Il pensiero del Papa all’udienza generale, ancora una volta, va all’Ucraina «che sta soffrendo tanto, quel povero popolo così crudelmente provato. Stamattina ho potuto parlare con il cardinale Krajewski, al rientro dall'Ucraina, e mi ha raccontato cose terribili».
Il Pontefice in piazza San Pietro ha proseguito il ciclo di catechesi dedicate al discernimento. «La vita», ha detto, «non è sempre logica, presenta molti aspetti che non si lasciano racchiudere in una sola categoria di pensiero. Vorremmo sapere con precisione cosa andrebbe fatto, eppure, anche quando capita, non per questo agiamo sempre di conseguenza. Non siamo solo ragione, non siamo macchine, non basta ricevere delle istruzioni per eseguirle: gli ostacoli, come gli aiuti, a decidersi per il Signore sono soprattutto affettivi».
Bergoglio si è soffermato sulla preghiera: «Essa è familiarità e confidenza con Dio, non è recitare la preghiera come un pappagallo, bla bla bla», ha detto, «quando io ho una preghiera, incontro il Signore, divento gioioso, questo è bello» e «invece la tristezza, o la paura, sono invece segni di lontananza da Lui. Stare in preghiera - ha proseguito papa Francesco - non significa dire parole, parole, significa aprire il cuore, avvicinarsi a Gesù». Il Pontefice ha raccontato: «Ho conosciuto un vecchio fratello religioso che era il portiere di un collegio e lui, ogni volta che poteva, si avvicinava alla cappella, guardava all'altare e diceva “ciao”. Diciamo la preghiera del “ciao”, la preghiera dell'affetto e della vicinanza».
Il discernimento, ha spiegato, «non pretende una certezza assoluta», perché riguarda la vita: «Vorremmo sapere con precisione cosa andrebbe fatto, eppure, anche quando capita, non per questo agiamo sempre di conseguenza. Quante volte abbiamo fatto anche noi l’esperienza descritta dall’apostolo Paolo: “Io non compio il bene che voglio, ma il male che non voglio”».
Quando incontriamo il Signore diventiamo gioiosi
Infatti, ha proseguito Francesco, noi uomini «non siamo solo ragione, non siamo macchine, non basta ricevere delle istruzioni per eseguirle: gli ostacoli, come gli aiuti, a decidersi per il Signore sono soprattutto affettivi». E ricorda che il primo miracolo di Gesù è un esorcismo: «Nella sinagoga di Cafarnao, racconta Marco nel suo Vangelo, libera un uomo dal demonio, “liberandolo dalla falsa immagine di Dio che Satana suggerisce fin dalle origini: quella di un Dio che non vuole la nostra felicità. L’indemoniato sa che Gesù è Dio, ma questo non lo porta a credere in Lui. Dice infatti: “Sei venuto a rovinarmi”. Molti, anche cristiani, la pensano così: «che cioè Gesù possa anche essere il Figlio di Dio, ma dubitano che voglia la nostra felicità”. Anzi, spiega il Papa, «alcuni temono che prendere sul serio la sua proposta significhi rovinarsi la vita, mortificare i nostri desideri, le nostre aspirazioni più forti. Questi pensieri», ha aggiunto, «fanno talvolta capolino dentro di noi: che Dio ci chieda troppo. Che non ci voglia davvero bene. Invece, nel nostro primo incontro abbiamo visto che il segno dell’incontro con il Signore è la gioia. Quando io incontro il Signore divento gioioso. La tristezza, o la paura, sono invece segni di lontananza da Lui».
Discernere cosa succede dentro di noi, ha ammesso il Papa, «non è facile, perché le apparenze ingannano, ma la familiarità con Dio può sciogliere in modo soave dubbi e timori, rendendo la nostra vita sempre più ricettiva alla sua “luce gentile”, secondo la bella espressione di San John Henry Newman». I santi, sottolinea, «mostrano nei semplici gesti della loro giornata la presenza amorevole di Dio, che rende possibile l’impossibile». Si dice, ricorda, «che due sposi che hanno vissuto insieme tanto tempo volendosi bene finiscono per assomigliarsi. Qualcosa di simile», ha proseguito, «si può dire della preghiera affettiva: in modo graduale ma efficace ci rende sempre più capaci di riconoscere ciò che conta per connaturalità, come qualcosa che sgorga dal profondo del nostro essere. Stare in preghiera non significa dire parole, parole, no: stare in preghiera, aprire il cuore a Gesù, avvicinarsi a Gesù, lasciare che Gesù entri nel mio cuore e ci faccia sentire la sua presenza». Solo in questo modo possiamo discernere «quando è Gesù e quando siamo noi con i nostri pensieri, tante volte lontani da quello che vuole Gesù».
Chiediamo questa grazia, ha concluso il Papa citando sant’Ignazio di Loyola, «di vivere una relazione di amicizia con il Signore, come un amico parla all’amico». Amici di Gesù come il vecchio fratello religioso del Pontefice, «che era il portiere di un collegio e lui ogni volta che poteva si avvicinava alla cappella, guardava l’altare, diceva: ‘Ciao’, perché aveva vicinanza con Gesù. Lui», ha aggiunto, «non aveva bisogno di dire bla bla bla, no: “ciao, ti sono vicino e tu mi sei vicino”. Questo è il rapporto che dobbiamo avere nella preghiera: vicinanza, vicinanza affettiva, come fratelli, vicinanza con Gesù. Un sorriso, un semplice gesto e non recitare parole che non arrivano al cuore».
Al termine dell’udienza, il Papa ha ricordato che «fra qualche giorno inizia il mese di ottobre, tradizionalmente dedicato alla Madonna del Rosario. Recitando questa preghiera nelle comunità e nelle famiglie affidate a Maria», ha detto, «le vostre preoccupazioni e i bisogni del mondo, soprattutto la questione della pace».