Il Papa in aereo a colloquio con i giornalisti. Foto di Annachiara Valle. In alto e in copertina foto dell'agenzia Ansa.
Volo Malmö-Roma
Dal nostro inviato
Sei domande prima che avvisassero che non c'era più tempo per servire la cena. Papa Francesco ha così risposto soltanto ad alcune delle questioni preparate dai giornalisti. All'inizio i ringraziamenti di Bergoglio: «Vorrei salutarvi e ringraziare per il lavoro che avete fatto per il freddo che avete preso. Ma siamo usciti in tempo, dicono che questa sera scende cinque gradi di più», e poi, come sempre spazio all'inizio ai giornalisti del Paese ospitante.
Ieri, Santo Padre, ha parlato della rivoluzione della tenerezza. Allo stesso tempo, vediamo che sempre più persone provenienti da Paesi come la Siria o l’Iraq cercano rifugio in Paesi europei. Ma alcuni reagiscono con paura o addirittura ci sono persone che pensano che l’arrivo di questi rifugiati possa minacciare la cultura del cristianesimo in Europa. Qual è il suo messaggio per la gente che teme tale sviluppo della situazione, e quale il suo messaggio alla Svezia che dopo una lunga tradizione di accoglienza dei rifugiati adesso incomincia a chiudere le proprie frontiere?
«Come argentino e sudamericano ringrazio tanto la Svezia per questa accoglienza, perché tanti argentini, cileni, uruguayani, nel tempo delle dittature militari sono stati accolti qui. Ha una lunga tradizione di accoglienza e non soltanto nel ricevere ma anche nell’integrare, nel cercare subito casa, scuola, lavoro. Integrare in un popolo. Forse sbaglio, non sono sicuro, ma la Svezia ha 9 milioni di abitanti e 850mila sarebbero “nuovi svedesi”, cioè migranti o rifugiati. o loro figli. Si deve distinguere tra migrante e rifugiato. Il migrante deve essere trattato con certe regole, perché migrare è un diritto ma è molto regolato. Invece essere rifugiato viene da situazioni di angoscia, fame, guerra terribile e il suo status ha bisogno di più cura e di più lavoro. Anche in questo la Svezia sempre ha dato un esempio nel sistemare, nel fare imparare la lingua, e anche nell’integrare nella cultura. Sull’integrazione delle culture non dobbiamo spaventarci: l’Europa è stata fatta con una continua integrazione di culture. tante culture no? credo che, questo non lo dico in
modo offensivo, ma come una curiosità, il fatto che oggi in Islanda, gli
islandesi di oggi con la loro lingua possono leggere i loro classici di mille
anni senza difficoltà, significa che è un paese con poche migrazioni, con poche
ondate come ha avuto l’Europa, l’Europa si è fatta di migrazione...Cosa penso dei Paesi che chiudono le frontiere? Credo che in teoria non si possa chiudere il cuore a un rifugiato. C’è anche la prudenza dei governanti, che devono essere molto aperti a riceverli ma anche a fare il calcolo di come poterli sistemare, perché non solo un rifugiato lo si deve ricevere, ma lo si deve integrare. Se un Paese ha una capacità di integrazione, faccia quanto può. Se un altro ne ha di più, faccia di più, sempre con il cuore aperto. Non è umano chiudere le porte, non è umano chiudere il cuore e alla lunga questo si paga, si paga politicamente, come anche si paga politicamente una imprudenza nei calcoli e ricevere più di quelli che si possono integrare. Qual è il rischio se un migrante o un rifugiato non viene integrato? Vorrei usare questa parola: si ghettizza. Entra in un ghetto, e una cultura che non si sviluppa in un rapporto con un’altra cultura entra in conflitto, e questo è pericoloso. Credo che il più cattivo consigliere per i Paesi che tendono a chiudere le frontiere sia la paura e il più buono sia la prudenza. Ho parlato con un funzionario del governo svedese e mi diceva di qualche difficoltà perché vengono in tanti e non si fa a tempo a sistemarli e a trovare scuola, casa, lavoro. La prudenza deve fare questo calcolo. Io credo che la Svezia se diminuisce la sua capacità di accoglienza non lo faccia per egoismo, se c’è qualcosa del genere è per ciò che ho detto... guardano alla Svezia ma non c’è il tempo per sistemare tutti».
La Svezia ha una donna a capo della sua Chiesa. È realistico pensare anche a donne prete nella Chiesa cattolica? Perché non si ordinano le donne? C'è paura della competizione?
«Leggendo un po’ la storia di questa zona, dove siamo stati, ho visto che c’è stata una regina che è rimasta vedova tre volte e ho detto: questa donna è forte. Mi hanno detto: le donne svedesi sono molto forti e forse per questo che l'uomo svedese cerca donne di altre nazionalità. Ma sono forti e brave... Sulle donne ordinate: l’ultima parola è chiara ed è stata quella data da Giovanni Paolo II. E questa rimane. Ma le donne possono fare tante cose meglio degli uomini. L’ecclesiologia cattolica ha due dimensioni. La dimensione petrina, quella degli apostoli, Pietro e il collegio episcopale, i vescovi; e la dimensione mariana, che è quella femminile della Chiesa. Chi è più importante nella teologia e nella mistica della Chiesa? Gli apostoli o Maria? È Maria, la Chiesa è donna. Si dice la Chiesa non il Chiesa, è donna. La Chiesa sposa Gesù Cristo. È un mistero sponsale e alla luce di questo mistero si capisce il perché di queste due dimensioni. Non esiste la Chiesa senza questa dimensione femminile».
Questo autunno è stato molto ricco di incontri ecumenici con le Chiese tradizionali: quella ortodossa, quella anglicana e adesso quella luterana. Ma la maggior parte dei protestanti oggi nel mondo è di tradizione evangelica, pentecostale… Ho sentito che alla vigilia di Pentecoste del prossimo anno si terrà un evento al Circo Massimo per celebrare il 50° anniversario del Rinnovamento Carismatico. Lei ha fatto molte iniziative – forse la prima volta per un Papa – nel 2014 con i leader evangelici. Cosa è successo con queste iniziative e cosa si aspetta di ottenere dalla riunione, dall’incontro dell’anno prossimo?
«Con queste iniziative… Io direi che ho fatto due tipi di iniziative. Una quando sono andato a Caserta alla Chiesa Carismatica, e anche nella stessa linea quando a Torino sono andato alla Chiesa Valdese. Una iniziativa di riparazione e di richiesta di perdono, perché i cattolici… parte, parte della Chiesa Cattolica non si è comportata cristianamente, bene, nei loro confronti. E lì c’era da chiedere perdono e da risanare una ferita.
L’altra iniziativa è stata quella del dialogo, e questo già a partire da Buenos Aires. A Buenos Aires, per esempio, abbiamo fatto tre incontri al Luna Park che ha una capienza di 7.000 persone. Tre incontri di fedeli evangelici e cattolici nella linea del Rinnovamento Carismatico, ma anche aperta. E incontri che duravano tutto il giorno: predicava un pastore, un vescovo evangelico e predicava un sacerdote cattolico o un vescovo cattolico; oppure due e due, si alternavano. In due di quegli incontri, se non in tutti e tre, ma in due di sicuro, ha predicato padre Cantalamessa, che è il predicatore della Casa Pontificia.
Credo che la cosa derivi già dai pontificati precedenti, e da quando io ero a Buenos Aires, e questo ci ha fatto bene. E abbiamo fatto anche dei ritiri spirituali di tre giorni con pastori e sacerdoti insieme, predicati anch’essi da pastori e da un sacerdote oppure un vescovo. E questo ha aiutato molto il dialogo, la comprensione, l’avvicinamento, il lavoro… soprattutto il lavoro con i più bisognosi. Insieme. E il rispetto, il grande rispetto. Questo in riferimento alle iniziative, già da Buenos Aires… Qui a Roma ho avuto diverse riunioni con pastori, già due o tre. Alcuni sono venuti dagli USA e da qua, dall’Europa.
Poi quello che Lei ha menzionato è la celebrazione che organizza l’ICCRS [International Catholic Charismatic Renewal Services], la celebrazione per i 50 anni del Rinnovamento Carismatico, che è nato ecumenico, e perciò sarà una celebrazione ecumenica in questo senso, e si terrà al Circo Massimo. Io prevedo – se Dio mi dà vita – di andare a parlare lì. Mi pare che duri due giorni, però ancora non è organizzata. So che si terrà alla vigilia di Pentecoste, e io parlerò in qualche momento. A proposito del Rinnovamento Carismatico e a proposito di Pentecostali: la parola "pentecostale", la denominazione "pentecostale" oggi è ambigua, perché si riferisce a molte cose, molte associazioni, molte comunità ecclesiali che non sono uguali, anzi, sono opposte. Allora, bisogna essere più precisi. Cioè, si è talmente diffusa che è diventata un termine ambiguo. In Brasile questo è tipico, dove si è propagata parecchio.
Il Rinnovamento Carismatico nasce… – e uno dei primi oppositori che c’è stato in Argentina è colui che vi sta parlando – perché io ero Provinciale dei Gesuiti a quell’epoca, quando è iniziato in Argentina, e io ho proibito ai Gesuiti di avere a che fare con loro. E ho detto pubblicamente che quando si faceva una celebrazione liturgica bisognava fare una cosa liturgica e non una "scuola di samba". Quello ho detto. Ed oggi penso il contrario, quando le cose sono ben fatte.
Anzi, a Buenos Aires, tutti gli anni una volta all’anno avevamo nella cattedrale la Messa del Movimento di Rinnovamento Carismatico, alla quale venivano tutti. Quindi, anch’io ho sperimentato un processo di riconoscimento del buono che il Rinnovamento ha dato alla Chiesa. E non bisogna dimenticare la grande figura del Cardinale Suenens, che ha avuto quella visione profetica ed ecumenica».
Da poco tempo ha ricevuto il presidente del Venezuela Nicolas Maduro. Cosa ci dice di questo incontro e che cosa pensa dell’inizio del dialogo?
«Il presidente del Venezuela ha chiesto un appuntamento perché arrivava dal Medio Oriente e faceva uno scalo tecnico a Roma. Quando un presidente chiede, lo si riceve. L’ho ascoltato mezz’ora, gli ho fatto qualche domanda e ho sentito il suo parere. È sempre bene sentire il parere di tutti. Sul dialogo: è l’unica strada per tutti i conflitti, si dialoga o si grida. Non c’è altra strada. Col cuore ce la metto tutta nel dialogo, credo che bisogna andare su quella strada, non so come finirà... è complesso, ma la gente che è nel dialogo è gente di caratura politica importante... C’è Zapatero che è stato capo del governo spagnolo. Ambedue le parti hanno chiesto alla Santa Sede di essere presente. La Santa Sede ha designato il nunzio in Argentina, monsignor Tscherrig. Il dialogo che favorisce il negoziato è l’unica strada per uscire dai conflitti. Se questo si fosse fatto in Medio Oriente, quante vite sarebbero state risparmiate».
In Svezia la secolarizzazione è molto forte. È un fenomeno che tocca l’Europa, si stima che in Francia la maggioranza dei cittadini saranno senza religione. La secolarizzazione è una fatalità? Di chi è la responsabilità, dei governi laici o della Chiesa che è timida?
«Fatalità no, io non credo nelle fatalità. Chi sono i responsabili? Non saprei dire, è un processo. Benedetto XVI ha parlato tanto e chiaramente di questo. Quando la fede diventa tiepida è perché si indebolisce la Chiesa. I tempi più secolarizzati - pensiamo alla Francia per esempio - sono quelli della mondanizzazione, quando i preti erano lacché della corte, c’era un funzionalismo clericale, mancava la forza del Vangelo. In tempi di secolarizzazione possiamo dire che c’è qualche debolezza nell’evangelizzazione. Ma anche c’è un altro processo, quando l’uomo riceve il mondo da Dio per farlo cultura, per farlo crescere. Ma a un certo punto l’uomo si sente tanto padrone di quella cultura che comincia a fare lui il creatore di un’altra cultura, ma propria, e occupa il posto di Dio creatore. Nella secolarizzazione io credo che prima o poi si arriva al peccato contro Dio creatore, l’uomo autosufficiente. Non è un problema di laicità: ci vuole una sana laicità, la sana autonomia delle scienze, del pensiero, della politica. Altra cosa è un laicismo come quello che ci ha lasciato in eredità l’Illuminismo... Se si va oltre i limiti e ci si sente Dio, significa che c’è una debolezza nell’evangelizzazione, i cristiani diventano tiepidi. E' necessario riprendere una sana autonomia nello sviluppo di cultura e scienza, ma con la consapevolezza di essere creature, non sentendosi Dio. Il cardinale De Lubac disse che quando nella Chiesa entra questa mondanità è peggio ancora di quello che è accaduto nell’epoca dei Papi corrotti. Gesù quando prega per tutti noi nell’Ultima Cena chiede una cosa al Padre: non di toglierci dal mondo, ma di difenderci dal mondo, dalla mondanità, che è pericolosissima: una secolarizzazione un po’ truccata o travestita, un po’ pret-a-porter».
Qualche giorno fa ha incontrato Krupp che si occupa di schiavitù e tratta di essere umani. Perché?
«Da prete, sempre ho avuto questa inquietudine della carne di Cristo, il fatto che Cristo continua a soffrire, che Cristo viene crocifisso continuamente nei suoi fratelli più deboli. Mi ha sempre commosso. Ho lavorato da prete in piccole cose, con i poveri, ma non esclusivamente, lavoravo anche con universitari. Poi da vescovo di Buenos Aires abbiamo fatto iniziative contro la schiavitù nel lavoro anche con gruppi di non cattolici e non credenti. Arrivano migranti e gli prendono il passaporto e fanno fare loro lavoro schiavo. Ho lavorato con due congregazioni di suore che si occupano di prostitute, donne schiave della prostituzione (non mi piace dire prostitute, schiave della prostituzione). Una volta l’anno facevamo una messa per queste donne.... Lavoravamo insieme e qui in Italia ci sono tanti gruppi di volontariato che lavorano contro ogni forma di schiavitù. Alcuni mesi fa ho visitato una di queste organizzazioni. Si lavora bene, non pensavo succedesse. È una cosa bella che ha l’Italia, il volontariato e questo è dovuto ai parroci: l’oratorio e il volontariato sono nati dallo zelo apostolico dei parroci».