Kenya, 25 novembre 2015: alcuni Masai in attesa del Papa (foto Reuters). In copertina: l'arrivo di Francesco a Nairobi (foto Ansa).
Nairobi, Kenya
Nostro servizio
Tutto
in Africa incomincia con una storia. Lo
scorso agosto chiesi ad un gruppo di bambini di strada di preparare un
intrattenimento. Molti si fecero avanti con poesie, canzoncine o
acrobazie mozzafiato. Elija, 10 anni, propose dei versi struggenti,
cantati con una vocina esile: «Papà, perché sei ubriaco e mi
batti? Mamma, perché non mi dai da mangiare? Ma io vi voglio bene».
La
famiglia di Elija rappresenta bene la gente di Nairobi che desidera
incontrare papa Francesco. La povera gente delle baraccopoli, confusa
e sperduta in una città dove si incontrano e talvolta si scontrano
mondi diversi, dove ricchi e poveri vivono fianco a fianco, dove
differenze e ingiustizie sono tanto eclatanti quanto scioccanti. Dove
l'ingiustizia e la miseria fanno sì che spesso le vittime diventino i
carnefici, in una spirale di violenza senza fine.
In
Africa non succede niente fino a che le persone non si incontrano
faccia a faccia. La relazione umana e' centrale alla
cultura africana, e
non è difficile immaginare che con Francesco, la sua parola e
gestualità semplice e immediata, sarà amore al primo incontro.
Le
preoccupazioni per la sicurezza sono grandi. Quando venne qui Obama
lo scorso luglio la vita si interruppe, il centro città chiuse per
due giorni. Francesco, lo sappiamo non vuole una sicurezza che lo
tenga lontano dalla gente. Ma l'Africa ha bisogno di sentire la
parola di Francesco che attualizza il Vangelo, che sana le ferite
ormai purulente che infestano quella parte di Africa che visiterà.
I
giovani, in particolare, hanno bisogno di una Chiesa che viva accanto
a loro. Hanno bisogno di essere ascoltati, e, a differenza di molti
giovani occidentali, accettano il dialogo, rispettano le saggezza che
percepiscono in un anziano, accettano perfino di essere consigliati.
Il Kenya, come tutti i Paesi africani, è una nazione giovane, il 50
per cento della popolazione ha meno di 25 anni. I giovani, le giovani
donne in particolare, devono affrontare grandi sfide:
il
lavoro, la casa, la creazione di una famiglia, costruirsi una vita
minimamente dignitosa. Spesso sono lasciati spesso soli. Quando
escono dalle scuole, anche da quelle cattoliche, senza più la
solidità dell'educazione tradizionale, non trovano nella Chiesa una
cura pastorale che possa farli sentire accompagnati. Se la Chiesa non
si fa carico e non si sente coinvolta ne loro futuro, anche la Chiesa
perderà il futuro.
Capire
l'Africa, anche se ci limitiamo all'Africa sub-sahariana, è
difficile. Ogni volta che pensi di averla capita succede qualcosa che
ti costringe a ricominciare. Tante
le aspettative, tante le tematiche che papa Francesco si troverà di
fronte.
C'è
l'Africa della fame e delle malattie e delle guerre civili croniche, della violenza
politica e della soppressione dei diritti civili, della corruzione e del
traffico di persone, delle pesanti interferenze esterne e del
land-grabbing, del terrorismo islamico e dei conflitti etnici.
Insieme c'è l'Africa che cresce. Nei primi dieci anni di questo
secolo nove delle venti economie mondiali che sono cresciute di più
sono africane e la percentuale della popolazione giovanile che accede
alla scuola superiore è aumentata del 50%. Nel solo Kenya ogni anno
le università sfornano cinquantamila laureati, senza contare le
migliaia di giovani che ottengono diplomi e certificazioni nel campo
informatico. E' troppo presto per dire, come qualcuno fa, che questo
sarà il secolo dell'Africa. Escluderlo, però, sarebbe da imprevidenti.
ll
tutto sullo sfondo di una Chiesa che ha bisogno di rinnovamento. La Chiesa cattolica in molti Paesi dell'Africa nera è l'istituzione più
importante dopo il Governo, quella che raggiunge tutti, nei villaggi
più remoti. La rete di servizi sanitari e scolastici è
ineguagliata. Le chiese sono piene di giovani, le celebrazioni piene
di vita, i seminari traboccano.
Ci
sono anche verità scomode. Non dobbiamo illuderci con l'immagine di
una Chiesa giovane ed entusiasta. La Chiesa “famiglia di Dio”
secondo il motto del primo sinodo africano del 1994? I laici, in
particolar modo le donne, sono tenuti in una condizione di infantilismo. La Chiesa povera? Gli scandali per la mala gestione economica di
alcune diocesi sono tenuti a fatica sotto sotto controllo: nel
2009, ad esempio, Roma chiese a quasi la metà dei vescovi della
Repubblica Centrafricana, ultima tappa del viaggio di Francesco, di
dimettersi per condotte economicamente, e non solo, scandalose. La Chiesa giovane? Troppo spesso ci si trincea dietro regole e
formalità.
Ma l'incontro
con Francesco offre anche grande opportunità. Francesco non è mi stato in
questo continente. Certamente ha studiato e condiviso con la Chiesa
africana. Ha lo sguardo fresco di un nuovo compagno di strada.
Finora ha mostrato di voler decentralizzare il governo della Chiesa,
dando più responsabilità ai vescovi locali, come ha fatto con il
recente “motu propro” riguardante le procedure per l'annullamento
di matrimoni. Una sfida per i pastori africani che già sommano in se
responsabilità di vario genere. Quella
africana non è oggi una Chiesa di teologi ed intellettuali.
Nel suo viaggio in America Latina Francesco ha mostrato quanto
apprezzi una Chiesa che si fa popolo, che assume i valori locali. Il
cammino in Africa sarebbe lungo.
Diceva recentemente una teologa africana, la nigeriana Teresa Okure: «il cristianesimo portato in Africa era una versione completamente
europeizzata». Con i primi pastori e teologi africani una cammino
per dare al Vangelo un volto africano è stato avviato, ma poi col
primo Sinodo africano s'è interrotto. E' un cammino che richiede
capacità pastorali e preparazione dottrinale, senza paura degli
errori. Anche in questo campo si potrebbe applicare il principio che
meglio essere Chiesa che cammina per le strade dell'Africa e ogni
tanto sbaglia, piuttosto che una Chiesa chiusa nelle sacrestie.
“Missione” nei discorsi di Francesco è divenuta la cifra interpretativa, il paradigma
dell'attività della Chiesa. Con l'“opzione missionaria”
l'attività della Chiesa da preoccupazione per la sopravvivenza
diventa opera audace e creativa per la trasformazione del mondo
(Evangelii Gaudium 27-33).
La Chiesa che è in Africa, il popolo che cammina sulle piste del
deserto o della savana, nei viottoli sconnessi delle baraccopoli, è
la carne ferita di Cristo che ha bisogno di essere toccata per
sperimentare il perdono e la misericordia del Signore.
Perdono
è una parola che in politica non si usa. Eppure anche se espressa
con parole diverse questo potrebbe essere il concetto chiave per
capire questo viaggio.
Oggi,
alla fine della Messa, Elija si c'è avvicinato e con un filo di voce
mi ha chiesto: “E' vero che il papa può perdonare tutti? Vorrei
incontrasse mia mamma e mio papà cosi che anche loro capiscano di
essere stati perdonati.