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venerdì 20 settembre 2024
 
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Il Papa: «Percorriamo insieme il tragitto di guarigione»

30/07/2022  Il Pontefice, nell'ultima tappa del viaggio in Canada incontra alcuni ex alunni delle scuole residenziali e ripete la sua richiesta di perdono. Poi sprona anziani e giovani a camminare insieme, a cercare il volto Inuit di Gesù

Il viaggio del Papa in Canada si conclude con un incontro privato con i sopravvissuti delle scuole residenziali e poi con un discorso ai giovani e agli anziani. Il primo va ben oltre il previsto perché Francesco vuole ascoltare le storie degli ex alunni che hanno vissuto questa terribile esperienza.

Un incontro, dice il Papa parlando nel piazzale della scuola elementare di Iqaluit, che «ha ridestato in me l’indignazione e la vergogna che mi accompagnano da mesi. Anche oggi, anche qui, vorrei dirvi che sono molto addolorato e desidero chiedere perdono per il male commesso da non pochi cattolici che hanno contribuito alle politiche di assimilazione culturale e di affrancamento in quel sistema educativo distorto». Francesco racconta la descrizione di un anziano che paragonava la vita familiare prima dell’avvento delle scuole residenziali alla primavera «quando gli uccellini cantano felici attorno alla mamma. Ma all’improvviso – diceva – il canto si è fermato: le famiglie sono state disgregate, i piccoli portati via, lontani dal loro ambiente; su tutto è calato l’inverno».
Parole che suscitano dolore, ma «anche scandalo; ancora di più se le confrontiamo con la Parola di Dio, il quale comandò: “Onora tuo padre e tua madre, perché si prolunghino i tuoi giorni nel paese che il Signore, tuo Dio, ti dà”. Questa possibilità non c’è stata per tante vostre famiglie, è venuta meno quando i figli sono stati separati dai genitori e il proprio Paese è stato avvertito come pericoloso ed estraneo. Quelle assimilazioni forzate rievocano un’altra pagina biblica, il racconto del giusto Nabot che non voleva cedere la vigna ereditata dai suoi padri a chi, governando, era disposto a usare ogni mezzo pur di strappargliela. E vengono pure alla mente quelle parole forti di Gesù contro chi scandalizza i piccoli e disprezza uno solo di loro. Quanto male nello spezzare i legami tra genitori e figli, nel ferire gli affetti più cari, nel danneggiare e scandalizzare i piccoli».

Ma poi ricorda anche che si è insieme per fare «un tragitto di guarigione e di riconciliazione che, con l’aiuto del Creatore, ci aiuti a fare luce sull’accaduto e a superare quel passato oscuro».

Il Papa parla del «qulliq», una lampada tradizionale che serve per dare luce e riscaldare «le lunghe notti invernali» e permettere di vivere e che oggi «permane un bellissimo simbolo di vita, di un vivere luminoso che non si arrende alle oscurità della notte. Così siete voi, testimonianza perenne della vita che non si spegne, di una luce che risplende e che nessuno è riuscito a soffocare».
Ringrazia, Francesco, per essere arrivato fino a Nunavut, all’interno dell’Inuit Nunangat, così come aveva sognato a Roma dopo aver incontrato i nativi. «Ho provato a immaginare, dopo il nostro incontro a Roma, questi luoghi vasti che abitate da tempi immemorabili e che per altri sarebbero ostili. Voi avete saputo amarli, rispettarli, custodirli e valorizzarli, tramandando di generazione in generazione valori fondamentali, quali il rispetto per gli anziani, un genuino senso di fraternità e la cura per l’ambiente. C’è una bella corrispondenza tra voi e la terra che abitate, perché anch’essa è forte e resiliente, e risponde con tanta luce al buio che per gran parte dell’anno la avvolge. Ma pure questa terra, come ogni persona e popolazione, è delicata e occorre prendersene cura». Una cura che si tramanda dagli anziani ai giovani. «Cura per la terra, cura per le persone, cura per la storia». E, rivolgendosi proprio ai giovani, Francesco cita Goethe: «Ciò che hai ereditato dai padri, riconquistalo se vuoi possederlo davvero». Non basta, infatti,  «vivere di rendita, occorre riconquistare quanto si è ricevuto in dono. Non temere, dunque, di ascoltare e riascoltare i consigli dei più anziani, di abbracciare la tua storia per scriverne pagine nuove, di appassionarti, di prendere posizione davanti ai fatti e alle persone, di metterti in gioco».

Da «fratello anziano» il Papa dà al giovane inuit tre consigli: «Cammina verso l’alto. Abiti queste vaste regioni del nord. Che esse ti ricordino la tua vocazione a tendere verso l’alto, senza lasciarti trascinare in basso da chi vuol farti credere che sia meglio pensare solo a te stesso e usare il tempo che hai unicamente per il tuo svago e i tuoi interessi. Amico, non sei fatto per vivacchiare, per passare le giornate bilanciando doveri e piaceri, ma per librarti verso l’alto, verso i desideri più veri e belli che porti nel cuore, verso Dio da amare e il prossimo da servire. Non pensare che i grandi sogni della vita siano cieli irraggiungibili. Sei fatto per spiccare il volo, per abbracciare il coraggio della verità e promuovere la bellezza della giustizia». Certo ,non è facile, c’è una sorta di «forza di gravità spirituale che spinge per trascinarci in basso, paralizzare i desideri, affievolire la gioia. Allora, pensa alla rondine dell’artico che noi chiamiamo “charrán”: essa non lascia che i venti contrari o gli sbalzi di temperatura le impediscano di andare da un’estremità all’altra della terra; a volte sceglie vie che non sono dirette, accetta deviazioni, si adatta a certi venti… ma sempre mantiene chiara la meta, sempre arriva a destinazione». Il Papa mette in guardia: «Incontrerai gente che proverà ad azzerare i tuoi sogni, che ti dirà di accontentarti di poco, di lottare solo per quel che ti conviene. Allora ti chiederai: perché devo darmi da fare per quello in cui gli altri non credono? E ancora: come posso decollare all’interno di un mondo che sembra scendere sempre più in basso tra scandali, guerre, imbrogli, mancanza di giustizia, distruzione dell’ambiente, indifferenza nei riguardi dei più deboli, delusioni da parte di chi dovrebbe dare l’esempio?». Ma la risposta sei tu, spiega il Papa. Non solo «perché se ti arrendi hai già perso in partenza, ma perché il futuro è nelle tue mani. Sono nelle tue mani la comunità che ti ha generato, l’ambiente in cui vivi, la speranza dei tuoi coetanei, di chi, anche senza chiedertelo, attende da te il bene originale e irripetibile che puoi immettere nella storia, perché “ciascuno di noi è unico”». Guardare in alto vuol dire anche guardare il Crocifisso. «Capirai che Gesù dalla croce non ti punta mai il dito contro, ma ti abbraccia e ti incoraggia, perché crede in te anche quando tu hai smesso di credere in te stesso. Allora non perdere mai la speranza, lotta, metticela tutta e non te ne pentirai. Vai avanti nel cammino, “passo dopo passo verso il meglio”. Imposta il navigatore della tua esistenza verso una meta grande, verso l’alto».

E poi, secondo consiglio, quando ci si sente sconfortati bisogna pensare al «qulliq: contiene un messaggio per te. Quale? Che esisti per venire alla luce ogni giorno. Non solo il giorno della tua nascita, quando non dipese da te, ma ogni giorno. Quotidianamente sei chiamato a portare nel mondo una luce nuova, quella dei tuoi occhi, del tuo sorriso, del bene che tu e solo tu puoi aggiungervi. Ma, per venire alla luce, c’è da lottare ogni giorno con l’oscurità. Sì, c’è uno scontro quotidiano tra luce e tenebre, che non avviene là fuori da qualche parte, ma dentro ciascuno di noi. La via della luce domanda scelte di cuore coraggiose contro il buio delle falsità, chiede di “sviluppare buone abitudini per vivere bene”, di non inseguire scie luminose che spariscono in fretta, fuochi d’artificio che lasciano solo fumo». Come Gesù, anche «tu sei luce del mondo e lo diventerai sempre di più, se lotti per allontanare dal cuore il triste buio del male». Si comincia coltivando la libertà «che non è fare tutto quello che mi pare e mi piace; non è quello che posso fare nonostante gli altri, ma per gli altri; non è totale arbitrio, ma responsabilità. La libertà è il dono più grande che il nostro Padre nei cieli ci ha dato insieme alla vita». E allora «coraggio fratello, coraggio sorella, prendi in mano la tua libertà, non avere paura di compiere scelte forti, vieni alla luce ogni giorno».

E infine il terzo consiglio: fare squadra. «I giovani fanno grandi cose insieme, non da soli. Perché voi giovani siete come le stelle del cielo, che qui brillano in modo stupendo: la loro bellezza nasce dall’insieme, dalle costellazioni che compongono, e che danno luce e orientamento alle notti del mondo». Non bisogna rimanere ostaggio dei telefonini, isolati. Il Papa, guardando i ghiacci «di queste terre» pensa allo «sport nazionale del Canada, l’hockey su ghiaccio. Come riesce il Canada a conquistare tutte quelle medaglie olimpiche? Come hanno fatto Sarah Nurse o Marie-Philip Poulin a segnare tutti quei gol? L’hockey coniuga bene disciplina e creatività, tattica e fisicità; ma a fare la differenza è sempre lo spirito di squadra, presupposto indispensabile per affrontare le imprevedibili circostanze di gioco. Fare squadra significa credere che per raggiungere grandi obiettivi non si può andare avanti da soli; occorre muoversi insieme, avere la pazienza di intessere fitte reti di passaggi. Significa pure lasciare spazio agli altri, uscire velocemente quand’è il proprio turno e fare il tifo per i compagni. Ecco lo spirito di squadra».
E questi tre consigli, camminare verso l’alto, venire alla luce ogni giorno e fare squadra, vanno applicati nella propria cultura, «nel bellissimo linguaggio Inuktitut». Il Papa si congeda con un augurio: «Vi auguro», dice, «ascoltando gli anziani e attingendo alla ricchezza delle vostre tradizioni e della vostra libertà, di abbracciare il Vangelo custodito e tramandato dai vostri antenati e di incontrare il volto Inuk di Gesù Cristo».

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