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Il Papa: «Pena di morte inammissibile. In ogni caso»

18/05/2015  «Per uno Stato di diritto», dice il Pontefice, «rappresenta un fallimento, perché lo obbliga a uccidere in nome della giustizia». Ecco tutte le parole di Francesco riguardo alla pena capitale.

«Neppure l’omicida perde la sua dignità personale e Dio stesso se ne fa garante. Come insegna Sant’Ambrogio, Dio non volle punire Caino con l’omicidio, poiché vuole il pentimento del peccatore più che la sua morte». A parlare così è Papa Francesco nella lettera inviata alla Commissione internazionale contro la pena di morte. È l’occasione per ribadire il Magistero della Chiesa e la difesa della vita dal concepimento alla morte naturale.

Il Papa, che paragona i condannati a Gesù e ai nuovi martiri, spiega con forza che la pena capitale «è inammissibile, per quanto sia stato grave il delitto». Non valgono di certo i presupposti della legittima difesa: «Si uccidono persone non per aggressioni attuali, ma per danni commessi nel passato. Si applica quindi a persone la cui capacità di recare danno non è attuale, ma che è già stata neutralizzata e che si trovano private della propria libertà».

Al contrario, la pena di morte offende l’inviolabilità della vita e la dignità della persona, non rende giustizia alle vittime, ma fomenta la vendetta. Secondo Bergoglio, «per uno Stato di diritto, rappresenta un fallimento, perché lo obbliga a uccidere in nome della giustizia». Cita in tal senso Dostoevskij: «Uccidere chi ha ucciso è un castigo incomparabilmente più grande del crimine stesso. L’assassinio in virtù di una sentenza è più spaventoso dell’assassinio che commette un criminale».

Inoltre, «la giustizia umana è imperfetta e il non riconoscere la sua fallibilità può trasformarla in fonte di ingiustizie», aggiunge il Papa, che ricorda «la difettosa selettività del sistema penale» e «l’errore giudiziario» sempre possibile. Con l’applicazione della pena capitale, invece, si nega al condannato la possibilità della riparazione o correzione del danno causato.

Il Papa chiede l'impegno dei cristiani anche per l'abolizione dell'ergastolo

Francesco non usa giri di parole: l’omicidio di Stato «implica un trattamento crudele, disumano e degradante, come lo sono anche l’angoscia previa al momento dell’esecuzione e la terribile attesa tra l’emissione della sentenza e l’applicazione della pena, una “tortura” che nell’anticamera della morte non poche volte porta alla malattia e alla follia». Peraltro «è una pratica frequente a cui ricorrono regimi totalitari e gruppi di fanatici, per lo sterminio di dissidenti politici, di minoranze, e di ogni soggetto etichettato come “pericoloso”».

Tuttavia Francesco interviene anche su un tema che riguarda uno stato democratico, gli Stati Uniti: «In alcuni ambiti si dibatte sul modo di uccidere, come se si trattasse di trovare il modo di “farlo bene”. Nel corso della storia, diversi meccanismi di morte sono stati difesi perché riducevano la sofferenza e l’agonia dei condannati. Ma non esiste una forma umana di uccidere un’altra persona». Nella lettera alla Commissione, il Papa ricorda che «oggigiorno esistono mezzi per reprimere il crimine in modo efficace senza privare definitivamente della possibilità di redimersi chi lo ha commesso».

Riconoscendo il lavoro dei tanti che in questi anni hanno suscitato una maggior ostilità alla pena capitale nell’opinione pubblica, chiede «a tutti i cristiani» di affiancare questo tema alla lotta per migliorare le condizioni carcerarie e per l’abolizione dell’ergastolo, «una pena di morte occulta, poiché non si priva il colpevole della sua libertà, ma si cerca di privarlo della speranza». Infine, Francesco ha ricordato che «Gesù non volle che i suoi seguaci ferissero i suoi persecutori, dicendo: “Rimetti la spada nel fodero”. Catturato e condannato ingiustamente a morte, s’identificò con tutti i carcerati, colpevoli o meno».  

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