«Che cos'è l'ipocrisia?» si è chiesto papa Francesco nell'aula Paolo VI nell'udienza generale di mercoledì 25 agosto. È vivere con «una maschera sul volto» e non avere «il coraggio di confrontarsi con la verità. È truccarsi l'anima». Riprendendo la Lettera ai Galati - al centro anche della Catechesi di mercoledì scorso - il Pontefice riflette su un comportamento tanto diffuso e nocivo.
«Un fatto simile era accaduto anche ad Antiochia in presenza di Paolo. Prima Pietro stava a mensa senza alcuna difficoltà con i cristiani venuti dal paganesimo; quando però giunsero in città alcuni cristiani circoncisi da Gerusalemme – coloro che venivano dal giudaesimo –allora non lo fece più, per non incorrere nelle loro critiche. È questo lo sbaglio: era più attento alle critiche, a fare buona figura. E questo è grave agli occhi di Paolo, anche perché Pietro veniva imitato da altri discepoli, primo fra tutti Barnaba, che con Paolo aveva evangelizzato proprio i Galati (cfr Gal 2,13). Senza volerlo, Pietro, con quel modo di fare – un po’ così, un po’ colà… non chiaro, non trasparente – creava di fatto un’ingiusta divisione nella comunità: “Io sono puro… io vado per questa linea, io devo andare così, questo non si può…”».
«Paolo, nel suo rimprovero – e qui è il nocciolo del problema» sottolinea Francesco «utilizza un termine che permette di entrare nel merito della sua reazione: ipocrisia (cfr Gal 2,13). Questa è una parola che tornerà tante volte: ipocrisia. Credo che tutti noi capiamo cosa significa. L’osservanza della Legge da parte dei cristiani portava a questo comportamento ipocrita, che l’apostolo intende combattere con forza e convinzione. Paolo era retto, aveva dei suoi difetti – tanti, il suo carattere era terribile – ma era retto. Cos’è l’ipocrisia? Quando noi diciamo: state attento che quello è un ipocrita: cosa vogliamo dire? Cosa è l’ipocrisia? Si può dire che è paura per la verità».
Il Papa non usa mezze misure: «L’ipocrita ha paura per la verità. Si preferisce fingere piuttosto che essere sé stessi. È come truccarsi l’anima, come truccarsi negli atteggiamenti, come truccarsi nel modo di procedere: non è la verità. “Ho paura di procedere come io sono e mi trucco con questi atteggiamenti”. E la finzione impedisce il coraggio di dire apertamente la verità e così ci si sottrae facilmente all’obbligo di dirla sempre, dovunque e nonostante tutto. La finzione ti porta a questo: alle mezze verità. E le mezze verità sono una finzione: perché la verità è verità o non è verità. Ma le mezze verità sono questo modo di agire non vero. Si preferisce, come ho detto, fingere piuttosto che essere sé stesso, e la finzione impedisce quel coraggio, di dire apertamente la verità. E così ci si sottrae all’obbligo - e questo è un comandamento - di dire sempre la verità, dirla dovunque e dirla nonostante tutto. E in un ambiente dove le relazioni interpersonali sono vissute all’insegna del formalismo, si diffonde facilmente il virus dell’ipocrisia. Quel sorriso che non viene dal cuore, quel cercare di stare bene con tutti, ma con nessuno…».
La Bibbia è piena di esempi di chi si batte contro l'ipocrisia. Dal vecchio Eleazaro «al quale veniva chiesto di fingere di mangiare la carne sacrificata alle divinità pagane pur di salvare la sua vita». Ma quell’uomo timorato di Dio rispose: «Non è affatto degno della nostra età fingere» agli episodi del Vangelo in cui Gesù «Gesù rimprovera fortemente coloro che appaiono giusti all’esterno, ma dentro sono pieni di falsità e d’iniquità». E ribadisce: «L’ipocrita è una persona che finge, lusinga e trae in inganno perché vive con una maschera sul volto, e non ha il coraggio di confrontarsi con la verità. Per questo, non è capace di amare veramente – un ipocrita non sa amare – si limita a vivere di egoismo e non ha la forza di mostrare con trasparenza il suo cuore. Ci sono molte situazioni in cui si può verificare l’ipocrisia. Spesso si nasconde nel luogo di lavoro, dove si cerca di apparire amici con i colleghi mentre la competizione porta a colpirli alle spalle. Nella politica non è inusuale trovare ipocriti che vivono uno sdoppiamento tra il pubblico e il privato». E precisa: «È particolarmente detestabile l’ipocrisia nella Chiesa, e purtroppo esiste l’ipocrisia nella Chiesa, e ci sono tanti cristiani e tanti ministri ipocriti. Non dovremmo mai dimenticare le parole del Signore: “Sia il vostro parlare sì sì, no no, il di più viene dal maligno” (Mt 5,37). Fratelli e sorelle, pensiamo oggi a ciò che Paolo condanna e che Gesù condanna: l’ipocrisia. E non abbiamo paura di essere veritieri, di dire la verità, di sentire la verità, di conformarci alla la verità. Così potremo amare. Un ipocrita non sa amare. Agire altrimenti dalla verità significa mettere a repentaglio l’unità nella Chiesa, quella per la quale il Signore stesso ha pregato».
Nei saluti finali un appello dedicato alle Paralimpiadi: «Ieri, a Tokio, hanno preso il via le Paralimpiadi. Invio il mio saluto agli atleti e li ringrazio perché offrono a tutti una testimonianza di speranza e di coraggio. Essi, infatti, manifestano come l’impegno sportivo aiuti a superare difficoltà apparentemente insormontabili».
E un pensiero dedicato ai fedeli di Montegallo che il 24 agosto di 5 anni fa sono stati colpiti dal terremoto. «Cari fratelli e sorelle, la vostra presenza mi offre l’occasione per volgere il mio pensiero alle vittime e alle comunità dell’Italia centrale, tra cui Accumoli e Amatrice, che hanno subito le dure conseguenze di quell’evento sismico. Con il concreto aiuto delle Istituzioni, è necessario dare prova di “rinascita” senza lasciarsi abbattere dalla sfiducia. Esorto tutti ad andare avanti con speranza. Coraggio!»