Il brano del Vangelo che abbiamo ora ascoltato (Gv 2,1-11)
rappresenta il primo segno prodigioso che si realizza nella narrazione
del Vangelo di Giovanni. La preoccupazione di Maria, divenuta supplica a
Gesù: “Non hanno più vino” – Gli dice –, e il riferimento a “l’ora” si
comprenderanno dopo, nei racconti della Passione.
Ed è bene che sia così, perché questo ci permette di scorgere l’ansia
di Gesù di insegnare, accompagnare, guarire e rallegrare a partire da
quell’appello di sua madre: “Non hanno più vino”.
Le nozze di Cana si rinnovano in ogni generazione, in ogni famiglia,
in ognuno di noi e nei nostri sforzi perché il nostro cuore riesca a
trovare stabilità in amori duraturi, in amori fecondi, in amori gioiosi.
Facciamo spazio a Maria, “la madre”, come afferma l’Evangelista. E
facciamo ora insieme a lei l’itinerario di Cana.
Maria è attenta, è attenta in quelle nozze già iniziate, è
sollecita verso le necessità degli sposi. Non si isola in sé stessa,
centrata nel proprio mondo, al contrario, l’amore la fa “essere verso”
gli altri. Nemmeno cerca le amiche per commentando quello che sta
succedendo e criticare la cattiva preparazione delle nozze. E perché sta
attenta, con la sua discrezione, si rende conto che manca il vino. Il
vino è segno di gioia, di amore, di abbondanza. Quanti adolescenti e
giovani percepiscono che nelle loro case ormai da tempo non c’è più di
quel vino! Quante donne sole e rattristate si domandano quando l’amore
se n’è andato, quando l’amore è colato via dalla loro vita! Quanti
anziani si sentono lasciati fuori dalle feste delle loro famiglie,
abbandonati in un angolo e ormai senza il nutrimento dell’amore
quotidiano dei loro figli, dei loro nipoti, pronipoti! La mancanza di
quel vino può essere anche la conseguenza della mancanza di lavoro,
delle malattie, delle situazioni problematiche che le nostre famiglie in
tutto il mondo attraversano.
Maria non è una madre che “pretende”,
nemmeno è una suocera che vigila per divertirsi delle nostre
inesperienze, dei nostri errori o delle disattenzioni. Maria,
semplicemente, è madre! È presente, attenta e premurosa. E’ bello
ascoltare questo: Maria è Madre. Provate a dirlo tutti insieme con me?
Forza: Maria è Madre! Ancora: Maria è Madre! Ancora: Maria è Madre!
Maria però, in quel momento in cui si accorge che manca il vino, si rivolge con fiducia a Gesù. Questo significa che Maria prega.
Non va dal maggiordomo, ma presenta direttamente la difficoltà degli
sposi a suo Figlio. La risposta che riceve sembra scoraggiante: «Che ho
da fare con te, o donna? Non è ancora giunta la mia ora».(v. 4). Ma
intanto lei ha posto il problema nelle mani di Dio. La sua premura per
le necessità degli altri anticipa “l’ora” di Dio.
E Maria è parte di
quell’ora, dal presepe fino alla croce. Lei, che seppe «trasformare una
grotta per animali nella casa di Gesù, con alcune povere fasce e una
montagna di tenerezza» (Esort. ap. Evangelii gaudium, 286),
e ci ricevette come figli quando una spada le trafiggeva il cuore. Ella
ci insegna a porre le nostre famiglie nelle mani di Dio; ci insegna a
pregare, alimentando la speranza che ci indica che le nostre
preoccupazioni sono anche preoccupazioni di Dio.
E pregare ci fa sempre uscire dal recinto delle nostre
preoccupazioni, ci fa andare oltre quello che ci fa soffrire, quello che
ci agita o che ci manca, e ci aiuta a metterci nei panni degli altri.
La famiglia è una scuola dove il pregare ci ricorda anche che c’è un
“noi”, che esiste un prossimo vicino, evidente, che vive sotto lo stesso
tetto, che condivide con noi la vita e ha delle necessità.
E, alla fine, Maria agisce. Le parole: “Fate quello che vi
dirà” (v. 5), rivolte a quelli che servivano, sono un invito rivolto
anche a noi, a metterci a disposizione di Gesù, che è venuto per servire
e non per essere servito. Il servizio è il criterio del vero amore. Chi
ama serve, si mette al servizio degli altri. E questo si impara
specialmente nella famiglia, dove ci facciamo per amore servitori gli
uni degli altri. In seno alla famiglia, nessuno è escluso, tutti valgono
lo stesso. Mi ricordo che una volta chiesero a mia mamma quale dei suoi
cinque figli – perché noi siamo cinque fratelli – quale dei suoi cinque
figli amava di più. E lei disse [mostra la mano]: “Come le dita, se mi
pungono questo mi fa male lo stesso come se mi pungono questo”. Una
madre ama i suoi figli come sono. E in una famiglia i fratelli si amano
come sono. Nessuno è scartato.
Lì nella famiglia «si impara a chiedere permesso senza prepotenza, a
dire “grazie” come espressione di sentito apprezzamento per le cose che
riceviamo, a dominare l’aggressività o l’avidità, e lì si impara anche a
chiedere scusa quando facciamo qualcosa di male, quando litighiamo.
Perché in ogni famiglia ci sono litigi. Il problema è dopo, chiedere
perdono. Questi piccoli gesti di sincera cortesia aiutano a costruire
una cultura della vita condivisa e del rispetto per quanto ci circonda»
(Enc. Laudato si’, 213).
La famiglia è l’ospedale più vicino: quando uno è malato lo curano lì,
finché si può. La famiglia è la prima scuola dei bambini, è il punto di
riferimento imprescindibile per i giovani, è il miglior asilo gli
anziani. La famiglia costituisce la grande ricchezza sociale, che altre
istituzioni non possono sostituire, che dev’essere aiutata e potenziata,
per non perdere mai il giusto senso dei servizi che la società presta
ai suoi cittadini. In effetti, questi servizi che la società presta ai
suoi cittadini non sono una forma di elemosina, ma un autentico “debito
sociale” nei confronti dell’istituzione familiare, che è la base e che
tanto apporta al bene comune.
La famiglia forma anche una piccola Chiesa, la chiamiamo “Chiesa
domestica”, che, oltre a dare la vita, trasmette la tenerezza e la
misericordia divina. Nella famiglia la fede si mescola al latte materno:
sperimentando l’amore dei genitori si sente più vicino l’amore di Dio.
E nella famiglia – di questo siamo tutti testimoni – i miracoli si
fanno con quello che c’è, con quello che siamo, con quello che uno ha a
disposizione; e molte volte non è l’ideale, non è quello che sogniamo e
neppure quello che “dovrebbe essere”.
C’è un particolare che ci deve far
pensare: il vino nuovo, quel vino così buono come dice il maestro di
tavola alle nozze di Cana, nasce dalle giare della purificazione, vale a
dire, dal luogo dove tutti avevano lasciato il loro peccato; nasce dal
peggio: «dove abbondò il peccato, ha sovrabbondato la grazia» (Rm
5,20). In ciascuna delle nostre famiglie e nella famiglia comune che
formiamo tutti, nulla si scarta, niente è inutile. Poco prima di
cominciare l’Anno Giubilare della Misericordia, la Chiesa celebrerà il
Sinodo Ordinario dedicato alle famiglie, per maturare un vero
discernimento spirituale e trovare soluzioni e aiuti concreti alle molte
difficoltà e importanti sfide che la famiglia oggi deve affrontare. Vi
invito ad intensificare le vostre preghiere per questa intenzione,
perché persino quello che a noi sembra impuro – come l’acqua delle giare
–, che ci scandalizza o ci spaventa, Dio – facendolo passare attraverso
la sua “ora” – lo possa trasformare in miracolo. La famiglia oggi ha
bisogno di questo miracolo.
Tutta questa storia ebbe inizio perché “non avevano più vino”, e
tutto si è potuto compiere perché una donna – la Vergine – è stata
attenta, ha saputo porre nelle mani di Dio le sue preoccupazioni, ed ha
agito saggiamente e con coraggio. Però c’è un particolare, non è da meno
il dato finale: hanno gustato il vino migliore. E questa è la buona
notizia: il vino migliore è quello che sta per essere bevuto, la realtà
più amabile, la più profonda e la più bella per la famiglia deve ancora
arrivare.
Viene il tempo in cui gustiamo l’amore quotidiano, in cui i
nostri figli riscoprono lo spazio che condividiamo e gli anziani sono
presenti nella letizia di ogni giorno. Il vino migliore è ‘in speranza’,
sta per venire per ogni persona che accetta il rischio di amare. E
nella famiglia bisogna correre il rischio dell’amore, bisogna
arrischiarsi ad amare. E il migliore dei vini sta per venire, anche se
tutte le possibili variabili e le statistiche dicessero il
contrario. Il vino migliore sta per venire per quelli che oggi vedono
crollare tutto.
Sussurratevelo fino a crederci: il vino migliore sta per
arrivare. Sussurratevelo ciascuno nel suo cuore: il vino migliore sta
per venire. E sussurratelo ai disperati e a quelli con poco amore:
abbiate pazienza, abbiate speranza, fate come Maria, pregate, agire,
aprite il cuore, perché il migliore dei vini sta per venire. Dio si
avvicina sempre alle periferie di coloro che sono rimasti senza vino, di
quelli che hanno da bere solo lo scoraggiamento; Gesù ha una preferenza
per versare il migliore dei vini a quelli che per una ragione o per
l’altra ormai sentono di avere rotto tutte le anfore.
Come ci invita a fare Maria, facciamo “quello che Dio ci dice” (cfr Gv
2,5). Fate quello che Lui vi dice. E siamo grati perché in questo
nostro tempo e in questa nostra ora, il vino nuovo, il migliore, ci fa
recuperare la gioia della famiglia, la gioia di vivere in famiglia. Così
sia.
Che Dio vi benedica, vi accompagni. Prego per la famiglia di ognuno
di voi, e voi fate lo stesso come fece Maria. E, per favore, vi chiedo
di non dimenticarvi di pregare per me. Arrivederci!