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martedì 08 ottobre 2024
 
UNGHERIA
 

«La vera fede spinge incontro ai poveri e fa parlare il linguaggio della carità»

29/04/2023  Papa Francesco incontra chi è in difficoltà e i rifugiati nella chiesa di Santa Elisabetta a Budapest. Le toccanti testimonianze di una sposa bambina, madre di 3 figli, un matrimonio fatto di privazioni, dolori e pregiudizi prima della rinascita, di profughi dall'Ucraina, di persone impegnate nel campo dell'accoglienza e dell'aiuto concreto a chi soffre. «L'indifferenza è una peste», ricorda Bergoglio. I servizi della nostra inviata Annachiara Valle

Budapest, ​dalla nostra inviata

Sono toccanti le testimonianze che poveri e rifugiati portano davanti al Papa. Nella chiesa di Sant’Elisabetta d’Ungheria Brigitta Kanalas ricorda la sua vita da bambina nella povertà più assoluta. Il matrimonio a 17 anni, la nascita del terzo bambino e i debiti che si accumulavano, il marito che si dà all’alcool, lei che stringe la cinghia e si rifugia con i suoi figli, in una casa semidiroccata. Un amico che si offre di tenere in casa la bimba più piccola, la denuncia dei parenti del marito, i servizi sociali che stanno per portarle via i bambini. «All'epoca non sospettavo nemmeno che ci fossero già delle persone che cercavano di aiutarmi», dice Brigitta ricordando il contratto a tempo indeterminato che le fa la Chiesa greco cattolica. Ma non basta. Il rancore resta forte, la rabbia, l’odio, la voglia di vendetta. Finché non si ammala una delle figliolette e «fui rinsavita. Piangevo e chiesi perdono davanti all'immagine della Madonna». La malattia del marito e lei che prega per la guarigione del padre dei suoi figli. Finché anche lui non si sveglia senza convulsioni. «Credo che quello sia stato il momento in cui mi sono finalmente riconciliata e mi sono completamente accoccolata nel palmo della mano di Dio».

E poi Oleg Yakovlev rifugiato con tutta la sua famiglia con cinque figli dall'Ucraina. Cantano. I ragazzi, pregano. Oleg parla della guerra, di quel maggio 2022, quando a Dnipropetrovsk e in altre città esplosero missili per tutta la notte. Oleg ricorda quando aveva prestato servizio come cuoco militare in Ungheria. La decisione di partire, per salvare i ragazzi e l’accoglienza a Budapest distante 1.500 chilometri da casa loro. «Quando siamo arrivati in Ungheria, nel primo periodo ci sono state brave persone a preoccuparsi di fornire una sistemazione per la nostra famiglia e ci hanno dato l'aiuto di cui avevamo bisogno. In seguito siamo stati accolti nel Centro di Integrazione della Caritas Cattolica. Abbiamo ricevuto un aiuto finanziario tangibile sotto forma di voucher, che è stato un salvavita per la mia famiglia nei primi giorni di povertà, e ci ha anche dato incoraggiamento e speranza. Per noi e per i nostri figli, l'Ungheria è stata l'inizio di una nuova vita, di una nuova possibilità. Qui siamo stati accolti e abbiamo trovato una nuova casa». Ringrazia il Papa a nome di tutti gli ucraini «per aver fatto sentire la sua voce per la pace e per essersi schierato a favore delle vittime della guerra, e siamo anche grati per l'affetto dei fedeli cattolici e per le loro preghiere che non solo ci aiutano ma ci rafforzano».

Infine la testimonianza di Zoltßn Kunszab e Anna Pataki Kunszab, l'uno diacono permanente e responsabile di comunità e l'altra fondatrice del Servizio “Uno Solo” (Budapest). «La nostra comunità, la Comunità Cattolica Nuova Gerusalemme», dice Zoltßn, fin dall'inizio è stata in contatto «con i poveri e abbiamo cercato di aiutarli in ogni modo possibile. Ma abbiamo sentito che questo non era sufficiente». Così è nato il servizio Uno solo. «A Budapest ci sono 2.246 persone che vivono in centri di accoglienza (dormitori) per i senzatetto e 436 persone che vivono per strada. Tuttavia, il numero di persone a rischio di diventare senzatetto è molto più alto: tra i nostri ospiti ci sono persone senza famiglia che sono cresciute in istituto, persone con problem psichiatrici, tossicodipendenti, persone uscite di prigione. Ma anche madri e nonne abbandonate che crescono i loro figli da sole, e anche degli anziani. Il nostro centro serve colazione e pranzo per una media di 150 persone al giorno». Sono gli unici, a Budapest, a occuparsi anche di «pagare le medicine prescritte» e ad avaere un programma Tendi la mano a me” per assistenza a lungo termine. «Secondo la nostra esperienza», aggiunge Anna, «il problema principale dei nostri assistiti senzatetto non è l'alloggio, ma l'esaurimento delle loro risorse interiori e la mancanza di relazioni umane di supporto». Ed è per questo che, oltre all’assistenza materiale, l’associazione offre anche la possibilità, non obbligatoria, di pregare insieme e di prepararsi ai sacramenti. «Chiunque sperimenti il proprio valore, anche solo per un momento, alla presenza di Dio, può iniziare una nuova vita con Cristo, recuperando la propria dignità», dice Anna. Quasi la metà del personale dell’associazione è costituito da ex ospiti del centro «che sono diventati veri e propri colleghi. I nostri ministeri non sarebbero stati possibili senza il sostegno delle nostre preghiere quotidiane come coppia e il supporto dei nostri cinque figli, i quali si adoperano insieme a noi».

 

Francesco, dopo averli salutati uno a uno ricorda che «i poveri e i bisognosi sono al cuore del Vangelo», infatti Gesù è venuto, «a portare ai poveri il lieto annuncio». I poveri indicano una sfida:quella di non tenere «la fede prigioniera di un culto distante dalla vita», «preda di una sorta di “egoismo spirituale”, cioè di una spiritualità che mi costruisco a misura della mia tranquillità interiore e della mia soddisfazione». La vera fede, invece, sottolinea il Papa, «è quella che scomoda, che rischia, che fa uscire incontro ai poveri e rende capaci di parlare con la vita il linguaggio della carità». Questa lingua è stata parlata da santa Elisabetta «verso la quale questo popolo nutre grande devozione e affetto. Arrivando stamani, ho visto nella piazza la sua statua, con il basamento che la raffigura mentre riceve il cordone dell’ordine francescano e, contemporaneamente, dona l’acqua per dissetare un povero. È una bella immagine della fede: chi “si lega a Dio”, come fece San Francesco d’Assisi a cui Elisabetta si è ispirata, si apre alla carità verso il povero, perché “se uno dice: ‘Io amo Dio’ e odia suo fratello, è un bugiardo. Chi infatti non ama il proprio fratello che vede, non può amare Dio che non vede”». 

Francesco ricorda che Elisabetta era la figlia di un re, cresciuta nell’agiatezza, ma, trasformata dall’incontro con Cristo, rinunciò alle sue ricchezze e cominciò a prendersi cura dei bisognosi. «Così, non solo spese i suoi averi, ma anche la sua vita a favore degli ultimi, dei lebbrosi, dei malati fino a curarli personalmente e a portarli sulle proprie spalle. Ecco il linguaggio della carità». Francesco ritorna alle testimonianze che ha appena sentito: a quella di Brigitta, che ha subito privazioni e sofferenze, ma che, nel momento più drammatico, ha visto «il Signore che le è venuto incontro per soccorrerla». Ma il Signore non interviene risolvendo dall’alto le situazioni,  invece «si fa vicino con l’abbraccio della sua tenerezza ispirando la compassione di fratelli e sorelle che se ne accorgono e non restano indifferenti. Brigitta ce l’ha detto: ha potuto sperimentare la vicinanza del Signore grazie alla Chiesa greco-cattolica, a tante persone che si sono prodigate per aiutarla, incoraggiarla, trovarle un lavoro e sostenerla nei bisogni materiali e nel cammino della fede. Questa è la testimonianza che ci è richiesta: la compassione verso tutti, specialmente verso coloro che sono segnati dalla povertà, dalla malattia e dal dolore». La Chiesa dunque deve essere capace di parlare il linguaggio della carità «idioma universale che tutti ascoltano e comprendono, anche i più lontani, anche coloro che non credono».

Il Papa ringrazia la Chiesa ungherese per «l’impegno profuso nella carità, un impegno capillare: avete creato una rete che collega tanti operatori pastorali, tanti volontari, le Caritas parrocchiali e diocesane, ma anche gruppi di preghiera, comunità di credenti, organizzazioni appartenenti ad altre Confessioni ma unite in quella comunione ecumenica che sgorga proprio dalla carità. E grazie per come avete accolto – non solo con generosità ma pure con entusiasmo – tanti profughi provenienti dall’Ucraina». Profughi che, come ha testimoniato Oleg, sono in «viaggio verso il futuro», un «futuro lontano dagli orrori della guerra» che è stato anche un viaggio della memoria «perché Oleg ha ricordato la calorosa accoglienza ricevuta in Ungheria anni fa, quando venne a lavorare come cuoco. La memoria di quella esperienza lo ha incoraggiato a partire con la sua famiglia e a venire qui a Budapest, dove ha trovato generosa ospitalità. Il ricordo dell’amore ricevuto riaccende la speranza» che non tutto è perduto.

Bisogna accogliere, non essere indifferenti, anzi, dice il Papa, bisogna «estirpare dalla società, dalle città e dai luoghi in cui viviamo, i mali dell’indifferenza, che è una peste» e far sentire invece le persone a casa. Ma anche in Ungheria, a Budapest, «tante persone, purtroppo, sono letteralmente senza casa: molte sorelle e fratelli segnati dalla fragilità – soli, con vari disagi fisici e mentali, distrutti dal veleno della droga, usciti di prigione o abbandonati perché anziani – sono colpiti da gravi forme di povertà materiale, culturale e spirituale, e non hanno un tetto e una casa da abitare». Ringrazia Zoltàn e sua moglie Anna per aver costruito un centro per accogliere persone senza fissa dimora. Ma anche per aver prestato attenzione, oltre che ai bisogni materiali, anche «alla storia e alla dignità ferita delle persone, prendendovi cura della loro solitudine, della loro fatica di sentirsi amate e benvenute al mondo».. E questa vale per tutta la Chiesa: «Non basta dare il pane che sfama lo stomaco, c’è bisogno di nutrire il cuore delle persone!

La carità non è una semplice assistenza materiale e sociale, ma si preoccupa della persona intera e desidera rimetterla in piedi con l’amore di Gesù: un amore che aiuta a riacquistare bellezza e dignità». Infine il Papa ricorda il miracolo più famoso di Santa Elisabetta: «Si racconta che il Signore una volta trasformò in rose il pane che portava ai bisognosi. È così anche per voi: quando vi impegnate a portare il pane agli affamati, il Signore fa fiorire la gioia e profuma la vostra esistenza con l’amore che donate. Vi auguro di portare sempre il profumo della carità nella Chiesa e nel vostro Paese».

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