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domenica 23 marzo 2025
 
udienza generale
 

Il Papa: «La calunnia è un cancro diabolico che distrugge l'altro»

25/09/2019  Nella consueta catechesi Francesco ricorda come anche nelle prime comunità ci fossero mormorazioni, ma, oggi come allora, le divisioni e il chiacchiericcio distruggono le persone e la collettività. E poi indica Stefano, il primo martire, come esempio da seguire sottolineando che "oggi i martiri sono più numerosi di ieri"

L’operazione più meschina per fermare un altro è screditarlo, usare la calunnia. Papa Francesco, nella catechesi del mercoledì dedicata agli Atti degli apostoli, parla del martirio di Santo Stefano e ricorda che la calunnia è un «cancro diabolico». Bergoglio chiede di continuare a seguire «il viaggio del Vangelo nel mondo. San Luca, con grande realismo, mostra sia la fecondità di questo viaggio sia l’insorgere di alcuni problemi in seno alla comunità cristiana. Fin dall’inizio di sono stati sempre problemi. Come armonizzare le differenze che coabitano al suo interno senza che accadano contrasti e spaccature? ». Il Papa parla della comunità che accoglieva, oltre ai giudei, anche «i greci, cioè persone provenienti dalla diaspora, non ebrei, con cultura e sensibilità proprie e con un’altra religione. Noi, oggi, diciamo “pagani”. E questi erano accolti. Questa compresenza determina equilibri fragili e precari; e dinanzi alle difficoltà spunta la “zizzania”, e quale è la peggiore zizzania che distrugge una comunità? La zizzania della mormorazione, la zizzania del chiacchiericcio: i greci mormorano per la disattenzione della comunità nei confronti delle loro vedove» Gli apostoli allora «avviano un processo di discernimento che consiste nel considerare bene le difficoltà e cercare insieme delle soluzioni. Trovano una via di uscita nel suddividere i vari compiti per una serena crescita dell’intero corpo ecclesiale e per evitare di trascurare sia la “corsa” del Vangelo sia la cura dei membri più poveri». Così istituiscono il diaconato scegliendo sette uomini per il servizio della carità. «Il diacono», spiega il Papa, «nella Chiesa non è un sacerdote in seconda, è un’altra cosa; non è per l’altare, ma per il servizio. È il custode del servizio nella Chiesa. Quando a un diacono piace troppo di andare all’altare, sbaglia. Questa non è la sua strada. Questa armonia tra servizio alla Parola e servizio alla carità rappresenta il lievito che fa crescere il corpo ecclesiale». E tra i sette si distinguono soprattutto Stefano e Filippo. «Stefano evangelizza con forza e parresia, ma la sua parola incontra le resistenze più ostinate. Non trovando altro modo per farlo desistere, cosa fanno i suoi avversari? Scelgono la soluzione più meschina per annientare un essere umano: cioè, la calunnia o falsa testimonianza. E noi sappiamo che la calunnia uccide sempre. Questo “cancro diabolico”, che nasce dalla volontà di distruggere la reputazione di una persona, aggredisce anche il resto del corpo ecclesiale e lo danneggia gravemente quando, per meschini interessi o per coprire le proprie inadempienze, ci si coalizza per infangare qualcuno». Per difendersi, condotto davanti al sinedrio, Stefano «proclama una rilettura della storia sacra centrata in Cristo, per difendersi. E la Pasqua di Gesù morto e risorto è la chiave di tutta la storia dell’alleanza. Dinanzi a questa sovrabbondanza del dono divino, Stefano coraggiosamente denuncia l’ipocrisia con cui sono stati trattati i profeti e Cristo stesso. E ricorda loro la storia dicendo: “Quale dei profeti i vostri padri non hanno perseguitato? Essi uccisero quelli che preannunciavano la venuta del Giusto, del quale voi ora siete diventati traditori e uccisori”». Stefano «parla chiaro, dice la verità. Questo provoca la reazione violenta degli uditori, e Stefano viene condannato a morte, condannato alla lapidazione. Egli però manifesta la vera “stoffa” del discepolo di Cristo. Non cerca scappatoie, non si appella a personalità che possano salvarlo ma rimette la sua vita nelle mani del Signore e la preghiera di Stefano è bellissima, in quel momento: “Signore Gesù, accogli il mio spirito” – e muore da figlio di Dio perdonando: “Signore, non imputare loro questo peccato”». Questo, dice Francesco ci insegna che «non sono i bei discorsi a rivelare la nostra identità di figli di Dio, ma solo l’abbandono della propria vita nelle mani del Padre e il perdono per chi ci offende ci fanno vedere la qualità della nostra fede.

Oggi ci sono più martiri che all’inizio della vita della Chiesa, e i martiri sono dappertutto. La Chiesa di oggi è ricca di martiri, è irrigata dal loro sangue che è “seme di nuovi cristiani” e assicura crescita e fecondità al Popolo di Dio. I martiri non sono “santini”, ma uomini e donne in carne e ossa che – come dice l’Apocalisse – “hanno lavato le loro vesti, rendendole candide nel sangue dell’Agnello”. Essi sono i veri vincitori».

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