Papa Francesco invita a chiedere perdono per chi chiude le porte ai migranti durante l’udienza generale in piazza san Pietro, che dedica, proseguendo la riflessione sulla famiglia in vista del Sinodo, al lutto in famiglia. Ma sono le parole sui migranti in vista della prossima giornata mondiale del rifugiato a risaltare.
Ha detto il Papa: “Preghiamo per tanti fratelli e sorelle che cercano rifugio lontano dalla loro terra, che cercano una casa dove poter vivere senza timore, perché siano sempre rispettati nella loro dignità. Incoraggio l’opera di quanti portano loro un aiuto e auspico che la comunità internazionale agisca in maniera concorde ed efficace per prevenire le cause delle migrazioni forzate. Invito tutti a chiedere perdono per le persone e le istituzioni che chiudono le porte a questa gente che cerca una famiglia, che vuole essere custodita”. E queste parole sono suonate come un riferimento diretto alla situazione a Ventimiglia.
Ha anche ricordato la pubblicazione della sua enciclica domani e ha inviato tutti ad accoglierla “con animo aperto”. Nel corso della catechesi ha parlato della morte: “E’un’esperienza che riguarda tutte le famiglie, senza eccezione alcuna. Fa parte della vita; eppure, quando tocca gli affetti familiari, la morte non riesce mai ad apparirci naturale. Per i genitori, sopravvivere ai propri figli è qualcosa di particolarmente straziante, che contraddice la natura elementare dei rapporti che danno senso alla famiglia stessa. La perdita di un figlio o di una figlia è come se fermasse il tempo: si apre una voragine che inghiotte il passato e anche il futuro. È uno schiaffo alle promesse, ai doni e sacrifici d’amore gioiosamente consegnati alla vita che abbiamo fatto nascere. Tante volte vengono a messa a Santa Marta genitori con la foto di un figlio, di una figlia, bambino, ragazzo, ragazza, e mi dicono: “Se n’è andata”. E lo sguardo è tanto addolorato. La morte tocca e quando è un figlio tocca profondamente”.
Poi ha aggiunto che una situazione simile “patisce anche il bambino che rimane solo, per la perdita di un genitore, o di entrambi”. Si può dare perfino “la colpa a Dio” ha sottolineato Bergoglio: “Quanta gente, io capisco, si arrabbia con Dio, bestemmia…. Questa rabbia è un po’ quello che viene dal cuore del dolore grande, la perdita di un figlio, di una figlia, di un papà, di una mamma è un grande dolore, questo accade continuamente nelle famiglie”.
Ha spiegato che la “morte fisica” ha dei “complici” che “sono anche peggiori di lei, e che si chiamano odio, invidia, superbia, avarizia” e la rendono “ancora più dolorosa e ingiusta” perché gli “affetti familiari appaiono come le vittime predestinate e inermi di queste potenze ausiliarie della morte”. Ha citato come esempio la assurda “normalità” degli “eventi che aggiungono orrore alla morte sono provocati dall’odio e dall’indifferenza di altri esseri umani”.
Eppure ha assicurato “la morte non ha l’ultima parola” e tutte le volte che “la famiglia nel lutto, anche terribile, trova la forza di custodire la fede e l’amore che uniscono a coloro che amiamo, essa impedisce già ora alla morte di prendersi tutto”. La fede infatti protegge dalla “visione nichilista della morte” e dalle “false consolazioni del mondo”. Poi ha ripetuto una cosa che ha già detto altre volte e cioè quella di non negare “il diritto al pianto”. “Dobbiamo piangere nel lutto”.