Da Rio de Janeiro
Un Papa argentino che dice “fate chiasso” nella Cattedrale di Rio gremita da 5 mila suoi giovani connazionali, che in favela denuncia, senza mai citarle, che le Unità di polizia pacificatrici, considerate, da chi governa il Brasile, la panacea, non sono in realtà da sole l'unica soluzione e che si scaglia contro la corruzione in un continente tra i più corrotti al mondo è, senza dubbio, un Papa che “fa politica”. E la politica accusa il colpo.
Già perché dire ai giovani fedeli argentini, arrivati in massa alla Gmg – almeno 20mila, dopo i brasiliani sono la comunità più numerosa – che “facciano chiasso” per migliorare un mondo che evidentemente perfetto non è, rappresenta un’esortazione ”molto politica”, come scrive su El Clarín, il quotidiano più letto d’Argentina, Sérgio Rubin, biografo di Papa Bergoglio.
Il tema, va da sè, “è delicato” ammette a Famiglia Cristiana lo stesso Rubín, ma di “questo si tratta”, soprattutto trattandosi di Bergoglio, un uomo “pienamente cosciente del valore delle parole”. Anche perché, sempre ieri, Francesco ha invitato anche i suoi connazionali più anziani a “non silenziarsi e a trasmettere la loro esperienza ai giovani”. In un momento storico come l’attuale per l’Argentina, queste parole che invitano a «mobilitarsi per migliorare la società con la partecipazione, anche rumorosa, in strada, perché la Chiesa “non si trasformi in una semplice Ong”, sono di estrema importanza», spiega Rubin. Forse una lettura riduttiva, che piega il messaggio del Santo Padre a illustrare i rapporti di forza interni a una Nazione. Ma comunque una lettura che rende l'idea di come sia stato "letto" il papa in Argentina.
In ogni caso, oggi nel Paese del tango si assiste a un tentativo del governo Kirchner di silenziare l’opposizione con una legge sui media discutibile e che sembra avere come unico nemico proprio il gruppo editoriale Clarín. Altri gruppi, altrettanto forti, non vengono toccati per un semplice motivo: appoggiano il governo. Con un capo dell’Esercito fedelissimo kirchnerista come César Milani, citato nel rapporto sulle violazioni dei diritti umani Nunca Más come un repressore dell’ultima dittatura, con inchieste per corruzione che coinvolgono membri vicini al governo, con indici d'inflazione addomesticati dall’Indec, l’Istat argentino, il significato dell’appello di Papa Bergoglio ai giovani argentini di “fare chiasso” «non passa inosservato», puntualizza Rubín.
Discorso analogo vale per le Upp, “vendute” dal marketing del governo brasiliano come il miglior modo per risolvere il “problema favelas”. Della serie, mettiamo lì dei commissariati, ed il gioco è fatto. Purtroppo così non è perché occorre un serio impegno sociale che doti le favelas di servizi essenziali (elettricità, strade, fognature) includendole nel tessuto urbano. «Ci voleva il Papa per farlo capire al mondo», osservano alcuni analisti. Già il fatto che dal 2017, quando cioè saranno passati Mondiali (2014) e le Olimpiadi (2016), le Unità di polizia pacificatrice saranno ritirate fa capire che la loro introduzione, al di là di alcune lodevoli eccezioni, non sia una soluzione ma piuttosto un cerotto.
Inoltre, solo a Rio, le favelas censite sono un migliaio mentre quelle “pacificate” appena una cinquantina. Infine, cosa forse più importante, nelle favelas pacificate il narcotraffico non è stato praticamente “toccato”, sono appena stati ridotti gli scontri a fuoco e le Upp si occupano solo di questo mentre non intervengono sullo spaccio. È certamente una cosa buona ridurre le sparatorie, ma il timore di molti e che, dopo il 2017, al posto delle Upp subentrino le milizie presenti già in molte favelas ed i cui membri sono ex poliziotti.