A San Giovanni in Laterano, insieme al suo vicario, il cardinale Agostino
Vallini, papa Francesco apre il convegno diocesano alla luce dell’esortazione
Amoris Laetitia e detta la sua ricetta per la pastorale della famiglia in
quattro verbi: «Accogliere, accompagnare, discernere e integrare». Per quasi un’ora risponde
a braccio alle domande di sacerdoti, catechisti e operatori pastorali e nel
discorso scritto precisa in più passaggi che nel suo documento post sinodale
non c’è stato nessun superamento della dottrina della Chiesa. «Avevamo davanti
i volti concreti di tante famiglie», ha ricordato, verso le quali non serviva
«un rispetto diplomatico o politicamente corretto, ma un rispetto carico di
preoccupazioni e domande oneste che miravano alla cura delle vite che siamo
chiamati a pascere». Basta, quindi, «conclusioni ben formulate ma carenti di
vita», basta «parlare in astratto». Guai a «ideologizzare la fede mediante
sistemi ben architettati ma che ignorano la grazia». Piuttosto, ha avvertito,
non bisogna stancarsi «di cercare la presenza di Dio nei cambiamenti della
storia».
Le famiglie «nelle
nostre parrocchie», con
le loro complessità, non sono, dunque, «un
problema ma un’opportunità»,
secondo il Papa. Un’opportunità, ha aggiunto, «che
ci sfida a suscitare una creatività missionaria capace di abbracciare tutte le
situazioni concrete, nel nostro caso, delle famiglie romane». Ha avvertito che bisogna
raggiungere tutte le famiglie, non solo quelle che frequentano la parrocchia, senza
dare nessuno per perso: «E
questo», ha precisato, «ci impone di uscire dalle
dichiarazioni di principio per addentrarci nel cuore palpitante dei quartieri
romani e, come artigiani, metterci a plasmare in questa realtà il sogno di Dio,
cosa che possono fare solo le persone di fede, quelle che non chiudono il
passaggio all’azione dello Spirito. E che si sporcano le mani».
Poi il Papa, prendendo spunto dall’immagine evangelica del fariseo che prega
ringraziando Dio di non essere come gli altri uomini, mette in guardia dalla
tentazione di guadagnare in identità differenziandosi a tutti costi dagli altri.
Tutti invece, avverte, «abbiamo
bisogno di convertirci»
e gridare assieme al pubblicano: «Dio
mio abbi pietà di me che sono un peccatore»,
dice Francesco. Questo ci fa avere un atteggiamento di umiltà, fa «guardare le famiglie con la
delicatezza con cui le guarda Dio».
La guida è sempre il Vangelo: «Nulla
è paragonabile al realismo evangelico, che non si ferma alla descrizione delle
situazioni, delle problematiche – meno ancora del peccato – ma che va sempre
oltre e riesce a vedere dietro ogni volto, ogni storia, ogni situazione,
un’opportunità, una possibilità. Il realismo evangelico si impegna con l’altro,
con gli altri e non fa degli ideali e del “dover essere” un ostacolo per
incontrarsi con gli altri nelle situazioni in cui si trovano».
Il realismo evangelico si sporca le mani perché sa che grano e zizzania crescono assieme
Tutto questo, ha spiegato, non significa «non essere chiari nella dottrina» ma «evitare di cadere in giudizi che non assumono la complessità della vita. Il realismo evangelico si sporca le mani perché sa che grano e zizzania crescono assieme», afferma. Citando Amoris laetitia, Francesco ha detto di comprendere «coloro che preferiscono una pastorale più rigida che non dia luogo ad alcuna confusione». Ma «credo sinceramente», afferma, che Gesù vuole una Chiesa che «nel momento in cui esprime chiaramente il suo insegnamento obiettivo, non rinuncia al bene possibile, benché corra il rischio di sporcarsi con il fango della strada». In una parola: una Chiesa capace di assumere «una logica della compassione verso le persone fragili». Ecco perché non ci vogliono «recinti», niente «separatezza», niente «pastorale di ghetti e per ghetti».
Bergoglio cita don Primo Mazzolari, uno che aveva compito la complessità del Vangelo e spiega: «Quello che si è sporcato di più le mani, è Gesù. Gesù si è sporcato di più. Non era un pulito ma andava dalla gente, tra la gente e prendeva la gente come era, non come doveva essere. Torniamo all’immagine biblica: “Ti ringrazio, Signore, perché sono dell’Azione Cattolica, o di questa associazione, o della Caritas, o di questo o di quello, e non come questi che abitano nei quartieri e sono ladri e delinquenti”: questo non aiuta la pastorale». Un appello lo ha rivolto anche a «non accantonare gli anziani», i nonni che anzi «devono poter sognare», perché altrimenti si tolgono anche progettualità e capacità di «visione» ai giovani.
Nelle risposte a braccio alle domande il Papa è tornato anche alla sua esperienza a Buenos Aires, ricordando i parroci nelle diocesi vicine che «non volevano battezzare i figli di ragazze madri, erano animali, e questo è un individualismo che cerca l'edonismo, e viene da quel maledetto benessere che ci ha fatto tanto male». Una delle conseguenze di questo benessere è anche «un calo delle nascite terribile, oggi in Italia sottozero», con «tante famiglie che al posto dei figli preferiscono avere tre gatti», «ma non fatemi accusare dagli animalisti perché non voglio offendere nessuno», soprattutto perché alla lunga «dei figli quello che fa paura è la libertà».
Nell'approccio pastorale alle situazioni, il Papa ha respinto sia il rigorismo che il lassismo, che «non sono verità». Bisogna sempre «lasciare spazio alla conversione dell'altro, non condannare subito».