«L’esempio del presidente», titola in prima pagina l’Osservatore Romano uscito nel pomeriggio di venerdì a Roma. C’è una grande foto con il volto sorridente di Nelson Mandela che quasi si affaccia a sinistra nella pagina del quotidiano della Santa Sede. Accanto il testo del telegramma di papa Francesco, triste per la morte di Mandela, con l’omaggio al suo impegno per la riconciliazione.
Il telegramma è stato inviato al presidente del Sudafrica, Jacob Zuma. Bergoglio scrive di aver appreso “con tristezza” della morte di Mandela, di cui sottolinea il “fermo impegno nel promuovere la dignità umana di tutti i cittadini della nazione e nel forgiare un nuovo Sud Africa costruito sulle solide fondamenta della non violenza, della riconciliazione e della verità”.
Il Papa aggiunge poi la preghiera perché l’esempio di Mandela “ispiri generazioni di sudafricani a porre la giustizia e il bene comune in prima linea nelle loro aspirazioni politiche”. L’Osservatore Romano dedica due pagine alla figura dell’ex-presidente sudafricano richiamate in prima pagina sotto il titolo “La lezione di Madiba”.
Scrive Pierluigi Natalia, africanista del quotidiano vaticano: “Ci sono persone che già in vita hanno meritato di essere riconosciuti come pilastri della storia mondiale sul piano della statura morale e dell’impegno in favore degli altri. È stato così per Madiba, il nome tribale affettuoso con il quale il suo popolo chiamava Mandela, che ha speso la sua esistenza prima nella lotta contro l’apartheid e per la libertà per il suo popolo e poi nello sforzo di costruire pace e riconciliazione, senza piegarsi mai alle ingiustizie né alla sofferenza privata che pure non lo ha risparmiato. Ma la sua non è stata una vicenda solo personale e neppure solo nazionale. Le decisioni giunte da tutto il mondo, a partire dal presidente statunitense Barack Obama e dall’Unione europea, di mettere bandiere a mezz’asta è espressione significativa di un lutto universale”.
In un altro articolo Gaetano Vallini ripercorre la storia della fase finale del campionato di rugby del 1995, che fu occasione per Mandela di spalmare nella coscienza di tutti i sudafricani la passione per la condivisione della nazione, insieme bianchi e neri, e di riconciliazione attraverso lo sport. Scrive Vallini: “Mandela riesce nell’impresa di far convergere il tifo sulla squadra degli Springboks, giunta inaspettatamente in finale, sostenuta fino ad allora solo dagli afrikaaners e odiata dai nativi, i cui colori verde e oro erano diventati il simbolo della segregazione. Intelligente e realista, Mandela mostra coraggio ma anche lungimiranza. Sorprendendo i suoi più stretti collaboratori, che lo consigliano di non occuparsi di quella squadra cara solo ai bianchi, procede per la sua strada, anche se ciò sembra contraddire la sua storia e quella dei suoi fratelli neri”.
Il Sudafrica vince la partita e Mandela la sfida del futuro.