«Non si deve mai uccidere in nome di Dio, perché per Lui siamo tutti fratelli e sorelle. Ma insieme si può dare la vita per gli altri». Papa Francesco dedica l’udienza generale ai martiri della fede e invita a perseverare «nella vicinanza e nella preghiera per la cara e martoriata Ucraina, che continua a sopportare terribili sofferenze».
Il Pontefice consegnerà il prossimo 29 maggio il Premio Internazionale Paolo VI al presidente della Repubblica Sergio Mattarella. La data è stata scelta perché quel giorno è dedicato alla memoria liturgica di San Paolo VI ed è poco prima della ricorrenza del sessantesimo anniversario della sua elezione al Pontificato (21 giugno 1963). «L'attribuzione al presidente Mattarella del Premio Internazionale Paolo VI intende sottolineare come l'azione politica e il servizio al bene comune nell'esercizio delle diverse funzioni istituzionali siano uno degli ambiti significativi in cui ciò può avvenire», ha spiegato in una conferenza stampa don Angelo Maffeis, presidente dell'Istituto Paolo VI di Brescia che esprime la sua «profonda gratitudine» al Papa che «ha accettato di consegnare personalmente il premio. È un gesto che testimonia la venerazione di papa Francesco per Paolo VI, la stima nei confronti del presidente Sergio Mattarella e, ci sia permesso, anche l'apprezzamento per il lavoro che ormai da 44 anni l'Istituto Paolo VI svolge per tener viva la memoria del Papa bresciano e studiarne l'insegnamento e l'opera», ha sottolineato ancora don Maffeis.
Francesco nell’udienza generale in piazza San Pietro ricorda che «dopo la generazione degli Apostoli, sono stati loro, per eccellenza, i “testimoni” del Vangelo. I martiri: il primo fu il diacono Santo Stefano, lapidato fuori dalle mura di Gerusalemme. La parola “martirio” deriva dal greco martyria, che significa proprio “testimonianza”. Un martire è un testimone, uno che dà testimonianza fino a versare il sangue. Tuttavia, ben presto nella Chiesa si è usata la parola martire per indicare chi dava testimonianza fino all’effusione del sangue. Cioè, dapprima la parola martira indicava la testimonianza resa tutti i giorni, in seguito si è usata per indicare colui che dà la vita con l’effusione». I martiri, precisa il Pontefice, «non vanno visti come “eroi” che hanno agito individualmente, come fiori spuntati in un deserto, ma come frutti maturi ed eccellenti della vigna del Signore, che è la Chiesa. In particolare, i cristiani, partecipando assiduamente alla celebrazione dell’Eucaristia, erano condotti dallo Spirito a impostare la loro vita sulla base di quel mistero d’amore: cioè sul fatto che il Signore Gesù aveva dato la sua vita per loro, e dunque anche loro potevano e dovevano dare la vita per Lui e per i fratelli. Una grande generosità, il cammino di testimonianza cristiana».
Bergoglio sottolinea che le persecuzioni non appartengono solo al passato: «Oggi», ricorda, «ci sono delle persecuzioni per i cristiani nel mondo, tanti, tanti. Sono più i martiri di oggi che quelli dei primi tempi. I martiri ci mostrano che ogni cristiano è chiamato alla testimonianza della vita, anche quando non arriva all’effusione del sangue, facendo di sé stesso un dono a Dio e ai fratelli, ad imitazione di Gesù». Evoca «la testimonianza cristiana presente in ogni angolo del mondo. Penso, ad esempio, allo Yemen, una terra da molti anni ferita da una guerra terribile, dimenticata, che ha fatto tanti morti e che ancora oggi fa soffrire tanta gente, specialmente i bambini. Proprio in questa terra ci sono state luminose testimonianze di fede, come quella delle suore Missionarie della Carità, che hanno dato la vita lì. Ancora oggi esse sono presenti nello Yemen, dove offrono assistenza ad anziani ammalati e a persone con disabilità. Alcune di loro hanno sofferto il martirio, ma le altre continuano, rischiano la vita ma vanno avanti. Accolgono tutti, di qualsiasi religione, perché la carità e la fraternità non hanno confini».
Il Papa ricorda il sacrificio «nel luglio 1998 di Suor Aletta, Suor Zelia e Suor Michael, che mentre tornavano a casa dopo la Messa sono state uccise da un fanatico, perché erano cristiane. Più recentemente, poco dopo l’inizio del conflitto ancora in corso, nel marzo 2016, Suor Anselm, Suor Marguerite, Suor Reginette e Suor Judith sono state uccise insieme ad alcuni laici che le aiutavano nell’opera della carità tra gli ultimi. Sono i martiri del nostro tempo. Tra questi laici uccisi, oltre ai cristiani c’erano fedeli musulmani che lavoravano con le suore. Ci commuove vedere come la testimonianza del sangue possa accomunare persone di religioni diverse. Non si deve mai uccidere in nome di Dio, perché per Lui siamo tutti fratelli e sorelle. Ma insieme si può dare la vita per gli altri». E conclude: «Tutti i santi e le sante martiri siano semi di pace e di riconciliazione tra i popoli per un mondo più umano e fraterno, nell’attesa che si manifesti in pienezza il Regno dei cieli, quando Dio sarà tutto in tutti».