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mercoledì 21 maggio 2025
 
Udienza generale
 

Il Papa: «La guerra è una pazzia»

24/08/2022  Francesco invoca la pace e poi conclude il ciclo di catechesi sulla vecchiaia ricordardando che la morte fa un po' paura, ma è il passaggio verso Gesù e verso la festa che ci ha preparato

«La guerra è una pazzia e rinnovo invito a porvi fine». A sei mesi dall’inizio del conflitto in Ucraina, papa Francesco rinnova il suo appello per la pace ricordando che ha consacrato entrambe le Nazioni, Russia e la stessa Ucraina, al cuore immacolato di Maria. «Auspico», dice, «che si intraprendano passi concreti per mettere fine alla guerra e scongiurare il rischio di un disastro nucleare a Zaporizhzhia. Cita l’omicidio di Darya Dugina, «quella povera ragazza volata in aria per una bomba che era sotto il sedile della macchina a Mosca. Gli innocenti pagano la guerra. Gli innocenti. Pensiamo a questa realtà' e diciamoci uno all'altro: la guerra è una pazzia. E coloro che guadagnano con la guerra, sia con il commercio delle armi sono dei deliquenti, che ammazzano l'umanità». Francesco parla della Siria, del Myanmar, di tanti altri Paesi in guerra e commenta che «nessuno che è' in guerra può dire “no, io non sono pazzo”».

Prima, nel corso della catechesi, aveva raccomandato agli anziani di essere luce per gli altri. Papa Francesco parla soprattutto ai suoi coetanei per dire che il destino che ci attende è di ricongiungerci con il Padre in una festa senza fine. «Il meglio bisogna ancora vederlo», dice il Pontefice ricordando l’Assunzione di Maria. Nell’udienza che conclude il ciclo sulla vecchiaia, Francesco dice che «questo mistero illumina il compimento della grazia che ha plasmato il destino di Maria, e illumina anche la nostra destinazione. La nostra destinazione è il cielo».

Il Papa parla di questo dogma mettendolo in relazione «con la risurrezione del Figlio, che apre la via della generazione alla vita per tutti noi. Nell’atto divino del ricongiungimento di Maria con Cristo Risorto non è semplicemente trascesa la normale corruzione corporale della morte umana, non solo questo, è anticipata l’assunzione corporale della vita di Dio. Viene infatti anticipato il destino della risurrezione che ci riguarda: perché, secondo la fede cristiana, il Risorto è primogenito di molti fratelli e sorelle. Il Signore risorto è quello che è andato prima, ma andremo tutti; questo è il nostro destino, risorgere».

La morte è come una seconda nascita, la prima è stata «sulla terra, questa seconda è la nascita al cielo. Non a caso l’Apostolo Paolo, nel testo che è stato letto all’inizio, parla delle doglie del parto. Come, appena usciti dal seno di nostra madre, siamo sempre noi, lo stesso essere umano che era nel grembo, così, dopo la morte, nasciamo al cielo, allo spazio di Dio, e siamo ancora noi che abbiamo camminato su questa terra. Analogamente a quanto è accaduto a Gesù: il Risorto è sempre Gesù: non perde la sua umanità, il suo vissuto, e neppure la sua corporeità, no, rimane lui, perché senza di essa non sarebbe più Lui, con la sua corporeità, con il suo vissuto».

L’esperienza dei discepoli, ai quali Gesù mostra i suoi patimenti, ci dice proprio questo: non sono cancellate le ferite, ma «non sono più le brutture dell’avvilimento dolorosamente patito, ormai sono la prova indelebile del suo amore fedele sino alla fine. Gesù risorto con il suo corpo vive nell’intimità trinitaria di Dio! E in essa non perde la memoria, non abbandona la propria storia, non scioglie le relazioni in cui è vissuto sulla terra. Ai suoi amici ha promesso: “Quando sarò andato e vi avrò preparato un posto, lui se né andato per prepararci un posto verrò di nuovo e vi prenderò con me, perché dove sono io siate anche voi”». E allora spiega il Papa, «la morte è il passo all’incontro con Gesù, che mi sta aspettando per portarmi da Lui». E Francesco ricorda che Gesù, «quando parla del Regno di Dio, lo descrive come un pranzo di nozze, cioè come una festa, ci aspetta una festa, come una festa con gli amici, come il lavoro che rende perfetta la casa, o le sorprese che rendono il raccolto più ricco della semina. Prendere sul serio le parole evangeliche sul Regno abilita la nostra sensibilità a godere dell’amore operoso e creativo di Dio, e ci mette in sintonia con la destinazione inaudita della vita che seminiamo».

Nella vecchia si fa attenzione a tanti dettagli «di cui è fatta la vita – una carezza, un sorriso, un gesto, un lavoro apprezzato, una sorpresa inaspettata, un’allegria ospitale, un legame fedele – si rende più acuta. L’essenziale della vita, che in prossimità del nostro congedo teniamo più caro, ci appare definitivamente chiaro. Ecco: questa sapienza della vecchiaia è il luogo della nostra gestazione, che illumina la vita dei bambini, dei giovani, degli adulti, dell’intera comunità. I vecchi dovremo essere questa luce per gli altri. L’intera nostra vita appare come un seme che dovrà essere sotterrato perché nasca il suo fiore e il suo frutto. Nascerà, insieme con tutto il resto del mondo. Non senza doglie, non senza dolore, ma nascerà». E, mentre il Risorto aspetta gli Apostoli in riva al lago, non a caso, «arrostisce del pesce e poi lo offre loro. Questo gesto di amore premuroso ci fa intuire che cosa ci aspetta mentre passiamo all’altra riva. Sì, cari fratelli e sorelle, specialmente voi anziani, il meglio della vita è ancora tutto da vedere. Ma siamo vecchi, cosa dovremo vedere in più? Il meglio è ancora da vedere, speriamo questa pienezza della vita quando il signore ci chiamerà».

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