Digiuno e preghiera per l’Ucraina. Il mercoledì delle ceneri è l’occasione per «implorare» da Dio la pace, come ha più volte ricordato papa Francesco. La processione penitenziale dalla chiesa di Sant’Anselmo all’Aventino, dove si è cominciato con un momento di preghiera, ha raggiunto poi la Basilica di Santa Sabina. Il cardinale Pietro Parolin, segretario di Stato, presiede la messa e legge l’omelia che il Pontefice aveva preparato per l’occasione.
«Se la preghiera, la carità e il digiuno devono maturare nel segreto», legge il cardinale, «non sono segreti i loro effetti. Preghiera, carità e digiuno non sono medicine solo per noi, ma per tutti: possono infatti cambiare la storia. Prima di tutto perché chi ne prova gli effetti, quasi senza accorgersene, li trasmette anche agli altri; e soprattutto perché la preghiera, la carità e il digiuno sono le vie principali che permettono a Dio di intervenire nella vita nostra e del mondo. Sono le armi dello spirito, ed è con esse che, in questa giornata di preghiera e di digiuno per l’Ucraina, imploriamo da Dio quella pace che gli uomini da soli non riescono a costruire».
Commentando il Vangelo di Matteo nel giorno che apre il tempo di Quaresima, e in particolare il versetto «state attenti a non praticare la vostra giustizia davanti agli uomini per essere ammirati da loro, altrimenti non c’è ricompensa per voi presso il Padre vostro che è nei cieli», il Papa si sofferma sulla parola ricompensa.
Nel testo Francesco ricorda che di solito, nel mercoledì delle ceneri, si pone l’accento su quanto noi dobbiamo fare per far procedere il nostro cammino di fede e non sul premio che ci aspetta e che è anche la molla del nostro agire. Ma vanno distinti due tipi di ricompensa: quella presso il Padre e quella presso gli uomini. La prima rappresenta quella definitiva, eterna, lo scopo del vivere. L’altra invece è «transitoria, è un abbaglio a cui tendiamo quando l’ammirazione degli uomini e il successo mondano sono per noi la cosa più importante, la maggiore gratificazione». Si tratta di un abbaglio che ci lascia a mani vuote, che ci seduce e ci delude. Chi cerca la ricompensa mondana, legge il cardinale, «non trova mai pace e nemmeno sa promuovere la pace. Perché perde di vista il Padre e i fratelli. È un rischio che corriamo tutti».
Il rito delle ceneri cerca di aprirci gli occhi di fronte a questo abbaglio che vuol farci «anteporre la ricompensa presso gli uomini alla ricompensa presso il Padre. Questo segno austero, che ci porta a riflettere sulla caducità della nostra condizione umana, è come una medicina dal sapore amaro ma efficace per curare la malattia dell’apparenza». Una malattia, una schiavitù da cui nessuno può dirsi immune e che «insidia anche gli ambiti più sacri. È su questo che Gesù insiste oggi: anche la preghiera, la carità e il digiuno possono diventare autoreferenziali. In ogni gesto, anche nel più bello, può nascondersi il tarlo dell’autocompiacimento. Allora il cuore non è completamente libero, perché non cerca l’amore per il Padre e per i fratelli, ma l’approvazione umana, l’applauso della gente, la propria gloria. E tutto può diventare una sorta di finzione nei confronti di Dio, di sé stessi e degli altri. Per questo la Parola di Dio ci invita a guardarci dentro, per vedere le nostre ipocrisie».
Il rito delle ceneri ci fa riflettere sull’affannosa «ricerca delle ricompense mondane», ci ricorda che «la mondanità è come polvere, che viene portata via da un po’ di vento». La Quaresima invece può diventare un tempo per «essere curati interiormente e per camminare verso la Pasqua, verso ciò che non passa, verso la ricompensa presso il Padre. È un cammino di guarigione». Non si cambia d aun giorno all’altro, ma possiamo riprendere a vivere con uno spirito nuovo. «A questo servono la preghiera, la carità e il digiuno: purificati dalle ceneri quaresimali, purificati dall’ipocrisia dell’apparenza, ritrovano tutta la loro forza e rigenerano un rapporto vivo con Dio, con i fratelli e con sé stessi».
Una preghiera che va fatta nel segreto, nel nascondimento della propria camera, un «dialogo caldo di affetto e di fiducia, che consola e apre il cuore. Soprattutto in questo tempo di Quaresima, preghiamo guardando il Crocifisso: lasciamoci invadere dalla commovente tenerezza di Dio e mettiamo nelle sue ferite quelle nostre e del mondo. Non lasciamoci prendere dalla fretta, stiamo in silenzio davanti a Lui. Riscopriamo l’essenzialità feconda del dialogo intimo con il Signore. Perché Dio non gradisce le cose appariscenti; ama invece lasciarsi trovare nel segreto. È “la segretezza dell’amore”, lontana da ogni ostentazione e da toni eclatanti».
E se la preghiera è vera non può che tradursi in carità. Una carità che ci libera dalla schiavitù di noi stessi per tornare all’essenziale, per compiere atti di carità fuori dai riflettori, per digiunare non per una dieta, ma anzi per liberarci dall’autoreferenzialità «della ricerca ossessiva del benessere fisico, per aiutarci a tenere in forma non il corpo, ma lo spirito. Il digiuno ci riporta a dare il giusto valore alle cose. In modo concreto, ci ricorda che la vita non va sottomessa alla scena passeggera di questo mondo. E il digiuno non va ristretto solo al cibo: specialmente in Quaresima si deve digiunare da ciò che ci dà una certa dipendenza. Ognuno ci pensi, per fare un digiuno che incida veramente nella sua vita concreta».
E infine, ricordando il dramma dell’Ucraina il Papa si rivolge direttamente al Signore, che vede nel segreto perché ascolti la «preghiera di quanti confidano in Te, soprattutto dei più umili, dei più provati, di coloro che soffrono e fuggono sotto il frastuono delle armi. Rimetti nei cuori la pace, ridona ai nostri giorni la tua pace».