con la gente; una Chiesa capace di decifrare la notte contenuta nella fuga di tanti fratelli e sorelle da Gerusalemme; una Chiesa che si renda conto di come le ragioni per le quali c’è chi si allontana contengono già in se stesse anche le ragioni per un possibile ritorno, ma è necessario saper leggere il tutto con coraggio».
Per questo ai vescovi ha chiesto se «siamo ancora una Chiesa capace di riscaldare il cuore? Una Chiesa capace di ricondurre a Gerusalemme? Di riaccompagnare a casa? In Gerusalemme abitano le nostre sorgenti: Scrittura, Catechesi, Sacramenti, Comunità, amicizia del Signore, Maria e gli Apostoli... Siamo ancora in grado di raccontare queste fonti così da risvegliare l’incanto per la loro bellezza?».
«La Chiesa sa ancora essere lenta: nel tempo, per ascoltare, nella pazienza, per ricucire e ricomporre? O anche la Chiesa è ormai travolta della frenesia dell’efficienza?», si è interrogato il Papa prima di rivolgere l'invito finale a recuperare «la calma di saper accordare il passo con le possibilità dei pellegrini, con i loro ritmi di cammino, la capacità di essere sempre vicini per consentire loro di aprire un varco nel disincanto che c’è nei cuori, così da potervi entrare. Essi vogliono dimenticare Gerusalemme nella quale abitano le loro sorgenti, ma allora finiranno per sentire sete. Serve una Chiesa capace ancora di accompagnare il ritorno a Gerusalemme! Una Chiesa che sia in grado di far riscoprire le cose gloriose e gioiose che si dicono di Gerusalemme, di far capire che essa è mia Madre, nostra Madre e non siano orfani».