«Ci siamo scordati della saggezza della legge mosaica, secondo la quale, se la ricchezza non è condivisa, la società si divide». Nella Basilica di San Paolo fuori le Mura, a Roma, papa Francesco celebra i Vespri in apertura della cinquantaduesima Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani che ha come tema la giustizia, ispirato dalle parole del Deuteronomio: “La giustizia e solo la giustizia seguirai” (16,20).
A preparare i testi delle riflessioni di quest’anno sono stati i cristiani dell’Indonesia. Ed è esattamente a questo Paese che il Papa pensa quando nell’omelia dice che nei cristiani indonesiani «è viva la preoccupazione che la crescita economica del loro Paese, animata dalla logica della concorrenza, lasci molti nella povertà concedendo solo a pochi di arricchirsi grandemente. È a repentaglio l’armonia di una società in cui persone di diverse etnie, lingue e religioni vivono insieme, condividendo un senso di responsabilità reciproca».
Una situazione di disuguaglianza che, avverte Francesco, non riguarda solo l’Indonesia ma anche il resto del mondo: «Quando la società non ha più come fondamento il principio della solidarietà e del bene comune, assistiamo allo scandalo di persone che vivono nell’estrema miseria accanto a grattacieli, alberghi imponenti e lussuosi centri commerciali, simboli di strepitosa ricchezza». Il Pontefice cita san Paolo e ricorda che «coloro che sono forti devono occuparsi dei deboli» e che «non è cristiano “compiacere noi stessi”. Seguendo l’esempio di Cristo, dobbiamo infatti sforzarci di edificare coloro che sono deboli. La solidarietà e la responsabilità comune devono essere le leggi che reggono la famiglia cristiana».
Alla celebrazione, partecipano anche i rappresentanti delle altre chiese cristiane di Roma, ai quali il Papa rivolge «un cordiale e fraterno saluto», e «la Delegazione ecumenica della Finlandia, gli studenti dell’Ecumenical Institute of Bossey, in visita a Roma per approfondire la loro conoscenza della Chiesa Cattolica, e i giovani ortodossi e ortodossi orientali che qui studiano con il sostegno del Comitato di Collaborazione Culturale con le Chiese Ortodosse, operante presso il Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani».
Essendo divisi, abbiamo bisogno di ricordare l’appello alla giustizia rivoltoci da Dio
Il libro del Deuteronomio, ricorda Bergoglio, «immagina il popolo d’Israele accampato nelle pianure di Moab, sul punto di entrare nella Terra che Dio gli ha promesso. Qui Mosè, come padre premuroso e capo designato dal Signore, ripete la Legge al popolo, lo istruisce e gli ricorda che dovrà vivere con fedeltà e giustizia una volta che si sarà stabilito nella terra promessa. Il brano che abbiamo appena ascoltato fornisce indicazioni su come celebrare le tre feste principali dell’anno: Pesach (Pasqua), Shavuot (Pentecoste), Sukkot (Tabernacoli)».
Qual è il collegamento tra le modalità di celebrare le feste sacre e la giustizia? «Non deve sorprenderci», ricorda il Papa, «il fatto che il testo biblico passi dalla celebrazione delle tre feste principali alla nomina dei giudici. Le feste stesse esortano il popolo alla giustizia, ricordando l’uguaglianza fondamentale tra tutti i membri, tutti ugualmente dipendenti dalla misericordia divina, e invitando ciascuno a condividere con gli altri i beni ricevuti. Rendere onore e gloria al Signore nelle feste dell’anno va di pari passo con il rendere onore e giustizia al proprio vicino, soprattutto se debole e bisognoso».
Il Pontefice spiega che «come popolo santo di Dio, anche noi siamo sempre sul punto di entrare nel Regno che il Signore ci ha promesso. Ma, essendo divisi, abbiamo bisogno di ricordare l’appello alla giustizia rivoltoci da Dio». Francesco avverte che «anche tra i cristiani c’è il rischio che prevalga la logica conosciuta dagli israeliti nei tempi antichi e da tanti popoli sviluppati al giorno d’oggi, ovvero che, nel tentativo di accumulare ricchezze, ci dimentichiamo dei deboli e dei bisognosi».
Dobbiamo riconoscere il valore della grazia concessa ad altre comunità cristiane
Francesco ricorda che occorre riconoscere il valore delle altre chiese: «È un grave peccato sminuire o disprezzare i doni che il Signore ha concesso ad altri fratelli, credendo che costoro siano in qualche modo meno privilegiati di Dio. Se nutriamo simili pensieri, permettiamo che la stessa grazia ricevuta diventi fonte di orgoglio, di ingiustizia e di divisione. E come potremo allora entrare nel Regno promesso?».
Francesco conclude la sua omelia ricordando che «il culto che si addice a quel Regno, il culto che la giustizia richiede, è una festa che comprende tutti, una festa in cui i doni ricevuti sono resi accessibili e condivisi». Paragona l’unità dei cristiani alla «terra promessa», per giungere alla quale, dice, «dobbiamo anzitutto riconoscere con umiltà che le benedizioni ricevute non sono nostre di diritto ma sono nostre per dono, e che ci sono state date perché le condividiamo con gli altri. In secondo luogo, dobbiamo riconoscere il valore della grazia concessa ad altre comunità cristiane». Solo con questo atteggiamento, conclude, «un popolo cristiano rinnovato e arricchito da questo scambio di doni sarà un popolo capace di camminare con passo saldo e fiducioso sulla via che conduce all’unità».
La preghiera davanti alle spoglie di San Paolo
La preghiera comune davanti alle spoglie di San Paolo, l'Apostolo delle genti, è l'emblema del cammino di unità che il papa continua a perseguire insieme ai rappresentanti delle chiese ortodossa e anglicana. Negli anni precedenti, il Pontefice presiedeva la chiusura dell'iniziativa ecumenica, il 25 gennaio, ma in coincidenza con la Giornata Mondiale della Gioventù di Panama, che si svolgerà dal 22 al 27 gennaio, è stato scelto di anticipare l'appuntamento.