Nel più grande ghetto rom dell’Europa dell’Est, il Lunik IX, papa Francesco viene a dire che non ci devono essere barriere, né pregiudizi. Che i «preconcetti, gli stereotipi discriminatori, le parole e i gesti diffamatori» di cui i rom sono spesso fatto oggetto impoveriscono l’intera umanità. In questo quartiere che lo stesso comune di Kosice decise di emarginare trent’anni fa, deportandovi tutti i rom che abitavano nelle case diroccate del centro storico e quelli che erano scappati dal socialismo di Stato rintanandosi nei boschi attorno alla città, la vita è fatta di palazzoni popolari ormai fatiscenti e di immondizia. Chi può, grazie anche all’aiuto dei salesiani che qui lavorano da dopo il 1989, va via, come hanno fatto Nikola e René, che hanno studiato e comprato casa altrove e ora vivono «una vita più felice, più degna e più pacifica» altrove. Il Papa li saluta e ricorda, con la testimonianza di Ján, le parole di Paolo VI: «Voi nella Chiesa non siete ai margini… Voi siete nel cuore della Chiesa». Ai settemila che vivono nel ghetto, molti affacciati dalle finestre, altri nel prato di fronte al palco allestinto, il Pontefice ribadisce che «nessuno nella Chiesa deve sentirsi fuori posto o messo da parte. Non è solo un modo di dire, è il modo di essere della Chiesa. Perché essere Chiesa è vivere da convocati di Dio, è sentirsi titolari nella vita, far parte della stessa squadra». Dio ci desidera uniti attorno a Lui, «il Signore ci vede insieme» e nessuno può «tenere fuori voi o qualcun altro dalla Chiesa!», esclama Francesco. Perché «la Chiesa è casa, è casa vostra. Perciò – vorrei dirvi con il cuore – siete benvenuti, sentitevi sempre di casa nella Chiesa e non abbiate mai paura di abitarci».
Il Papa parla delle ferite del passato, della difficoltà di superare «i pregiudizi, anche tra i cristiani. Non è semplice apprezzare gli altri, spesso si vedono in essi degli ostacoli o degli avversari e si esprimono giudizi senza conoscere i loro volti e le loro storie». Ma è il Vangelo a imporci di «non giudicare». Un Vangelo che non va «annacquato». E, invece, tante volte «non solo parliamo senza elementi o per sentito dire, ma ci riteniamo nel giusto quando siamo giudici rigorosi degli altri. Indulgenti con noi stessi, inflessibili con gli altri». Aggettiviamo le persone, riduciamo l’altro ai nostri modelli preconfezionati, schematizziamo le persone. Ma per conoscerle, è il monito del Papa, «bisogna riconoscerle: riconoscere che ciascuno porta in sé la bellezza insopprimibile di figlio di Dio, in cui il Creatore si rispecchia».
Occorre passare dal pregiudizio al dialogo «dalle chiusure all’integrazione» Lo si può fare grazie a un lavoro pastorale paziente che faccia sentire amati e supportati. «Ghettizzare le persone non risolve nulla», dice Francesco. Anzi, «quando si alimenta la chiusura prima o poi divampa la rabbia. La via per una convivenza pacifica è l’integrazione. È un processo organico, lento e vitale, che inizia con la conoscenza reciproca, va avanti con pazienza e guarda al futuro». Pensa ai bambini che qui giocano nell’immondizia, quando ribadisce che i più piccoli hanno diritto di «crescere insieme agli altri, senza ostacoli e preclusioni. Meritano una vita integrata e libera. Sono loro a motivare scelte lungimiranti, che non ricercano il consenso immediato, ma guardano all’avvenire di tutti. Per i figli vanno fatte scelte coraggiose: per la loro dignità, per la loro educazione, perché crescano ben radicati nelle loro origini ma al tempo stesso senza vedere preclusa ogni possibilità». Incoraggia i rom «ad andare oltre le paure, oltre le ferite del passato, con fiducia, passo dopo passo: nel lavoro onesto, nella dignità di guadagnare il pane quotidiano, nell’alimentare la fiducia reciproca. E nella preghiera gli uni per gli altri».
E ringrazia chi si impegna in questo lavoro di integrazione, «che, oltre a comportare non poche fatiche», a volte riceve anche «incomprensione e ingratitudine, magari persino nella Chiesa». Ai sacerdoti, ai religiosi, ai laici che dedicano il loro tempo «per offrire uno sviluppo integrale» ai fratelli e alle sorelle che sono ai margini «penso anche ai rifugiati e ai detenuti», Francesco dice più volte «grazie!». E li incoraggia a continuare ad andare «avanti su questa strada, che non illude di poter dare tutto e subito, ma è profetica, perché include gli ultimi, costruisce la fraternità, semina la pace. Non abbiate paura di uscire incontro a chi è emarginato. Vi accorgerete di uscire incontro a Gesù. Egli vi attende là dove c’è fragilità, non comodità; dove c’è servizio, non potere; dove c’è da incarnarsi, non da compiacersi».