Il Papa si commuove ad ascoltare le storie di Daniel e Siriman. L'ultimo incontro prima di lasciare Malta è con i migranti, con quelle persone che, confessa Francesco, «porto nel cuore fin dalla prima volta che sono andato a Lampedusa». Il motivo principale del suo viaggio a Malta, chiamare all'accoglienza come già l'isola fece con il naufragio di San Paolo e dei suoi compagni, è una richiesta a tutta l'Europa. Perché non lasci che nel mar Mediterraneo «naufraghi la civiltà». Ancora stanotte altre cento persone sono morte nel tentativo di raggiungere le coste del Continente, alla ricerca di «democrazia e libertà», come hanno detto i migranti nelle loro testimonianze. Alla ricerca di un futuro migliore per se e per le proprie famiglie. Nessuno lascia la sua patria acuor leggero, ripetono entrambi mentre spiegano le loro traversie per arrivare fino al Centro “Giovanni XXIII Peace Lab”. Sullo sfondo anche i rapporti tra Malta e Italia e le reciproche accuse di non soccorrere i migranti quando Daniel racconta di una nave italiana che, dopo averlo soccorso, lo avrebbe riconsegnato alla guardia costiera libica e al lager da cui era fuggito.
«Sono qui per dirvi che vi sono vicino… Sono qui per vedere i vostri volti, per guardarvi negli occhi», dice loro iol Papa riprendendo le stesse parole che aveva detto a Lesbo. E spiega, ancora una volta, il motto del viaggio tratto dagli Atti degli Apostoli: «Ci trattarono con rara umanità». Luca riferisce che questo fu il modo «in cui i maltesi accolsero l’Apostolo Paolo e tutti quelli che insieme a lui erano naufragati nei pressi dell’Isola. Li trattarono “con rara umanità”. Non solo con umanità, ma con una umanità non comune, una premura speciale». Il Pontefice augura a Malta di essere davvero, come è il significato del suo nome, «un "porto sicuro”» perché «quella del naufragio è un’esperienza che migliaia di uomini, donne e bambini hanno fatto in questi anni nel Mediterraneo. E purtroppo per molti di loro è stata tragica». Con chi muore nel Mediterraneo rischia di fare naufragio anche «la nave della nostra civiltà». Possiamo impedirlo coslo «comportandoci con umanità. Guardando le persone non come dei numeri, ma per quello che sono cioè dei volti, delle storie, semplicemente uomini e donne, fratelli e sorelle». Dobbiamo immaginare, dice il Papa che, «al posto di quella persona che vedo su un barcone o in mare alla televisione, o in una foto, al posto suo potrei esserci io, o mio figlio, o mia figlia… Forse anche in questo momento, mentre siamo qui, dei barconi stanno attraversando il mare da sud a nord… Preghiamo per questi fratelli e sorelle che rischiano la vita nel mare in cerca di speranza».A volte, dice il Papa ì, i diritti sono violati con la complicità delle autorità competenti, voglio dirlo proprio così, sottolinea due volte.
A questo dramma, in questi giorni si aggiunge quello di «migliaia e migliaia di persone che nei giorni scorsi sono state costrette a fuggire dall’Ucraina a causa di questa guerra ingiusta e selvaggia. Ma anche a quelle di tanti altri uomini e donne che, alla ricerca di un luogo sicuro, si sono visti obbligati a lasciare la propria casa e la propria terra in Asia, in Africa e nelle Americhe, penso ai rohingya». Il Papa pensa a loro, ma anche a tutti quelli che fanno un lavoro di accoglienza come quello del Centro. Un lavoro che deve curare anche le ferite emotive, quello strappo con le prorie radici che resta come una cicatrice nell'animo di chi deve separarsi dagli affetti più cari. «Ci vuole tempo per risanare questa ferita; ci vuole tempo e soprattutto ci vogliono esperienze ricche di umanità: incontrare persone accoglienti, che sanno ascoltare, comprendere, accompagnare; e anche stare insieme ad altri compagni di viaggio, per condividere, per portare insieme il peso… Questo aiuta a rimarginare le ferite», dice Francesco. Per questo è importante che questi siano «luoghi di umanità! Sappiamo che è difficile, ci sono tanti fattori che alimentano tensioni e rigidità. E tuttavia, in ogni continente, ci sono persone e comunità che accettano la sfida, consapevoli che la realtà delle migrazioni è un segno dei tempi dove è in gioco la civiltà. E per noi cristiani è in gioco anche la fedeltà al Vangelo di Gesù, che ha detto "Ero straniero e mi avete accolto"».
Infine il Papa invita i migranti a diventare essi stessi «testimoni e animatori di accoglienza e di fraternità. Qui e dove Dio vorrà, dove la Provvidenza guiderà i vostri passi». Una volta sanate le ferite dello «strappo, dello sradicamento, voi potete far emergere questa ricchezza che portate dentro, un patrimonio di umanità preziosissimo, e metterla in comune con le comunità nelle quali siete accolti e negli ambienti dove vi inserite».
Alla sfida delle migrazioni, aggiunge il Papa, occorre rispondere «con lo stile dell’umanità, accendiamo fuochi di fraternità, intorno ai quali le persone possano riscaldarsi, risollevarsi, riaccendere la speranza. Rafforziamo il tessuto dell’amicizia sociale e la cultura dell’incontro, partendo da luoghi come questo, che certamente non saranno perfetti, ma sono “laboratori di pace”». E prima di accendere, insieme con i migranti una candela davanti all'immagine di Maria, «piccola fiammella simbolo della fede in Dio», il Pontefice cita il suo predecessore cui il Centro di accoglienza è dedicato. Alla fine «della sua memorabile enciclica sulla pace» Giovanni XXIII scrisse: «Allontani [il Signore] dal cuore degli uomini ciò che la può mettere in pericolo – la pace –; e li trasformi in testimoni di verità, di giustizia, di amore fraterno. Illumini i responsabili dei popoli, affinché accanto alle sollecitudini per il giusto benessere dei loro cittadini garantiscano e difendano il gran dono della pace; accenda le volontà di tutti a superare le barriere che dividono, ad accrescere i vincoli della mutua carità, a comprendere gli altri, a perdonare coloro che hanno recato ingiurie; in virtù della sua azione, si affratellino tutti i popoli della terra e fiorisca in essi e sempre regni la desideratissima pace».