Nell'accostamento fotografico, da sinistra: Kirill, Patriarca di Mosca e di tutte le Russie, e papa Francesco.
Finisce a Cuba la guerra fredda tra i cattolici e la Chiesa più importante ed influente dell’ecumene ortodossa. E’un evento storico senza alcun dubbio l’incontro tra il Papa di Roma e il patriarca di Mosca e di tutte le Russie, un viaggio lungo secoli, traguardo finale dallo scisma tra Oriente e Occidente (1054) e dalla nascita del Patriarcato di Mosca, staccatosi da Costantinopoli nel 1589. Il Papa non aveva mai posto condizioni e aveva lasciato che Kirill giocasse fino in fondo la partita dentro l’Ortodossia per un incontro che sicuramente avrà ripercussioni sul piano ecumenico, ma anche politico nell’inquieto scenario panortodosso, che si appresta a celebrare il primo Concilio convocato a Creta, dal 16 al 27 giugno 2016, nel quale le ragioni del dialogo con la Chiesa cattolica non sono proprio nell’agenda di tutte le diverse Chiese.
La mossa di Kirill mette a tacere, invece, i patriarcati più riottosi e quelli che hanno fatto sempre prevalere le chiusure nazionalistiche su quelle del dialogo e l’apertura all’esterno. E si può dire che una grande mano a Kirill lo ha dato l’effetto sorpresa, che ha messo tutti a tacere, tra cui la potente Chiesa greca e la miriade di Chiese dello spazio ex-sovietico. E il merito va soprattutto a Kirill, il patriarca che conosce bene Roma per aver presieduto per anni l’Ufficio dei rapporti internazionali del Patriarcato, una sorta di “Ministero degli esteri” degli ortodossi moscoviti. Kirril ha voluto anche smarcarsi dalla fronda interna e dalle cautele del suo attuale “ministro degli esteri” Hilarion di Volokolamsk. Con una decisione che ha suscitato polemiche a Mosca qualche settimana fa ha rimosso il portavoce per gli affari religiosi, l’arciprete Vsevolod Chaplin, che aveva inneggiato alla “guerra santa” della Russia in Medio Oriente, indebolendo così quella parte del vertice ortodosso più vicino a Putin e ai generali che sono alla ricerca di una soluzione esclusivamente militare della crisi siriana e di quella ucraina, assai lontana dalla prospettive invece di papa Francesco e della diplomazia vaticana. Sono fatti che letti oggi, acquistano un significato più completo.
L’annuncio del vertice a Cuba rafforza anche il profilo internazionale di Kirill e la sua leadership carismatica nell’Ortodossia in vista del Concilio panortodosso di Creta. Le Chiese riluttanti a farsi governare da Bartolomeo I, il Patriarca ecumenico di Costantinopoli, primus inter pares tra gli ortodossi con una sorta di primato d’onore e campione di ecumenismo e dialogo, dovranno ora mettersi in fila dietro a Mosca, ben decisa a governare in prima persona sia gli equilibri interni, sia i rapporti con Roma. Non è un caso che uno dei temi controversi nell’ortodossia, cioè la fissazione di un calendario comune tra gli ortodossi e con i cattolici, in particolare sulla data della Pasqua, sia stato sfilato su pressione di Kirill dall’agenda di Creta per poter essere discusso con molta probabilità a tu per tu con il Papa e per permettere al capo di tutte le Russie di partecipare al pari di Bartolomeo al dialogo ecumenico con Roma. Questa è un’altra ragione dell’incontro perché Kirill aveva fretta di incontrare il Papa e voleva farlo soprattutto prima di Creta.
Kirill è un uomo forte e deciso. Ha condotto la trattativa in prima persona con il cardinale Kurt Koch, capo del dialogo ecumenico della Chiesa cattolica e ha imposto la sua linea al Sinodo della Chiesa russa già due anni fa. La sua capacità di disegnare strategie vincenti è assai nota. E’ in gradi di prevedere scenari, dosare pesi e contrappesi. E’ un pragmatico e lo ha dimostrato in questa occasione. Non si è mai schierato tra i progressisti o i conservatori e ha saputo anche gestisce il delicato rapporto tra la Chiesa ortodossa russa e il nuovo zar di tutte le Russie, Vladimir Putin.