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giovedì 03 ottobre 2024
 
L'UDIENZA
 

«La precarietà ci fa creare un dio su misura: è idolatria»

08/08/2018  «Il deserto è un’immagine della vita umana, la cui condizione è incerta e non possiede garanzie inviolabili», ha detto papa Francesco: «Quest'insicurezza genera nell’uomo ansie». «Successo, potere e denaro sono idoli che danno l’illusione della libertà ma schiavizzano», ha aggiunto Bergoglio. Che ha invocato santa Edith Stein: «Preghi e custodisca l’Europa dal cielo»

È ancora l’idolatria il tema della catechesi di papa Francesco che si svolge nell’Aula Paolo VI. «Pensate bene questo», dice rivolto ai fedeli, «liberare il popolo dall’Egitto a Dio non è costato tanto lavoro; lo ha fatto con segni di potenza, di amore. Ma il grande lavoro di Dio è stato togliere l’Egitto dal cuore del popolo, cioè togliere l’idolatria dal cuore del popolo. E ancora Dio continua a lavorare per toglierla dai nostri cuori. Questo è il grande lavoro di Dio: togliere “quell’Egitto” che noi portiamo dentro, che è il fascino dell’idolatria».

È la seconda udienza generale dopo la pausa estiva di luglio. Francesco commenta il passo biblico del Libro dell’Esodo nel quale si racconta del vitello, l’idolo per eccellenza. «Aronne», sottolinea il Papa, «non sa opporsi alla richiesta della gente e crea un vitello d’oro. Il vitello aveva un senso duplice nel vicino oriente antico: da una parte rappresentava fecondità e abbondanza, e dall’altra energia e forza. Ma anzitutto», sottolinea, «è d’oro, perciò è simbolo di ricchezza, successo, potere e denaro. Questi sono i grandi idoli: successo, potere e denaro. Sono le tentazioni di sempre! Ecco che cos’è il vitello d’oro: il simbolo di tutti i desideri che danno l’illusione della libertà e invece schiavizzano, perché l’idolo sempre schiavizza. C’è il fascino e tu vai. Quel fascino del serpente, che guarda l’uccellino e l’uccellino rimane senza potersi muovere e il serpente lo prende. Aronne non ha saputo opporsi».

L’adorazione del vitello d’oro si svolge in un contesto preciso, il deserto, dove il popolo attende Mosè, che è salito sul monte per ricevere le istruzioni da Dio. Che significato ha il deserto, dunque? «È un luogo», nota il Pontefice, «dove regnano la precarietà e l’insicurezza - nel deserto non c’è nulla - dove mancano acqua, manca il cibo e manca il riparo. Il deserto è un’immagine della vita umana, la cui condizione è incerta e non possiede garanzie inviolabili. Questa insicurezza genera nell’uomo ansie primarie, che Gesù menziona nel Vangelo: “Che cosa mangeremo? Che cosa berremo? Che cosa indosseremo?” Sono le ansie primarie. E il deserto provoca queste ansie».

Ma il contesto del deserto innesca anche l’idolatria, sottolinea il Papa, che afferma: «Mosè è rimasto lì 40 giorni e la gente si è spazientita. Manca il punto di riferimento che era Mosè: il leader, il capo, la guida rassicurante, e ciò diventa insostenibile. Allora il popolo chiede un dio visibile – questo è il tranello nel quale cade il popolo - per potersi identificare e orientare. E dicono ad Aronne: «Fa’ per noi un dio che cammini alla nostra testa!», “Facci un capo, facci un leader”. La natura umana, per sfuggire alla precarietà – la precarietà è il deserto - cerca una religione “fai-da-te”: se Dio non si fa vedere, ci facciamo un dio su misura». Per il Pontefice, «l’idolo è un pretesto per porre se stessi al centro della realtà, nell’adorazione dell’opera delle proprie mani».

La libertà dell’uomo nasce dal lasciare che il vero Dio sia l’unico Signore

L’idolatria, aggiunge il Papa, nasce «dall’incapacità di confidare soprattutto in Dio, di riporre in Lui le nostre sicurezze, di lasciare che sia Lui a dare vera profondità ai desideri del nostro cuore. Questo permette di sostenere anche la debolezza, l’incertezza e la precarietà». E conclude: «Quando si accoglie il Dio di Gesù Cristo, che da ricco si è fatto povero per noi, si scopre allora che riconoscere la propria debolezza non è la disgrazia della vita umana, ma è la condizione per aprirsi a colui che è veramente forte. Allora, per la porta della debolezza entra la salvezza di Dio; è in forza della propria insufficienza che l’uomo si apre alla paternità di Dio. La libertà dell’uomo nasce dal lasciare che il vero Dio sia l’unico Signore. E questo permette di accettare la propria fragilità e rifiutare gli idoli del nostro cuore».

A conclusione della catechesi, il Papa ha salutato i pellegrini italiani e ricordato loro che oggi ricorre la memoria liturgica di San Domenico di Guzmán, fondatore dell’Ordine dei Predicatori, e, ha aggiunto a braccio, «in Europa oggi si celebra la festa di santa Teresa Benedetta della Croce, Edith Stein», morta nel lager di Auschwitz il 9 agosto del 1942, «donna di coerenza, donna che cercava Dio con onestà e amore, donna martire del suo popolo ebraico e cristiano: che lei, patrona d’Europa – ha concluso Francesco – preghi e custodisca l’Europa dal cielo».

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