«È capitato anche a me di essere oggetto” di “fake news” o “deep fake”, cioè della creazione e diffusione di notizie, suoni o immagini che sembrano perfettamente verosimili ma sono false».
Ad ammetterlo è papa Francesco, nel Messaggio per la Giornata mondiale delle comunicazioni sociali, che si celebra il 12 maggio prossimo, dedicato all’intelligenza artificiale (AI), tema sul quale il Pontefice ha già riflettuto nel Messaggio per la Giornata mondiale della pace del 1° gennaio scorso.
È l'uomo a decidere come usare e sviluppare l'intelligenza artificiale: «La risposta non è scritta, dipende da noi. Spetta all'uomo decidere se diventare cibo per gli algoritmi oppure nutrire di libertà il proprio cuore, senza il quale non si cresce nella sapienza», avverte il Papa. Occorre decidere se l'intelligenza artificiale dovrà «costruire nuove caste basate sul dominio informativo, generando nuove forme di sfruttamento e di diseguaglianza; oppure se, al contrario, porterà più eguaglianza, promuovendo una corretta informazione e una maggiore consapevolezza del passaggio di epoca che stiamo attraversando, favorendo l'ascolto dei molteplici bisogni delle persone e dei popoli, in un sistema di informazione articolato e pluralista. Da una parte si profila lo spettro di una nuova schiavitù, dall'altra una conquista di libertà; da una parte la possibilità che pochi condizionino il pensiero di tutti, dall'altra quella che tutti partecipino all'elaborazione del pensiero».
I sistemi dell’AI, scrive ancora il Pontefice, «possono contribuire al processo di liberazione dall’ignoranza e facilitare lo scambio di informazioni tra popoli e generazioni diverse» ma al tempo stesso essere «strumenti di inquinamento cognitivo, di alterazione della realtà tramite narrazioni parzialmente o totalmente false eppure credute – e condivise – come se fossero vere. La simulazione, che è alla base di questi programmi, può essere utile in alcuni campi specifici, ma diventa perversa là dove distorce il rapporto con gli altri e la realtà. Come ogni altra cosa uscita dalla mente e dalle mani dell’uomo, anche gli algoritmi non sono neutri», avverte Bergoglio stigmatizzando «i rischi e le patologie» della prima ondata di intelligenza artificiale, quella dei social media: «Il secondo livello di intelligenze artificiali generative segna un indiscutibile salto qualitativo. È importante quindi avere la possibilità di comprendere, capire e regolamentare strumenti che nelle mani sbagliate potrebbero aprire scenari negativi».
Per questo «è necessario agire preventivamente, proponendo modelli di regolamentazione etica per arginare i risvolti dannosi e discriminatori, socialmente ingiusti, dei sistemi di intelligenza artificiale e per contrastare il loro utilizzo nella riduzione del pluralismo, nella polarizzazione dell’opinione pubblica o nella costruzione di un pensiero unico». Di qui il rinnovo dell’appello, rivolto alla comunità delle nazioni e già avanzato nel Messaggio per la Giornata mondiale della pace di quest’anno, «a lavorare unita al fine di adottare un trattato internazionale vincolante, che regoli lo sviluppo e l’uso dell’intelligenza artificiale nelle sue molteplici forme».
Francesco firma il Messaggio il 24 gennaio, festa di San Francesco di Sales, patrono dei giornalisti, e passa in rassegna diversi temi: fake news e deep fake, echo chambers, machine learning, social media.
Analizza il ruolo del giornalista, in particolare nei teatri di guerra, a cui è affidato il delicato compito di raccontare i conflitti e fare i conti con quella “guerra parallela” che si affianca alle armi sul campo tramite campagne di disinformazione. «Quanti reporter sono feriti o muoiono sul campo per permetterci di vedere quello che i loro occhi hanno visto», scrive Francesco, «solo toccando con mano la sofferenza dei bambini, delle donne e degli uomini, si può comprendere l’assurdità delle guerre». E ricorda: «L’uso dell’intelligenza artificiale potrà contribuire positivamente nel campo della comunicazione, se non annullerà il ruolo del giornalismo sul campo, ma al contrario lo affiancherà; se valorizzerà le professionalità della comunicazione, responsabilizzando ogni comunicatore; se restituirà ad ogni essere umano il ruolo di soggetto, con capacità critica, della comunicazione stessa».
Il Papa non ha un atteggiamento catastrofista ma di prudenza di fronte all’accelerazione della diffusione di «meravigliose invenzioni», come le chiama, che suscita «uno stupore che oscilla tra entusiasmo e disorientamento». Per questo invita a domandarsi: «Come possiamo rimanere pienamente umani e orientare verso il bene il cambiamento culturale in atto?».
Intanto, «conviene sgombrare il terreno dalle letture catastrofiche e dai loro effetti paralizzanti»; quindi, come affermava Romano Guardini, «non irrigidirsi contro il ‘nuovo’ nel tentativo di conservare un bel mondo condannato a sparire». Al tempo stesso, però, bisogna rimanere “sensibili” a tutto ciò che è “distruttivo” e “non umano”. Bisogna, cioè, ripartire dal cuore «in quest’epoca che rischia di essere ricca di tecnica e povera di umanità».
Serve sapienza, afferma ancora Francesco, e non possiamo pretenderla dalle macchine: «Non si tratta di esigere dalle macchine che sembrino umane. Si tratta piuttosto di svegliare l’uomo dall’ipnosi in cui cade per il suo delirio di onnipotenza, credendosi soggetto totalmente autonomo e autoreferenziale, separato da ogni legame sociale e dimentico della sua creaturalità».
Il Papa pone diverse questioni e si chiede: «Come tutelare la professionalità e la dignità dei lavoratori nel campo della comunicazione e della informazione, insieme a quella degli utenti in tutto il mondo? Come garantire l’interoperabilità delle piattaforme? Come far sì che le aziende che sviluppano piattaforme digitali si assumano le proprie responsabilità rispetto a ciò che diffondono e da cui traggono profitto, analogamente a quanto avviene per gli editori dei media tradizionali? Come rendere più trasparenti i criteri alla base degli algoritmi di indicizzazione e de-indicizzazione e dei motori di ricerca, capaci di esaltare o cancellare persone e opinioni, storie e culture?». E ancora: «Come garantire la trasparenza dei processi informativi? Come rendere evidente la paternità degli scritti e tracciabili le fonti, impedendo il paravento dell’anonimato? Come rendere manifesto se un’immagine o un video ritraggono un evento o lo simulano? Come evitare che le fonti si riducano a una sola, a un pensiero unico elaborato algoritmicamente? E come invece promuovere un ambiente adatto a preservare il pluralismo e a rappresentare la complessità della realtà? Come possiamo rendere sostenibile questo strumento potente, costoso ed estremamente energivoro? Come possiamo renderlo accessibile anche ai paesi in via di sviluppo?». Dalle risposte a questi interrogativi, conclude, «capiremo se l’intelligenza artificiale finirà per costruire nuove caste basate sul dominio informativo, generando nuove forme di sfruttamento e di diseguaglianza» oppure se «porterà più eguaglianza», promuovendo una corretta informazione e una maggiore consapevolezza del passaggio di epoca.