Campobasso,
dal nostro inviato
L’ultima volta Karol Wojtyla
aveva tuonato: «Non arrendetevi,
non rinunciate a
progettare il futuro». Era il
19 marzo 1995 e Giovanni
Paolo II lasciava una consegna
che oggi il Molise misura
alla vigilia del viaggio
di papa Francesco.
Dopo la Valle d’Aosta
è la regione più piccola d’Italia, meno
di 350 mila abitanti, poco più dell’1 per
cento di tutto il territorio nazionale, nessuna
pianura, solo colli e montagne, borghi
appesi all’interno e la costa breve e
scintillante sull’Adriatico. Don Franco
D’Onofrio, direttore della Caritas di
Campobasso, dice: «Wojtyla nessuno lo
ha ascoltato. La politica non ha fatto
nulla, anzi ha fatto danni. I problemi sono
aumentati e i soldi diminuiti».
Papa Bergoglio il 5 luglio atterra in
una delle periferie d’Italia, dove la povertà
negli ultimi tre anni ha visto la
curva impennarsi e dove la gente sconta
la tragedia di politiche locali di corto
respiro. Don Franco è icastico ed efficace
nella sua analisi: «Eravamo zona di
caccia del re di Napoli e tali siamo rimasti
». I numeri fanno spavento e a contrastarli
sul campo c’è solo la Chiesa. L’indice
di vecchiaia è il più alto d’Italia, il
saldo demografico naturalmente è negativo,
lo spopolamento alle stelle e i
terreni agricoli sono abbandonati.
La crisi ha colpito come un maglio
una condizione già precaria e la politica
ha fatto il resto con scelte scellerate. Così
ai Comuni i capitoli di spesa per gli
interventi e i servizi sociali sono stati ridotti
di due volte e mezzo di più della media nazionale e il denaro specificamente
destinato al contrasto della povertà
è oggi di tre punti e mezzo sotto
la media nazionale. I senza tetto e senza
cibo si vedono a Campobasso, il capoluogo
della regione, ma anche nei paesi
sulle colline dove, spesso, nemmeno
l’aiuto di parenti e vicini oggi riesce più
ad arginare la povertà estrema.
Osserva don Pino Romano, vicedirettore
della Caritas di Campobasso: «È
difficile anche mettere una pezza, perché
il buco dell’emarginazione è troppo
grande».
E allora vanno su, in un doloroso
processo circolare, tutte le forme
di disgregazione sociale, dalla dipendenza
dal gioco all’indebitamento e all’usura,
che disoccupazione infinita adulta e
giovanile tende a far diventare cronico.
L’edilizia è crollata, l’agricoltura registra
un lento abbandono, il terziario
pubblico e privato, di cui vive in pratica
la regione, inciampa sui fasti del passato
e le spending review del presente.
Ma la crisi morde anche le piccole
cose. Il Fondo nazionale per la distribuzione
delle derrate alimentari agli indigenti,
bloccato da febbraio, in vista di
una complessiva riforma europea del
welfare di prima necessità, ha colpito
duro la solidarietà molisana.
Solo nella
diocesi di Campobasso, con il cibo del
Fondo 27 parrocchie aiutavano 1.300
persone ad apparecchiare la tavola.
Don Franco ripensa alle parole di Wojtyla
e osserva: «La Chiesa si è sostituita allo
Stato, i poveri sono stati considerati roba nostra, la crisi anche. La politica
non ha mai impostato progetti e
incoraggiato le imprese. E cambiare
mentalità sarà una fatica che richiede
decenni». La Caritas ha pubblicato Rapporti
con le analisi e intanto ha costruito
e ha inventato. C’è la Borsa lavoro,
300 euro al mese per un giovane che
vuole provare e per l’imprenditore che
lo aiuta spese zero, perché – dall’assicurazione
ai contributi – paga tutto la Caritas.
Fino all’anno scorso vi potevano
accedere giovani dai 16 ai 32 anni. Adesso
si arriva fino a 50 anni. Nel 70 per
cento dei casi gli apprendisti vengono
poi assunti. E poi ci sono il microcredito
e la Banca Rosa, che prende il nome
da una signora che ha lasciato alla Caritas
un cospicuo gruzzolo.
Spiega don Franco: «Diamo anche
venti euro, prestito d’onore, interessi
zero. Qui c’è gente che non mangia». E
poi borse di studio, appartamenti gratis
agli immigrati e idee per la riorganizzazione
sociale e un’economia vincente
sul territorio: «Pensare e non spaventarsi
». Così in agricoltura sono tornati i
giovani e molti sono laureati. Si riprendono
le vecchie fattorie, trasformano le
stalle e le tecnologie aiutano l’immaginazione.
A Ferrazzano hanno riaperto
un antico panificio e in prima fila nel dire
basta alla crisi c’è il parroco don Nicola
Maio. La stessa cosa a Macchiagodena,
dove sono state recuperate le vecchie
case del centro storico, su stimolo
di don Francesco Romano.
E la cooperativa delle fragole degli
immigrati, quella delle mele a Petrella
Tifernina. L’ultima impresa si chiama
“Casa degli Angeli” e verrà inaugurata
da papa Francesco: dormitorio, mensa,
emporio solidale, sportello legale, ambulatorio,
centro di aggregazione multietnico,
servizio di ricerca per l’affitto.
Nasce dalla collaborazione di molte associazioni
con le istituzioni e il sogno è
che diventi un tavolo permanente di
sussidiarietà reale e la si finisca con la
delega alla Chiesa. Spiega don Franco:
«Potrebbe essere il riscatto anche per
la politica e l’esempio di come dalla crisi
si può uscire facendo rete con buone
pratiche. Ma senza deleghe e progettando
insieme». Come aveva chiesto Karol
Wojtyla vent’anni fa.