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venerdì 11 ottobre 2024
 
udienza generale
 

Il Papa: «Non si esce dalla crisi ascoltando più i potenti che i deboli»

23/09/2020  Nella catechesi del mercoledì Francesco parla del principio di sussidiarietà e spiega come si debba costruire un mondo nuovo con la collaborazione di tutti, soprattutto di chi è scartato e considerato ultimo.

La pandemia ci ha messo di fronte a una crisi che no è solo sanitaria, ma anche sociale, politica ed economica. Non possiamo tornare indietro, sottolinea papa Francesco nell’udienza del mercoledì incentrata sul tema “Sussidiarietà e virtù della speranza”. Per uscire dalla crisi, spiega, ognuno deve fare la sua parte «non solo come persone singole, ma anche a partire dal nostro gruppo di appartenenza, dal ruolo che abbiamo nella società, dai nostri principi e, se siamo credenti, dalla fede in Dio. Spesso, però, molte persone non possono partecipare alla ricostruzione del bene comune perché sono emarginate, escluse o ignorate; certi gruppi sociali non riescono a contribuirvi perché soffocati economicamente o politicamente. In alcune società, tante persone non sono libere di esprimere la propria fede e i propri valori. Altrove, specialmente nel mondo occidentale, molti auto-reprimono le proprie convinzioni etiche o religiose. Ma così non si può uscire dalla crisi, o comunque non si può uscirne migliori».

Cita il passato, Pio XI che, dopo la grande depressione del 1929 spiegò che, per una vera ricostruzione, serviva il principio di sussidiarietà. «Tale principio», dice Francesco, «ha un doppio dinamismo: dall’alto verso il basso e dal basso verso l’alto. Da un lato, e soprattutto in tempi di cambiamento, quando i singoli individui, le famiglie, le piccole associazioni o le comunità locali non sono in grado di raggiungere gli obiettivi primari, allora è giusto che intervengano i livelli più alti del corpo sociale, come lo Stato, per fornire le risorse necessarie ad andare avanti. Ad esempio, a causa del lockdown per il coronavirus, molte persone, famiglie e attività economiche si sono trovate e ancora si trovano in grave difficoltà, perciò le istituzioni pubbliche cercano di aiutare con appropriati interventi». Ma non è solo un movimento dall’alto verso il basso. Perché «i vertici della società devono rispettare e promuovere i livelli intermedi o minori. Infatti, il contributo degli individui, delle famiglie, delle associazioni, delle imprese, di tutti i corpi intermedi e anche delle Chiese è decisivo. Questi, con le proprie risorse culturali, religiose, economiche o di partecipazione civica, rivitalizzano e rafforzano il corpo sociale».

Non si può lasciare da parte quella che il Papa chiama «la saggezza del popolo». «Purtroppo, questa ingiustizia si verifica spesso là dove si concentrano grandi interessi economici o geopolitici, come ad esempio certe attività estrattive in alcune zone del pianeta. Le voci dei popoli indigeni, le loro culture e visioni del mondo non vengono prese in considerazione. Oggi, questa mancanza di rispetto del principio di sussidiarietà si è diffusa come un virus. Pensiamo alle grandi misure di aiuti finanziari attuate dagli Stati. Si ascoltano di più le grandi compagnie finanziarie anziché la gente o coloro che muovono l’economia reale. Si ascoltano di più le compagnie multinazionali che i movimenti sociali. Così non permettiamo alle persone di essere “protagoniste del proprio riscatto”».

In altre parole, spiega il Pontefice, «si ascoltano più i potenti che i deboli. E questo non è il cammino, non è il cammino umano, non è il cammino che ci ha insegnato Gesù, non è attuare il cammino di sussidiarietà. Così non permettiamo alle persone di essere protagoniste del proprio riscatto. Nel sottocosciente collettivo di alcuni politici o di alcuni lavoratori sociali c’è questo motto: “tutto per il popolo, niente con il popolo”. Dall’alto in basso, ma senza ascoltare la saggezza del popolo, senza fare attuare questa saggezza nel risolvere i problemi, in questo caso per uscire dalla crisi. Ma tutti vanno ascoltati: chi sta in alto e chi sta in basso». Anche pensando al modo in cui si cura il virus: si ascoltano «più le grandi compagnie farmaceutiche che gli operatori sanitari, impegnati in prima linea negli ospedali o nei campi-profughi. Questa non è la strada buona. Per uscire migliori da un a crisi, il principio di sussidiarietà dev’essere attuato, rispettando l’autonomia e la capacità di iniziativa di tutti, specialmente degli ultimi. Tutte le parti di un corpo sono necessarie e, come dice San Paolo, quelle parti che potrebbero sembrare più deboli e meno importanti, in realtà sono le più necessarie».

E ancora papa Francesco ricorda che «il principio di sussidiarietà consente ad ognuno di assumere il proprio ruolo per la cura e il destino della società. Attuarlo dà speranza in un futuro più sano e giusto; e questo futuro lo costruiamo insieme, aspirando alle cose più grandi, ampliando i nostri orizzonti. O insieme o non funziona. O lavoriamo insieme per uscire dalla crisa, a tutti i livelli della società o non usciremo mai, non funziona. Uscire dalla crisi non significa dare una pennellata di vernice alle situazioni attuali perché sembrino un po’ più giuste, ma significa cambiare e il vero cambiamento lo fanno tutti, tutte le persone che formano il popolo, tutte le professioni, tutti insieme, tutti in comunità, se non lo fanno tutti il risultato sarà negativo».

Infine Francesco lega il principio di sussidiarietà alla «solidarietà che è la via per uscire dalla crisi: ci unisce e ci permette di trovare proposte solide per un mondo più sano». Ma «non c’è vera solidarietà senza partecipazione sociale, senza il contributo dei corpi intermedi: delle famiglie, delle associazioni, delle cooperative, delle piccole imprese, delle espressioni della società civile. Tale partecipazione aiuta a prevenire e correggere certi aspetti negativi della globalizzazione e dell’azione degli Stati, come accade anche nella cura della gente colpita dalla pandemia. Questi contributi “dal basso” vanno incentivati». Ricorda il volontariato durante il lockdown in cui operavano insieme «volontari dalle famiglie più benestanti e da quelle più povere, ma tutti insieme. Questo è il principio della sussidiarietà». E anche l’applauso «nato spontaneo per i medici e gli infermieri e le infermiere come segno di incoraggiamento e di speranza, applauso per tanti che hanno rischiato la vita e tanti hanno dato la vita», va esteso «a ogni membro del corpo sociale, per il suo prezioso contributo, per quanto piccolo». Allora, invita il Pontefice: «Applaudiamo gli scartati, applaudiamo gli anziani, i bambini, le persone con disabilità, applaudiamo i lavoratori, tutti quelli che si mettono al servizio, tutti collaborano per uscire dalla crisi. Ma non fermiamoci solo all’applauso! La speranza è audace, e allora incoraggiamoci a sognare in grande, cercando gli ideali di giustizia e di amore sociale che nascono dalla speranza. Non proviamo a ricostruire il passato, il passato è passato, ci aspettano cose nuove. Incoraggiamoci a sognare in grande non ricostruendo il passato soprattutto quello che era iniquo e già malato. Costruiamo un futuro dove la dimensione locale e quella globale si arricchiscano mutualmente, ognuno può dare del suo, ognuno deve dare del suo, della sua cultura, della sua filosofia, del suo modo di pensare dove la bellezza e la ricchezza dei gruppi minori possa fiorire, e dove chi ha di più si impegni a servire e a dare di più a chi ha di meno».

 
 
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