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domenica 10 novembre 2024
 
natalità
 

«Natalità e accoglienza vanno insieme. Senza speranza non si è generativi»

12/05/2023  Papa Francesco, dopo Giorgia Meloni, interviene agli Stati generali della natalità e chiede di affrontare il futuro senza ideologie. L'inverno demografico si può battere coltivando politiche che combattano le ingiustizie sociali e aiutino le donne, oggi schiave, schiacciate dal peso della cura per la propria famiglia

Lavoro, affitto, precarietà, attenzione agli anziani e alla disabilità, fringe benefit a tremila euro per chi ha figli a carico. Giorgia Meloni interviene agli Stati generali della natalità spiegando che «fin dal nostro primo giorno, il Governo ha messo i figli e i genitori in cima all'agenda politica. Abbiamo fatto della natalità e della famiglia una priorità assoluta della nostra azione. Vogliamo che l'Italia torni ad avere un futuro, a sperare e a credere in un futuro migliore rispetto a questo presente incerto». E spiega che la denatalità non dipende solo «da questioni materiali», ma soprattutto culturali e di relazioni. «Vogliamo una nazione», sottolinea la premier, «nella quale non sia un tabù dire che gli uteri non si affittano, che i figli non sono prodotti da banco che scegli da uno scaffale come se fossi al supermercato e poi restituisci se il prodotto non è quello che ti aspettavi». Servono politihe a favore della maternità, spiega. Lo sottolinea anche papa Francesco, che interviene dopo la premier. Una calorosa stretta di mano tra i due e battute cordiali e sorridenti. Il Pontefice, partendo proprio dalla parola speranza, incentra tutot il suo intervento sul clima sociale «in cui metter su famiglia» sembra essere «uno sforzo titanico». Parla del futuro incerto, tra guerre, pandemia, spostamenti di massa e crisi climatiche. Della sensazione di precarietà che attanaglia i giovani alla ricerca di una loro collocazione nel domani. Certamente c’è il problema economico, la «difficoltà a trovare un lavoro stabile, difficoltà a mantenerlo, case dal costo proibitivo, affitti alle stelle e salari insufficienti», ma c’è anche una cultura centrata sui bisogni del singolo. In cui è la donna a sopportare il peso di tutto.  Sono loro le più «danneggiate, spesso costrette al bivio tra carriera e maternità, oppure schiacciate dal peso della cura per le proprie famiglie, soprattutto in presenza di anziani fragili e persone non autonome. In questo momento le donne sono schiave. Certo, esiste la Provvidenza, e milioni di famiglie lo testimoniano con la loro vita e le loro scelte, ma l’eroismo di tanti non può diventare una scusa per tutti». Il Papa chiede nuove politiche che possano «predisporre un terreno fertile per far fiorire una nuova primavera e lasciarci alle spalle questo inverno demografico. E, visto che il terreno è comune, come comuni sono la società e il futuro, è necessario affrontare il problema insieme, senza steccati ideologici e prese di posizione preconcette. Insieme è importante». Va cambiata la mentalità e capire che «la famiglia non è parte del problema, ma è parte della sua soluzione. E allora mi chiedo: c’è qualcuno che sa guardare avanti con il coraggio di scommettere sulle famiglie, sui bambini, sui giovani?». Parla delle continue lamentele che sente da parte delle mamme che vedono i figli laureati, impiegati, ma ancora senza progetti matrimoniali. A loro, che chiedono cosa fare il Papa risponde: «Non stirare le camicie, cominciamo così e poi vediamo». Non è possibile, continua il Pontefice accettare che la società smetta di essere generativa e «degeneri nella tristezza. Quando non c’è generatività viene la tristezza, è un malore brutto brutto, grigio. Non possiamo accettare passivamente che tanti giovani fatichino a concretizzare il loro sogno familiare e siano costretti ad abbassare l’asticella del desiderio, accontentandosi di surrogati privati e mediocri: fare soldi, puntare alla carriera, viaggiare, custodire gelosamente il tempo libero... Tutte cose buone e giuste quando rientrano in un progetto generativo più grande, che dona vita attorno a sé e dopo di sé». Senza questo contesto, invece, «rimangono solo aspirazioni individuali, inaridiscono nell’egoismo e portano a quella stanchezza interiore, questo è lo stato d’animo di una società non generativa, che anestetizza i grandi desideri e caratterizza la nostra società come società della stanchezza!».

E quando siamo grigi e stanchi «ci chiudiamo e percepiamo tutto come una minaccia. Ecco, la natalità, così come l’accoglienza, che non vanno mai contrapposte perché sono due facce della stessa medaglia, ci rivelano quanta felicità c’è nella società. Una comunità felice sviluppa naturalmente i desideri di generare e di integrare, di accogliere, mentre una società infelice si riduce a una somma di individui che cercano di difendere a tutti i costi quello che hanno. E tante volte si dimenticano di sorridere».

Bisogna recuperare la speranza, che non è solo ottimismo, ma «è una virtù concreta, è un atteggiamento di vita. E ha a che fare con scelte concrete. La speranza si nutre dell’impegno per il bene da parte di ciascuno, cresce quando ci sentiamo partecipi e coinvolti nel dare senso alla vita nostra e degli altri. Alimentare la speranza è dunque un’azione sociale, intellettuale, artistica, politica nel senso più alto della parola; è mettere le proprie capacità e risorse al servizio del bene comune, è seminare futuro. La speranza genera cambiamento e migliora l’avvenire. È la più piccola delle virtù, diceva Peguy, ma ti porta più avanti». E allora questi Stati generali della natalità, per il Papa sono «un cantiere di speranza. Un cantiere dove non si lavora su commissione, perché qualcuno paga, ma dove si lavora tutti insieme proprio perché tutti vogliono sperare».

Insieme, mondo della politica, dello sport, delle imprese, dello spettacolo, del giornalismo, sono chiamati a ragionare su come «ricominciare a nascere, non solo fisicamente, ma interiormente, per venire alla luce ogni giorno e illuminare di speranza il domani». La storia non è già segnata e Dio apre strade nuove anche nel deserto arido. Strade da cercare e percorrere insieme in questo «tempo di crisi attraversato da tante ingiustizie, la guerra è una di queste». Per Francesco «ridare impulso alla natalità vuol dire riparare le forme di esclusione sociale che stanno colpendo i giovani e il loro futuro. Ed è un servizio per tutti: i figli non sono beni individuali, sono persone che contribuiscono alla crescita di tutti, apportando ricchezza umana e generazionale, apportando creatività al cuore dei genitori, pure. A voi, che siete qui per trovare buone soluzioni, frutto della vostra professionalità e delle vostre competenze, vorrei dire: sentitevi chiamati al grande compito di rigenerare speranza, di avviare processi che diano slancio e vita all’Italia, all’Europa, al mondo e che ci portano tanti bambini».

 
 
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